IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA - Lc 1, 26-28
San Benedetto del Tronto, 8 dicembre 2010
Quando p. Silvano, superiore della comunità dei Sacramentini, mi ha chiesto di tenere l’omelia per la grande festa di oggi, non vi nascondo che ho cercato di opporre una qualche resistenza. Per diversi motivi che non vi sto qui a raccontare, ma soprattutto perché è evidente che sono il meno adatto in questo contesto in cui celebriamo il giubileo sacerdotale dei Padri Giovanni, Guido, Leopoldo e Vitale (insieme ad Assunto), che proprio oggi come cinquant’anni fa venivano ordinati presbiteri dal vescovo Radicioni in questa stessa chiesa, e con loro oggi festeggiamo anche p. Angelo che celebra i 60 anni di ordinazione!
Che cosa posso dire io che ho passato da poco la metà rispetto al tempo del loro servizio e del loro ministero sacerdotale? Non dovremmo noi piuttosto ascoltare la loro testimonianza? Non dovremmo ritornare con loro a quel giorno in cui hanno detto sull’esempio di Maria di Nazareth: Ecco sono il servo del Signore avvenga per me la tua parola!
Sarebbe suggestivo ascoltare cosa avevano in cuore cinquant’anni fa quei giovani intraprendenti che diventavano preti, quali erano i sogni, quali desideri e cosa pensavano che sarebbe stata la loro vita mettendosi al servizio del regno di Dio sull’esempio del p. Eymard?
Dovremmo chiederlo davvero a loro che diventavano preti in un anno in cui l’Italia era all’apice del miracolo economico così chiamato perché il 1960 fu l’anno in cui, a seguito anche di una grande migrazione interna al Paese, gli operai dell’industria superarono gli addetti all’agricoltura, per esempio; anche se le famiglie che avevano un televisore erano, pensate un po’, solo il 12%….
Quindi in un Paese molto diverso da quello di oggi, dove certamente la speranza e la fiducia nel futuro e anche un certo ottimismo nello sviluppo erano molto più diffusi.
Fiducia e speranza che erano pervasivi anche nella Chiesa grazie alla preparazione del Concilio Vaticano II indetto da papa Giovanni XXIII e che proprio due anni dopo, l’8 dicembre 1962, ne chiudeva il primo periodo canonizzando il giorno seguente il p. Eymard ; Concilio che si concluderà tra l’altro nel 1965, ma sempre l’8 dicembre.
L’8 dicembre costituisce dunque una data ricca di significati, per questo sarebbe bello ascoltare dai protagonisti di quegli anni le speranze, le attese, cosa ne è stato dei loro sogni e dei loro entusiasmi da allora ad oggi. Sarebbe suggestivo ascoltare p.Vitale che ha trascorso gran parte di questi cinquant’anni in Africa, p. Giovanni nei suoi contatti con il Brasile, p. Guido che tra l’altro ha prestato gran parte della sua opera nel centro eucaristico, e infine p. Leopoldo che conoscete bene e che non bisogna che ve lo presenti: lo potete apprezzare nel suo contributo spirituale, culturale e sociale a questa città, come abbiamo avuto modo ieri sera di ascoltare nella presentazione del libro dei 70 anni dei Sacramentini a San Benedetto del Tronto.
Sono due i pensieri che condivido con voi a partire dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato per la celebrazione dell’Immacolata concezione di Maria, parola che ha costituito il fondamento biblico alla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria l’8 dicembre 1854 da parte di Pio IX.
Anzitutto un atteggiamento di riconoscenza, di gratitudine, di ringraziamento, o meglio ancora per dirla con Paolo, di benedizione: Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità. Per Paolo non sono affatto parole scontate, né ovvie, perché l’Apostolo le pronuncia e benedice l’Eterno mentre è agli arresti domiciliari a Roma! Come è possibile?
Paolo nella sua formazione ebraica e quindi biblica ha imparato che il primo modo di pregare è benedire, ovvero dire bene di Dio, ringraziare Dio, lodarlo, anche dopo aver subito il naufragio a Malta e nonostante fosse prigioniero! Questa preghiera di benedizione nasce da un cuore che guarda la vita, le cose, le persone con uno sguardo ampio, non semplicemente concentrato su quello che deve fare adesso o domani, ma con uno sguardo che, distogliendo la lente d’ingrandimento sul particolare, è in grado di vedere il disegno di Dio che comunque sa trarre il bene per coloro che lo amano, per coloro che si fidano di lui.
Non solo Paolo benedice Dio, ma afferma anche che noi siamo benedetti in Cristo, dice che siamo benedetti con lui, nel senso che siamo resi partecipi della sua condizione di Amato, perché la benedizione di Dio passa a noi mediante Cristo. E questo è il pensiero, la volontà, il disegno del Padre che da prima della creazione ci ha scelti per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità. E ci sembrano parole d’altri tempi.
