PENTECOSTE - Gv 14, 15-20
(At 2, 1-11; 1 Cor 12, 1-11; Gv 14, 15-20)
Noi che oggi celebriamo la festa di Pentecoste non udremo il vento impetuoso, non vedremo lingue come di fuoco che si posano su di noi … eppure siamo qui come la comunità primitiva a invocare il dono dello Spirito. Che cos’è questo Spirito santo? Anzi chi è? Perché mai abbiamo bisogno di questo dono?
In realtà già la Genesi racconta che l’uomo plasmato dalla terra ha ricevuto il soffio di Dio, nel senso che l’esperienza umana di sempre si rende conto che siamo corpo, siamo relazione col mondo, con gli altri, con le cose… e che tutto questo va verso un termine, eppure siamo anche qualcosa in più, abbiamo in noi un indicibile sete dell’oltre. Abbiamo in noi l’anelito all’infinito, il desiderio di pienezza di amore e di libertà… tutte dimensioni che le neuroscienze, ad esempio, possono anche tentare di spiegarci come avvengono nei dinamismi della mente, ma non sono sufficienti a dire il perché e a comprendere la sete che ci attraversa. La Scrittura ci dice che questo anelito non può che venire da Dio, è il soffio di Dio che ci sospinge oltre e ci dischiude orizzonti di eternità.
Infatti quando incontriamo una persona che diciamo «spirituale» è perché rimanda nel suo modo di essere e di porsi a questa dimensione che ha a che fare con Dio. La dimensione spirituale della vita che è comune ad ogni essere umano, è una dimensione che è anche la più difficile da coltivare, perché appunto è la più intima a noi stessi, la meno tangibile e concreta.
Quando Gesù annuncia ai discepoli un altro Paraclito, un altro avvocato, intende indicare una funzione precisa dello Spirito di Dio, che fa appunto da avvocato per noi di fronte alla mondanità, che ci difende dal rischio di appiattire la nostra vita sulle logiche di dell’avere, del possesso, dell’apparire…
Tutti facciamo esperienza di questa lotta interiore, di questa fatica a mettere insieme la nostra interiorità, l’aspirazione al bene, al dono, all’altruismo… e la legge del mondo che chiede di pensare ai fatti nostri, di fare i furbi, di fregarcene… Semplifico, ovviamente, ma c’è una lotta spirituale che viviamo ogni giorno ed è quella lotta spirituale che è stata anche di Gesù dall’inizio della sua vita (prima domenica di quaresima) fino al Getsemani e sulla croce.
Ora quando Gesù nel vangelo di Giovanni afferma che questa lotta spirituale è col «mondo», dobbiamo precisare che per «mondo» non si intende, come nel linguaggio comune, ciò che sta fuori di noi, un nemico che ci sta di fronte, quasi fosse una contrapposizione tra i cristiani e gli altri, tra la chiesa e il mondo.
Cos’è il mondo? Non sono gli altri, quelli che non sono bravi come noi! Anzitutto perché Dio ha effuso in tutti il suo Spirito e tutti gli uomini sono figli di Dio. Piuttosto il «mondo» è ciò che è mondano e che abita anche nelle fibre più intime di noi stessi, chiamiamolo diavolo, satana, tentazione… il male. E questa logica mondana abita anche il cuore dei credenti, è una tentazione anche per la vita della Chiesa.
E vediamo che cosa accade all’uomo quando per tanti motivi dimentica, abbandona e non riconosce il dono di Dio e rinuncia alla sua vita spirituale: l’uomo, l’umanità dà il peggio di sé. Non possiamo entrare troppo nello specifico, ma registriamo tante esperienze intorno a noi come quando l’uomo cede al vizio, all’egoismo, alla pigrizia … quando umilia e sfrutta un altro fratello in umanità, allora è tutta l’umanità che si abbruttisce.
L’uomo si abbruttisce però anche per le situazioni che prescindono da lui e che in qualche modo lo investono e lo umiliano e lo schiacciano. Ci sono contesti che costituiscono un terreno fecondo perché si sviluppi e maturi la violenza, l’aggressività, l’odio. Il disagio mentale di tante persone nasce sempre di più da un disagio sociale grave e che risulta duro da sostenere in solitudine.
Non solo, ma mentre una parte dell’umanità va via via abbruttendosi e spegnendo quella fiamma spirituale che abita nel cuore per i motivi cui ho accennato, per contro un’altra parte di umanità, che forse è quella che ci è più vicina, rinunciando a quella stessa dimensione spirituale esaspera una pseudo bellezza nella cura dell’esteriorità, nell’ossessione dell’apparenza e del mettersi in mostra….
Facendo nostre le parole di Gesù, potremmo dire che oggi ci sono molti «orfani di Dio»! Nel senso che molti dimenticano che il loro cuore è fatto ad immagine di Dio e che lo Spirito Santo li riempie di doni affinché la vita sia un’opera d’arte di semplicità, bella di solidarietà, un capolavoro di umanità, di cuori pensanti.
Lo Spirito di Dio che il Padre ci dona e di cui gli apostoli hanno fatto esperienza ci dice che in questa lotta spirituale con la mondanità che ci fa immaginare una vita senza Dio, non siamo soli: quello Spirito che Dio soffiò nell’Adam fin dall’inizio e che noi facilmente soffochiamo, ci viene donato da Gesù, torna a soffiare grazie all’intercessione di Gesù e ci rende capaci di ciò che umanamente è impossibile.
È la bellezza della vita secondo lo Spirito, ciò di cui ha bisogno il nostro mondo. Per questo vogliamo insieme invocare lo Spirito che come fuoco scaldi i nostri cuori della passione per il Vangelo e per un’umanità più giusta e più unita, in una parola, più umana. Certo con la celebrazione di oggi concludiamo il tempo pasquale, ma sappiamo che non si conclude affatto il nostro cammino spirituale, anzi da oggi continuiamo a chiedere al Signore di inviarci quell’avvocato che come Spirito ci doni forza e energia per essere nel mondo il sacramento di Dio.