FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA - Lc 2, 22-33
Potremmo chiederci cosa abbia da dire o da insegnare la pagina del vangelo di oggi per le nostre famiglie. La diocesi celebra la giornata della santa famiglia di Nazaret e noi ci domandiamo in che modo l’obbedienza a una tradizione ebraica possa dire qualcosa a noi oggi, perché anzitutto noi vorremmo ringraziare e pregare per le nostre famiglie, per le famiglie che conosciamo e per quelle che non conosciamo per il grande dono e la grande responsabilità che sono, e poi vorremmo anche intercedere e pregare oggi per quelle famiglie e coppie in difficoltà affinché non siano superficiali, frettolose, ma abbiano la pazienza di lasciarsi lavorare e forgiare anche dalle esperienze dolorose.
Rimane dunque aperta la questione cosa abbia da dirci il fatto che Maria e Giuseppe – seppure non siano nominati – portino il bambino Gesù al tempio di Gerusalemme per adempiere al precetto della Torah, non solo, perché poi non sembra tanto questo il centro del messaggio, in quanto lo spazio dedicato all’incontro con Simeone è abbastanza disteso. Siamo messi davanti a un quadro che potremmo titolare facilmente: il vecchio e il bambino.
La scelta della liturgia è stata quella di fermarsi solo a Simeone, ma non dovremmo tradire la prospettiva di Luca, che ama sempre accompagnare i personaggi del suo vangelo in coppia. Come in altre circostanze sia nella realtà che nelle parabole intorno a Gesù ci sono due figli, due ladroni, due modi di pregare, di vivere… così anche quando viene presentato al tempio, oltre alla coppia dei suoi genitori, si affiancano due personaggi. Simeone e Anna.
Di Anna in particolare Luca dà numerose informazioni, dice che è una profetessa; il nome di suo padre Fanuele, quello della sua tribù, la sua condizione di vedova dopo un breve matrimonio durato sette anni, e la sua longeva età, 84 anni. Senza considerare la sua pratica ascetica e la sua permanenza nel tempio che era diventato praticamente la sua dimora.
Ma è curioso, non dice nulla, o almeno Luca non riferisce alcuna parola di lei. Sappiamo solo che parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Di Simeone si dice che era un uomo giusto e timorato di Dio. È un laico che vive di preghiera senza essere sacerdote, partecipa delle attese del suo popolo… ma soprattutto, si dice che, guidato dallo Spirito santo, il grande protagonista silenzioso di questa pagina, compie un gesto bellissimo, al v. 28: accolse tra le sue braccia il bambino.
A differenza dei Magi che si prostrarono a terra davanti a Gesù e anche dei pastori che si fermarono stupiti davanti alla stalla, Simeone lo accolse tra le braccia. Si tratta evidentemente di un gesto affettuoso che esprime una tenerezza umana molto bella.
Cerchiamo di capire l’umanità di questo incontro: è l’incontro di un vecchio che abbraccia un bambino, di due generazioni che in qualche modo si passano la scena. Il vecchio abbraccia il bambino e abbracciando il bambino sa di abbracciare il proprio futuro. L’episodio ha in sé qualcosa di profondamente umano: l’uomo che gioisce che altri continuino la propria opera. L’uomo che gioisce del fatto che, pure nella propria decadenza, vi sia un risveglio, un rinnovo, qualcosa che va avanti.
Se il brano ci insegnasse anche soltanto questo sarebbe già molto valido per la nostra vita. Non è facile infatti che il vecchio che è in noi accolga il bambino, il nuovo. C’è piuttosto il timore che il bambino non potrà continuare, che non vorrà seguire lo stesso ideale, che tradirà e, addirittura, che prenderà il posto mettendo da parte il vecchio.
Il vecchio Simeone che abbraccia il bambino è una cosa grande, è una cosa importante perché rappresenta ciascuno di noi davanti alla novità di Dio.
La novità di Dio si presenta come un bambino e noi, con tutte le nostre abitudini, paure, timori, invidie, preoccupazioni, siamo di fronte a questo bambino, alla novità di Dio. Questa novità entrerà davvero nella nostra vita o cercheremo di mettere insieme vecchio e nuovo, cercando di lasciarci disturbare il meno possibile dalla presenza della novità di Dio?
