II DI PASQUA - In albis depositis - Gv 20, 19-31
(At 4, 8-24; Gv 20, 19-31)
Pietro e Giovanni, Paolo e poi Tommaso… la parola di Dio oggi è tutta al maschile. Dopo la domenica di pasqua nella quale erano le donne per così dire le protagoniste, anche se sappiamo che in realtà il protagonista è il Risorto, tuttavia se noi siamo qui oggi è grazie proprio alla testimonianza delle donne hanno incontrato Gesù vivente per prime.
Oggi la parola di Dio ci dice che se noi crediamo in Gesù è grazie anche alla fede – certamente meno rocciosa di come ce la saremmo aspettata – dei suoi apostoli, dei suoi uomini di fiducia.
Quel Pietro che abbiamo visto piangere d’amarezza la sera del giovedì santo, incapace di riconoscere Gesù che si lasciava consegnare ingiustamente alla croce, oggi lo incontriamo «pieno di Spirito Santo» in un contesto che è simile a quello che aveva subito lo stesso Cristo. Pietro e Giovanni sono appena stati arrestati dal servizio d’ordine del tempio perché annunciavano in Gesù la risurrezione dai morti (4,2) e per questo Anna e Caifa, i sommi sacerdoti, i capi del popolo e gli anziani organizzano subito un processo, l’ennesimo processo.
Eppure questa volta Pietro è pieno di spirito santo, cosa è successo? Lo spiega il libro degli Atti al v.13, che potremmo considerare come il versetto centrale della narrazione, dove si dice appunto che le autorità hanno visto la franchezza di Pietro e di Giovanni. Questo è il dono dello Spirito santo: la franchezza, in greco parresìa, cioè quella libertà e quel coraggio che non sono mai arroganza, né supponenza, ma sono la consapevolezza che Gesù è all’opera, che Gesù è risorto e che non siamo soli con i nostri programmi, i nostri progetti culturali o i nostri denari…
Infatti, Luca non si vergogna di ricordare i motivi per cui Pietro e Giovanni vengono rilasciati: i sommi sacerdoti e gli anziani non li considerano pericolosi perché erano persone semplici e senza istruzione, letteralmente « illetterati» e «idioti». Idiota nell’ellenismo era la persona senza cariche pubbliche, per cui Pietro e Giovanni sono considerati talmente grezzi e ignoranti che non avrebbero mai avuto un posto nelle cariche pubbliche!
Però, c’è ancora una cosa che dice il v.13 ed è il fatto che la parresìa di Pietro e di Giovanni stupisce le autorità che li riconoscono come quelli che erano stati con Gesù. A me sembra una delle più definizioni più intense di chi sia il discepolo, al di là del fatto che sia uomo o donna, il discepolo è colui che è stato con Gesù. Facciamo attenzione perché qui abbiamo un imperfetto indicativo che indica appunto l’azione di un momento che continua, per cui dovremmo tradurre: quelli che continuavano a stare con Gesù.
Ma le autorità non potevano comprendere questo, per loro Gesù era morto e i suoi discepoli non potevano continuare a stare con lui. Era chiaro invece per Pietro e per Giovanni che sapevano certamente di essere stati con Gesù, ma sperimentavano anche di continuare ad esserlo, nonostante tutto, nonostante la morte di Gesù, ma nonostante anche il rinnegamento, la paura e la loro poca fede perché Gesù li ha amati e continua ad amarli.
Nel vangelo poi abbiamo un altro spaccato della condizione di quella comunità, una comunità che nemmeno il giorno stesso di Pasqua vede insieme tutti gli apostoli. Sappiamo che Tommaso non era con gli altri, torna con loro la domenica dopo, ma torna con un atteggiamento di sfida, con il bisogno, che suona come una provocazione, di dare conferma alle sue esigenze per così dire «scientifiche»: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo!
Per queste sue obiezioni Tommaso diventa il tipo che riassume in sé tutti i nostri dubbi, le nostre incertezze… il suo stesso nome che in aramaico si dice Toma’ (in greco «Didimo») significa: il gemello, il doppio. Tommaso è il nostro gemello, il nostro doppio perché in lui, come in ciascuno di noi, abita il credente e il non credente, un poco di lui è in ognuno di noi.
Le obiezioni e i dubbi di Tommaso sono razionali, ed è evidente, ma secondo me quell’apostolo mette in atto una serie di obiezioni razionali per il fatto che il suo cuore è ferito, è deluso… anche Tommaso è come Pietro e non riconosce più quel Maestro che ha seguito e che ha amato, per questo il suo cuore è arrabbiato… cos’è dunque che lo guarisce?
