II DOPO PENTECOSTE - Mt 6, 25-33
audio 19 giu 2022
Nonostante Gesù abbia pronunciato queste parole duemila anni fa, ancora facciamo di tutto per andare nella direzione opposta: quelle che Gesù chiama preoccupazione o affanno per il cibo e per il vestito, ormai sono diventate delle vere e proprie ossessioni della nostra vita oggi, anzi sono follie.
Sono follie nascoste sotto il mantello del rendimento, del potere e del profitto, che stanno facendo precipitare rapidamente le condizioni di vivibilità della terra.
Magari si trattasse solamente di preoccupazione e affanno, come dice Gesù riferendosi ai suoi contemporanei che vivevano in condizioni molto più precarie delle nostre, qui siamo, per dirla con Edgar Morin, di fronte al cosiddetto homo sapiens che va via via diventando sempre più homo demens, infatti è con la comparsa dell’homo sapiens che sembrano essere apparsi sul nostro Pianeta non solo la razionalità, ma anche l’eccesso, eccesso di potere e di cupidigia, scrive il filosofo.
Perché parla di pazzia, di homo demens? Perché appunto sotto il mantello del rendimento, del potere e del profitto, i governi permettono il saccheggio delle risorse della terra, senza rendersi conto che di terra abbiamo solo questa. Ma vi sembra intelligente una generazione di persone che si applicano per costruire armi fatte per uccidere vite umane e per distruggere boschi e città?
Non consideriamo forse stupido colui che si ostina a segare il ramo dell’albero su cui è seduto o a far saltare in aria la casa in cui vive?
Eppure viviamo in condizioni che ci dovrebbero aiutare a prendere coscienza dell’unità fondamentale di ciò che esiste. Sperimentiamo ogni giorno quanto siano essenziali e inevitabili le connessioni, le dipendenze che esistono tra noi e con il mondo naturale in cui viviamo, e quanto tutto ciò che ci circonda sia indispensabile al nostro benessere.
Eppure reagiamo magari brontolando un po’ soltanto quando aumentano la benzina e il gas, quando scarseggia l’acqua, quando le temperature ci fanno accendere i condizionatori… senza pensare che questo è il risultato di un mondo che vive dello sfruttamento dell’energia fossile.
Lo sguardo, dice Gesù, deve cambiare, perché modificando il nostro modo di vedere le cose possiamo avviare processi e comportamenti che ci facciano andare oltre la contraddizione che ci abita.
La nostra contraddizione è proprio questa: per un verso siamo innamorati della terra, dei suoi paesaggi, del mare e delle montagne, siamo affascinati dalla sua bellezza, delicatezza e fragilità, ci rendiamo conto che la terra è davvero un bene prezioso.
Per contro continuiamo a essere indifferenti ai problemi ecologici, allo sfruttamento selvaggio cui sottoponiamo il creato, così come continuiamo ad alimentare anacronistiche e incongruenti divisioni, rivalità e nazionalismi che ci fanno erigere muri, ci fanno stendere fili spinati e costruire ostilità.
Dunque anzitutto Gesù ci invita a cambiare lo sguardo sulla terra: guardate gli uccelli del cielo, osservate i gigli del campo… perché la terra non è una semplice cornice all’interno della quale si muovono i viventi. Quando guardo il cielo sopra di me, la sua atmosfera, la sua composizione, la distribuzione dei gas… quando osservo e contemplo il volo degli uccelli e il fiorire di una pianta… tutto questo è il risultato dell’azione dei viventi.
Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ scrive: Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri (n.49).
Collegando il grido della terra e il grido dei poveri, il Papa da un lato stabilisce un legame tra ecologia e ingiustizia, e dall’altro prende atto del fatto che la terra, in qualche modo, potremmo dire, si emoziona, può agire e soffrire. Gli esseri che compongono la terra hanno ciascuno il proprio potere di azione, in quanto hanno creato con i loro effetti involontari, la minuscola superficie del Pianeta dove risiedono tutti i viventi.
Questo sguardo dovrebbe dunque condurci a un cambiamento di atteggiamento per passare dalla brama del possesso e dello sfruttamento a quella della cura, si tratta di andare in direzione ostinata e contraria, come cantava De André, perché la nostra felicità e la salute del pianeta non risiedono nella soddisfazione dei nostri capricci, nelle stravaganti esagerazioni del lusso, nell’abbondanza delle cose… ma nell’attitudine di prendersi cura gli uni degli altri.
Atteggiamento che non è, e non può essere, facoltativo ma necessario. La cura non è un esercizio per anime belle e ingenue, perché è iscritto nel DNA della vita, per questo Gesù ci dice di cercare il regno di Dio e la sua giustizia.
La cura è dentro le cose. Basti pensare come le quattro forze primordiali fondamentali che governano l’universo, vale a dire la forza gravitazionale, la forza elettromagnetica, la forza nucleare debole e la forza nucleare forte interagiscano con una delicatezza, precisione e cura estrema, senza la quale non saremmo qui a parlarne.
Nel momento in cui perdiamo il senso della cura e della solidarietà reciproca e ci lasciamo governare esclusivamente dalle leggi del mercato, non potremo ottenere altro che un’umanità regredita a uno stadio primitivo e selvaggio.
La pandemia ci ha mostrato che vivendo in un mondo trasformato in una grande società di mercato, siamo stati tutti più o meno contaminati da questa mentalità egocentrica che si situa agli antipodi dell’atteggiamento di cura necessario per salvare noi stessi e il nostro pianeta.
Credo che in parte stiamo ancora pagando il prezzo di una certa spiritualità che nei secoli che ci hanno preceduto ci diceva che per essere buoni cristiani occorreva disprezzare il mondo, era necessario il rifiuto della realtà materiale, perché la vera casa dell’uomo non è la terra, ma il cielo.
È ovvio che uno sguardo di questo genere non fosse particolarmente interessato a coltivare un rapporto di cura e di attenzione verso il creato.
In realtà ci rendiamo conto che noi portiamo l’universo nel nostro essere, come l’universo porta noi nel suo cuore e che ognuno di noi è emerso, insieme all’universo, dal Mistero ultimo di Dio.
Se fossimo capaci di pensarci e percepirci come una espressione di questo Mistero saremmo forse in grado di andare nella direzione ostinata e contraria della cura, per realizzare un nuovo tipo di umanità e una nuova forma di pensiero.
(Sir 18,1-2.4-9.10-13; Rm 8,18-25; Mt 6, 25-33)