Non è solo un incontro umanamente affettuoso, in questo abbraccia si parla di Dio. Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, non è un prete, non è un funzionario del tempio, è un laico, un anziano che si sente ormai vicino alla morte… la sua è una vera e propria benedizione perché vede la fine della dura fatica dell’attesa e i suoi occhi finalmente possono vedere il soterion (neutro), non la soteria (sostantivo femminile), cioè lo strumento della salvezza, perché anzitutto Simeone non può che riconoscere questo: lo strumento della salvezza. Perché la salvezza deve venire realizzata con la vita, le parole, i gesti e la morte e risurrezione di Gesù. Quindi cosa vede Simeone? anzi potremmo chiederci come possa riconoscere in un bambino, che non ha nulla di diverso dai milioni e milioni di bambini venuti al mondo, lo strumento della salvezza al punto da accoglierlo tra le sue braccia! Tant’è che Maria e Giuseppe si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Questa mi sembra una seconda provocazione della Scrittura per noi che facciamo fatica a riconoscere i segni dell’amore di Dio nella vita quotidiana, tante volte ci sentiamo in balìa degli eventi, non sappiamo come orientarci nei terremoti che scuotono le nostre vite e quelle dei nostri cari. Anzi nei momenti del dolore si innalza all’Eterno un grido: ma Dio dove sei? Ti sei dimenticato di noi? Perché Dio stai in silenzio?
Se noi guardiamo Simeone da questa prospettiva, dobbiamo riconoscere che nemmeno lui aveva elementi per così dire oggettivi per dire che Dio fosse lì! Tutt’altro: la situazione politica era dura sotto la dominazione romana, l’ambiente religioso, dominato dai farisei, era tanto zelante ma anche tanto falso e ipocrita, problemi sociali legati ai poveri e ai migranti non mancavano… per certi versi anche Simeone avrebbe potuto lamentarsi del silenzio di Dio e invece arriva un bambino al tempio portato dai suoi genitori e lui prendendolo in braccio dice: ecco, io sono contento, i miei occhi riconoscono che la promessa di Dio è qui!
Non a caso Luca pone questo personaggio, insieme con Anna, all’inizio del vangelo, perché questo è l’insegnamento che ci viene dalla tradizione ebraica di cui Simeone, in quanto uomo giusto e timorato di Dio (il verbo suggerisce l’idea di essere preoccupato per Dio!), ne è l’emblema.
Simeone ci insegna a raffinare la nostra vita spirituale, la nostra vita interiore, il nostro modo di guardare le cose attraverso il crogiuolo della Parola e della preghiera, perché possa accadere anche a noi come a Simeone che un giorno mosso dallo Spirito, non dai suoi capricci, dai suoi gusti, dalla luna di quel giorno, ma mosso dallo Spirito va al tempio.
Interroghiamoci: qual è lo spirito che ci muove? Anche noi facciamo cose, ci muoviamo, pensiamo, amiamo, crediamo, lottiamo, studiamo sempre mossi da qualche spirito… si tratta di capire bene quale spirito ci muove! Lo spirito del nostro narcisismo, del nostro cinismo o della nostra indifferenza? Questo non è santo.
Mosso dallo Spirito santo significa che Simeone si è lasciato forgiare e plasmare nell’intimo dal silenzio di Dio e ha inteso quel silenzio come consegna all’uomo della sua libertà. Dio si ritrae perché tu impari ad assumerti le tue responsabilità.
È proprio l’eclissi di Dio che impone un nuovo ruolo al credente. Lo diceva con parole di una poesia straordinaria Guccini nella canzone del 1972, appunto intitolata Il vecchio e il bambino: «Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera… e il vecchio diceva, guardando lontano: “Immagina questo coperto di grano, immagina i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori e in questa pianura, fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’ uomo e delle stagioni…».
Allora incombeva il rischio di una guerra nucleare, oggi abbiamo su di noi sfide complesse per la pace, i diritti umani, la custodia del creato… per cui il rimando alla nostra responsabilità permane in tutta la sua forza.
Anziché lamentarci con Dio e cercare un capro espiatorio sul quale scaricare le colpe delle nostre nefandezze, impariamo a trattare bene l’essere umano, ogni essere umano, a trattare bene la natura, la montagna, il mare, gli animali, a trattare bene i doni di Dio. Questa è responsabilità, altro che silenzio di Dio!
Preghiamo allora oggi perché nelle famiglie si insegni a pregare, si insegni ad accogliere la novità di Dio e perché i nostri figli imparino ad assumersi le loro responsabilità per la vita e il futuro del mondo.
(Lc 2, 22-33)