II DOPO PENTECOSTE - Lc 12, 22-31
(Sir 16, 24-30; Lc 12, 22-31)
In queste settimane, che il Lezionario festivo ambrosiano chiama «tempo dopo la Pentecoste», ripercorriamo di domenica in domenica le grandi tappe della storia della salvezza.
Iniziamo oggi con la creazione, seguirà poi la figura di Abramo, di Isacco, di Mosè e così via, di domenica in domenica verremo introdotti nel grande fiume della storia biblica che per un verso ci permette di ritrovare alcune figure del Primo Testamento e al tempo stesso di rileggere nella filigrana della loro vicenda anche la nostra storia.
Oggi il libro della Sapienza ci ricorda che il disegno di Dio prende il via con la creazione. Noi ci saremmo potuti aspettare di leggere le pagine della Genesi con la descrizione delle singole opere create giorno per giorno nella prima settimana del mondo, invece la lettura della Sapienza ci invita a guardare il creato nel suo insieme per contemplare che in principio c’è il dono, la bellezza, l’armonia e riconoscere così al Signore la nostra gratitudine, come abbiamo fatto con il salmo: Lodate il Signore, lodatelo voi tutti …
Ma sappiamo anche che il creato è affidato alla custodia dell’uomo, sappiamo che accanto agli uccelli del cielo e ai gigli dei campi, come dice Gesù nel vangelo, c’è il nostro lavoro, c’è l’esercizio della nostra responsabilità e l’impegno quotidiano per la sussistenza. Anche questa è creazione: ciascuno di noi nel suo lavoro continua l’opera iniziata dall’Eterno grazie ai doni che lui ci ha dato.
Ed è a questo livello che l’incanto della creazione sembra cedere il passo alla preoccupazione, all’affanno, alla bramosia, all’accaparramento delle risorse, all’egoismo di chi accumula per sé e non si cura del bene comune. D’altronde oggi non saremmo in questa condizione, e non solo in Europa, se non si fossero esasperati i presunti bisogni di pochi a discapito dei beni essenziali di tanti; se non avessimo fatto del mercato un idolo senza controlli e senza regole.
Penso che in questi mesi ciascuno di noi si sia fatto un’idea delle cause della congiuntura attuale dell’economia e della finanza nel mondo. Non ho io la competenza e tanto meno la pretesa di sapere cosa fare, certo è che siamo di fronte a un fallimento, a un punto di non ritorno che ci porta tutti ad essere preoccupati per il futuro.
Con questo stato d’animo ci pare di ascoltare da Luca parole altissime che però ci sembrano talmente ideali da non poter essere messe in pratica, se non da qualche folle o da qualche santo. Come è possibile oggi non preoccuparci?
Quello che Gesù dice non è frutto di un’utopia, di un mondo astratto e lontano: se ritorna per ben tre volte su questo verbo della preoccupazione è perché anche lui ha conosciuto a Nazaret famiglie dei contadini che facevano fatica a tirare la fine del mese e che, dopo aver pagato tutti i tributi e le tasse e senza cadere nella spirale dei debiti e dei ricatti, avevano anche il problema di conservare la semente per la semina successiva, dopo aver nutrito la famiglia e gli animali.
Anche lui ha condiviso la precarietà degli artigiani che per trovare lavoro erano costretti a muoversi da un villaggio all’altro.
Non possiamo non vederlo colpito dalle difficoltà di quelle famiglie quando – con un’aspettativa di vita che allora si attestava intorno ai 30-40 anni – veniva meno l’uomo di casa e l’unico reddito, a causa della malaria o della tubercolosi.
Ecco in questo contesto, le parole di Gesù che invita a non preoccuparsi o come fa nel Padre nostro a chiedere al Padre il pane quotidiano, non sono una poesia e sono ben più di una pia invocazione. Sono l’invito ad avere il cuore occupato dall’unica cosa che veramente conta: Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta.
Le preoccupazioni non vengono cancellate da un affidamento magico alla provvidenza, nemmeno sono attenuate perché lasciamo stoicamente che il destino faccia il suo corso, o ancora perché secondo un’altra concezione, la ricchezza e la povertà non hanno significato per l’uomo che si considera un essere superiore.
Le preoccupazioni sono ridimensionate perché c’è un’occupazione che sta al di sopra di tutto: è la passione per il regno, il che significa riconoscere che qualcosa precede il nostro impegno, la nostra responsabilità, ovvero che è dono di Dio.
Questa è un’esperienza fondamentale che è anzitutto umana e poi anche religiosa: scoprire che in principio c’è il dono, all’inizio dell’esistenza di ciascuno c’è un dono, il fatto di venire al mondo in un mondo che è già pronto.
Perché qualcun altro l’ha preparato per noi senza che noi prima di venire al mondo facessimo niente per meritarcelo. E questo creato, per qualcuno magari più facilmente e per altri forse con più problemi, comunque è pronto a sostenere la vita di tutti coloro che vengono al mondo.
Allora il tempo di crisi può diventare anche l’occasione per cambiare e per convertire il nostro modo di abitare il creato. Nessuno forse cancellerà dal profondo del nostro cuore la preoccupazione per il futuro, nessuno ci toglierà del tutto l’angoscia per il mondo che consegniamo ai nostri figli, ma sappiamo che essere schiacciati e oppressi da questa paura non serve a nulla, piuttosto accogliamo l’invito di Gesù a riconoscere il dono di Dio.
Sapendoci destinatari del dono di Dio, ci affranchiamo dalla convinzione di essere da soli a procurarci da vivere con il nostro lavoro, perché in realtà a ben guardare ciò che noi riusciamo a garantirci è una piccolissima parte di ciò di cui abbiamo bisogno, infatti se ci mancano l’affetto, l’amicizia, la fede, l’ascolto e la condivisione noi non viviamo anche se le nostre dispense sono piene.
Ed è questa la testimonianza che il mondo chiede alla Chiesa in tempo di crisi. Non saranno le nostre opere, le nostre banche, le nostre istituzioni … a tenere viva la speranza. Anzi quando la Chiesa si preoccupa di queste cose il prezzo che paga è altissimo: veniamo detestati non perché preghiamo, veniamo perseguitati non perché amiamo … un certo cristianesimo viene criticato proprio perché non è trasparenza del regno di Dio, non è sufficientemente affrancato dagli intrallazzi e cerca la propria realizzazione secondo la logica del mondo.
Chiediamo al Signore di saper guardare al creato come dono suo, di saperlo ringraziare per tutto quello che ha preparato per noi. Preghiamolo perché il tempo della preoccupazione diventi un’occasione di conversione, un’occasione per tornare a lui e per condividere con i fratelli i suoi doni.