Sottolineo due cose che emergono dal racconto evangelico. La prima è che Tommaso non viene rimproverato anche se non è andato a messa la domenica di Pasqua! La comunità dei suoi amici lo accoglie, anzi mi viene da pensare che siano andati a cercarlo per dirgli: Guarda che abbiamo visto il Signore! Cioè la comunità mette subito in atto il mandato che ha ricevuto da Gesù: Ricevete lo Spirito santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati…
Una comunità è «cristiana» nel momento in cui vive il dono dello Spirito che il Risorto le ha fatto, cioè il perdono e la misericordia. L’esperienza del Risorto che fanno tutti gli apostoli è quella di essere loro stessi per primi destinatari del perdono del Risorto. Questo è ciò che conta: una Chiesa perdona perché a sua volta è stata perdonata. Verrebbe da dire che tante rigidità, tante forme di intolleranza di noi cristiani non sono solo il frutto di una psicologia fragile, ma anche di una teologia debole e della mancanza d’esperienza del Risorto. Una Chiesa che non perdona non lo può fare in nome di valori più alti di questo, perché tradirebbe la sua stessa natura.
La seconda cosa che guarisce il cuore di Tommaso è il fatto di mettere le mani nelle ferite di Gesù. Anzi non è detto che Tommaso abbia messo le dita nelle ferite, sappiamo per certo che ha riconosciuto il Risorto grazie a quelle ferite. Perché Gesù presentandosi vivo, risorto con un corpo che può attraversare le pareti e le porte chiuse, conserva le ferite della sua mortalità, della sua umanità, della sua fragilità? Perché? Nessuno di noi che abbia subito un’operazione chirurgica ne conserva volentieri le cicatrici, anzi il chirurgo stesso cerca di fare in modo che non si vedano… Come mai Gesù entrato nell’eternità conserva misteriosamente i segni dolorosi della sua passione?
C’è anzitutto un significato teologico che dice l’identità del Risorto è il Crocifisso, il Gesù storico conosciuto e amato dai discepoli è anche il Cristo della fede. La chiesa, che ha al suo centro il Risorto, non dovrà mai dimenticare che egli è insieme il Crocifisso. Il mistero pasquale comprende inscindibilmente la morte e la risurrezione di Gesù.
Ma c’è anche un significato antropologico delle ferite del Signore Risorto: il corpo risorto di Gesù è il corpo che narra la capacità di fare del male subìto, un dono. Ora le ferite nelle mani, nei piedi e nel fianco di Gesù non sono più dolorose, sono trasfigurate, sono fonte di luce perché guariscono e aprono gli occhi a Tommaso e hanno il fascino di una bellezza inedita, non della bellezza della perfezione armonica tanto amata dai greci, ma della bellezza che trasforma i segni del peccato in occasione di amore e di perdono.
Proviamo a domandarci: sappiamo riconoscere quali sono le ferite e le sofferenze delle persone che abbiamo intorno? Qual è il dolore più grande della nostra città e dell’umanità oggi? Sono le ferite delle mani? Le ferite proprie di chi non ha cibo, di chi non ha nulla tra le mani, di chi non ha mani da stringere, di chi non ha mani che lo sorreggano… sono le mani di chi usa violenza? Di chi viene umiliato? Oppure sono le ferite dei piedi? Le ferite di chi non sa andare verso il domani, di chi non ha prospettive di lavoro, di chi è incerto sulle scelte da compiere e non sa dove porre i suoi piedi? Sono le ferite di chi non ha stabilità psicologica o morale? Infine, sono forse le ferite del cuore, di un cuore umiliato, non amato, senza affetti, oppresso dalla solitudine e dall’isolamento? Di chi è rimasto deluso e non ha più il coraggio di amare?
Quante sono le cicatrici che segnano la nostra umanità! E noi di fronte ad esse rischiamo di avere lo stesso atteggiamento dei capi del popolo e dei sommi sacerdoti che considerano queste cose non come il segno dell’amore che trasfigura e cambia il mondo, ma cose da illetterati e da idioti… Tutti questi sono motivi per pregare insieme oggi perché, come ha fatto con Pietro e Giovanni, con Tommaso e Maria di Magdala, come è accaduto a questi nostri padri e madri della fede, il Signore guarisca anche i nostri cuori così che possiamo dire con parresìa, con libertà e coraggio: Tu sei il mio Signore e il mio Dio!