PENTECOSTE - Gv 14, 15-20
Per una chiesa che papa Francesco vuole in stato di sinodalità, vale a dire una chiesa che cammina insieme, i primi a credere nello Spirito santo devono essere i nostri vescovi e i preti: devono sapere che non hanno il monopolio del dono dello Spirito santo e che quindi il primo loro e nostro atteggiamento è quello dell’ascolto di tutti. Più la chiesa è in ascolto e vive il dialogo al proprio interno, tanto più sarà disposta a mettersi in ascolto anche del mondo, e quindi in dialogo con esso.
Perché la chiesa deve assumere questo atteggiamento e non quello tipico della maestra che deve sempre e comunque insegnare?
Dobbiamo riandare all’origine del significato della festa di pentecoste che proprio come succede anche oggi come accadeva già a Gerusalemme, secondo Atti 2, la comunità ebraica celebra la festa di Shavuot, la festa delle settimane che veniva celebrata alla fine della mietitura del grano, per poi diventare la festa del dono della Torah, il dono, come spesso viene tradotto questo termine, della ‘Legge’, il cui significato letterale è ‘insegnamento’.
Nella pienezza del cammino di liberazione dalla schiavitù, accompagnato dal vento, dal fuoco, dal fragore… eventi del Sinai che si ripetono nel Cenacolo, c’è il dono di un insegnamento da parte di Dio al suo popolo.
Solo che a Gerusalemme non viene dato un insegnamento nuovo, una legge nuova, ma viene donato l’insegnante o se volete il legislatore, o meglio ancora l’ispiratore, colui che suggerisce nel profondo della coscienza non doni esclusivi per alcuni ispirati, ma la possibilità di amare, la capacità di donarsi, ovvero continuare a vivere e a fare ciò che Gesù ha fatto fino alla fine.
Non è quella dell’amore una lingua universale? Possiamo essere diversi, come di fatto lo siamo, per origine, per cultura, per interessi, per esperienze di vita… ognuno di noi fa esperienza quotidiana della diversità, ma sperimentiamo anche l’amore, nella sua duplice valenza di essere amati e di amare, come una lingua parlata da tutti e da tutti ugualmente comprensibile.
Se sul Sinai si celebrò un’alleanza esclusiva con un popolo, a Gerusalemme lo Spirito santo suggerisce un’alleanza nuova per tutti i popoli, possibile nella misura in cui ascoltano l’insegnante che Dio ispira nei cuori di ciascuno.
La chiesa è al servizio di questo disegno di Dio, la chiesa è per sua natura sinodale, nel senso che deve smettere di fare programmi e progetti a tavolino per ascoltare lo Spirito santo che parla e suggerisce, a chi è disposto ad accoglierlo, il dono di Dio.
Senza lo Spirito santo la chiesa è un’organizzazione tra le tante. Senza lo Spirito santo le nostre celebrazioni sono riti nostalgici. Senza lo Spirito santo la nostra è un’etica della paura e degli schiavi. Senza lo Spirito santo siamo morti dentro, siamo spiritualmente finiti, spenti, spaventati e impauriti.
Eppure sembra proprio il dono che più ci manca e che dobbiamo invocare sempre dal Signore. Tante cose domandiamo a Dio: salute, pace, serenità… spesso ci rivolgiamo ai nostri santi di riferimento, facciamo appello alle nostre devozioni, ma dovremmo soprattutto e più di ogni altra cosa, invocare il dono dello Spirito santo che Gesù ha promesso e che ha reso tali anche i santi.
Com’erano gli apostoli, le donne e i discepoli nel cenacolo? Pieni di paura, paura di morire, terrorizzati all’idea di ciò che poteva accadere alle loro famiglie… e forse qualcuno era anche accarezzato dall’idea che “essere pochi è bello”, e che questa intimità e familiarità potessero essere umanamente appaganti. Erano insomma nella trappola che avrebbe potuto ridurli a una setta.
Era questo ciò che avevano imparato da Gesù? Era questo l’atteggiamento che avevano visto in lui? No! Niente setta, niente esclusivismi… ma uno spirito libero, un fuoco nel cuore, un vento che non lascia dormire la polvere, come diceva p. Turoldo.
Questo fa in loro lo Spirito: riaccende nei loro cuori e nelle menti le parole di Gesù, la vita di Gesù. Il che non vuol dire affatto una vita chiusa al sicuro in un cenacolo, la vita cristiana non si riduce decisamente una facile devozione da dare a Dio, ma ci sospinge a giocarci in una vita pericolosa al servizio dei piccoli, dei poveri, degli scartati, della giustizia e dell’equità, del perdono e della misericordia.
Insomma, una vita più simile a quella degli amanti che non a quella che accresce il numero sempre elevato dei burocrati di Dio.
Lo Spirito suggerisce, a chi si rende disponibile, di amare dell’amore di Gesù. L’insegnante che ci viene donato rende vive le parole e gli atteggiamenti di Gesù per noi oggi.
È più facile per noi ricordare i nostri insuccessi, le nostre colpe e inadeguatezze, che tra l’altro ci portano tanta tristezza, innumerevoli sensi di colpa.
Lo Spirito santo ci ricorda piuttosto la parola di Gesù che ci insegna ad amare e ci indica quale via prendere, quale strada compiere, come discernere per agire e rialzarci secondo amore. Aperti alla novità di Dio perché non abbiamo a rimanere chiusi in noi stessi, non un gregge che consolida sempre più il suo recinto, ma una chiesa aperta al mondo, perché è aperta al dono di Dio.
Così leggiamo la nostra condizione: ancora il Vangelo deve compiersi, deve essere portato dentro la vita e le scelte che compiamo ogni giorno, se ci rendiamo disponibili al dono dello Spirito che ci rende capaci di ascolto e di dialogo.
Basta con i cristiani morti dentro la polvere delle abitudini, delle osservanze rassicuranti. Lasciamoci rianimare, rigenerare, rivitalizzare dallo Spirito di Gesù. Senza paura, ma anche senza fanatismi, con la certezza però che non ci lascia orfani. Non possiamo essere orfani di Dio.
Invochiamo sempre lo Spirito santo perché ci aiuti a ricordare la parola di Gesù, a camminare insieme come chiesa, testimoni di quell’amore, la cui sete inonda il mondo.
(At 2, 1-11; Gv 14, 15-20)