Di santità se ne parla spesso in maniera distorta e quasi sempre secondo una prospettiva individualistica come una dimensione lontana da noi così che possiamo evitare di desiderarla. Paolo benedice l’Eterno perché ha messo in noi, per mezzo di Gesù, questa vocazione fin dall’inizio, questa è la méta del nostro cammino, l’orizzonte verso il quale muovere le nostre scelte e i nostri passi. E questa è una grazia, un dono, non è frutto semplicemente della nostra volontà. Santo in greco si dice “aghios” letteralmente significa “senza terra”, nel senso che la santità non è primariamente una dimensione morale, non è un merito: essere santi, è una grazia, un dono.
Così come l’essere immacolati, non è uno stato primitivo e appartenente al nostro passato, quasi fosse un bene perduto con la nostra infanzia, ma è una promessa che il Signore ha per noi se viviamo per Cristo, con Cristo e in Cristo: siamo venuti al mondo per diventare santi e immacolati nell’amore, per fare della nostra vita un’opera d’arte, un capolavoro.
E voi sapete che ogni capolavoro, ogni opera d’arte ha bisogno di tempo per essere lavorata, plasmata … Racconta un rabbino che un giorno venne da lui un importante uomo d’affari, che voleva iscrivere suo figlio nella sua università molto famosa, e quando cominciò a leggere dettagliatamente il programma di studi disse: “Mio figlio dovrà fare tutti questi esami. Non si può in qualche modo accorciare? Lui vuole finire in fretta, e anch’io voglio che entri il prima possibile nel mondo degli affari. È lì che si fa la vera esperienza”. “Certamente!” rispose il rabbino “Possiamo fare tutto, dipende da cosa suo figlio vuole diventare. Quando Dio vuole creare una quercia ci mette cinquant’anni, ma ci mette solo due mesi a creare una zucca”.
Noi oggi contemplando Maria, il capolavoro che l’Eterno ha fatto con lei, impariamo da lei a benedire e ringraziare il Signore, come ha fatto cantando il suo Magnificat, un canto nel quale Maria getta uno sguardo di fede su tutta la sua vita.
E mi verrebbe da suggerire anzitutto ai nostri festeggiati, ma anche a ciascuno di noi: proviamo a scrivere a questo punto della nostra vita, il nostro Magnificat.
Quante strofe potremmo davvero comporre, contemplando il disegno di Dio realizzato nella nostra semplice vita? Una strofa per i nostri genitori che ci hanno introdotto alla fede prima ancora di imparare il catechismo; una strofa per la nostra gente in mezzo alla quale abbiamo esercitato il ministero, ma dalla quale anche abbiamo ricevuto molto … e così via fino ad abbracciare anche quei momenti difficili, di fatica, di sofferenza, di fragilità che ciascuno di noi si porta dentro!
Sì perché tutto impariamo a leggere come Maria in questo disegno d’amore.
Proviamo a chiederci se saremmo capaci di fare nostre le sue parole. Oppure se non saremmo tentati, guardandoci intorno, di cedere al lamento, all’insoddisfazione, e trovarci a fare affermazioni scettiche e tristi; di dire, cioè che i superbi trionfano, i potenti spadroneggiano dai loro troni, gli umili sono calpestati, gli affamati si moltiplicano, i ricchi si arricchiscono sempre di più.
Occorre coraggio per superare quello che noi chiamiamo “sano realismo” e che viene rovesciato nel Magnificat, nella contemplazione che Maria fa dell’opera di Dio.
Carissimi Leopoldo, Vitale, Guido e Giovanni, insieme a voi ringraziamo il Signore per la vostra testimonianza, la vostra dedizione e il dono della vostra vita, ma non pensate che 50 anni di ordinazione presbiterale vi autorizzino a pensare di andare in pensione!
Sempre l’8 dicembre, e siamo nel 1975 a dieci anni dalla conclusione del Concilio, Paolo VI , donò alla Chiesa un’Esortazione apostolica che permane di grande attualità e che vorrei idealmente riconsegnarvi: l’ Evangelii nuntiandi. Paolo VI chiamava Maria, Stella di quella evangelizzazione sempre rinnovata che la Chiesa, docile al mandato del suo Signore, deve promuovere e adempiere, soprattutto in questi tempi difficili ma pieni di speranza! Il mondo ha bisogno di apostoli e discepoli che sull’esempio del p. Eymard continuino ad annunciare il Vangelo soprattutto con la vita, perché come diceva Paolo VI: l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri testimoni che maestri … o se ascolta maestri lo fa perché sono dei testimoni!