II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 21, 28-32
La parabola in sé potrebbe apparirci non particolarmente originale: chi è che non conosce persone che dicono e poi non fanno? Noi stessi qualche volta ci siamo comportati così… Ma cosa c’entra questo con la conclusione di Gesù che pare davvero durissima, quando dice: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio?!
Un’affermazione simile fa pensare che l’intento del Signore non fosse un richiamo generico al valore della coerenza… C’è qualcosa che sfugge a una prima lettura perché non dobbiamo dimenticare la metafora iniziale, quella dell’invito a lavorare nella vigna, metafora che rimanda alla missione che ciascuno di noi ha venendo al mondo: veniamo al mondo per andare a lavorare nella vigna.
È suggestiva la metafora dell’invio nella vigna come interpretazione della nostra vita: veniamo messi al mondo in un contesto che non abbiamo fatto noi, ci troviamo un creato che è dono di Dio, una famiglia che ci dà la vita, una società che non scegliamo… però è anche vero che il mondo, il creato, la famiglia., la società… insomma la vigna ha bisogno di essere curata, coltivata, amata.
La vigna è il mondo, il campo che l’Eterno ci affida perché ognuno faccia la sua parte così che la vigna porti frutto. Non ci sfugga il duplice senso della metafora: è un dono, ma è un dono che riceviamo insieme, così che senza il lavoro di ognuno di noi, senza la nostra corresponsabilità, senza il senso del bene comune… la vigna diventa un rovo, viene soffocata dalle erbacce e rimane sterile, senza frutti.
Nella Laudato sì’ Papa Francesco osserva: «Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti» (202). Se fosse più diffusa questa consapevolezza che siamo chiamati a fare la nostra parte nella vigna, smetteremmo di fare i furbi, di fregarcene, di fare gli indifferenti, perché se la vigna va in malora non riguarda solo qualcuno, ma ci trascina giù tutti, veniamo tutti coinvolti sia a livello ambientale, culturale, politico, sociale in quel decadimento che tanto sembra segnare la nostra epoca, il nostro tempo.
Gesù ci viene a ricordare che proprio per questo nella vigna non si può stare a perdere tempo, nella vigna bisogna lavorare, non puoi stare a chiacchierare, perché se non lavori tu viene meno il tuo pezzo nel bene comune e la tua parte non la può fare nessun altro al posto tuo.
Ma questo ancora non spiega come mai i pubblicani e le prostitute, come dice Gesù, ci passano avanti! Notiamo che non è una possibilità, un’ipotesi… quella di Gesù è un’affermazione: nell’incontro con Dio loro ci superano! Non è che noi ne siamo esclusi, ma veniamo superati.
Ci sorprende che anche nel regno di Dio ci sia la possibilità di sorpasso, ma contrariamente a quello che accade non veniamo superati dai migliori, dai più prestanti… nel regno di Dio, nel modo di fare dell’Eterno veniamo ampiamente superati da chi fa più fatica, dal peccatore, dal fuori di testa, dall’incapace. Perché loro ci superano?
I Padri dicevano che a causa della vergogna per il loro peccato manifesto e del giudizio di condanna che ricevono da parte di molti, sentono il bisogno di cambiare vita, e quindi loro che avevano detto di “no”, poi dicono di “sì” con la loro vita.
Chi pecca di nascosto invece non è mai spronato alla conversione da un rimprovero che gli venga da altri, perché continua ad essere stimato per ciò che della sua persona appare all’esterno: questa è la malattia della maggior parte delle persone, tra le quali primeggiano quelle devote, che disprezzano gli altri considerandoli immersi nel peccato, mentre ringraziano Dio per la loro pretesa giustizia (cf. Lc 18,9-14).
Chi invece è un peccatore pubblico si trova costantemente esposto al biasimo altrui, e in tal modo è indotto a un desiderio di cambiamento.
Non so se sia più sufficiente una tale spiegazione oggi, anche perché le condizioni sociologiche sono cambiate e capita che quelli che ieri venivano indicati come pubblici peccati, oggi assurgano a modelli di comportamento.
Il sorpasso di cui parla Gesù è sempre possibile, quali che siano le condizioni personali e sociali se uno incontra l’amore appassionato di Dio, un amore che viene reso tangibile, visibile, concreto in Gesù.
Di fronte a Cristo non c’è condizione impossibile, non c’è peccato, oscurità, debolezza, vizio, errore… che resista. Nell’amore di Cristo c’è la possibilità di rigenerarsi, perché è sempre vero che una persona si rigenera se amata, se accolta, se compresa. Allora può decidere di cambiare.
Isaia, nella prima lettura, fa cantare Dio! l’Eterno canta l’amore, la sua è un’esplosione d’amore appassionato per la vigna che è il popolo, la nostra umanità. Isaia racconta di un Dio, innamorato perso, che fa di tutto per la sua amata.
Lo dice anche la costruzione poetica davvero straordinaria: il termine «vigna» ricorre sei volte, un numero incompleto che attende una pienezza. Al v.2 poi sono ricordate anche sei azioni di Dio: l’ha vangata, l’ha sgombrata dai sassi, vi ha piantato viti pregiate… anche qui sei azioni che ne attendono una settima come risposta all’amore di Dio.
Vale a dire che il dono di Dio abbonda, è esagerato come quello di un innamorato, appunto sono sei le sue azioni, ma attende la risposta dell’uomo che dovrebbe essere la settima, perché non ci può essere iniziativa di Dio che prescinda dalla libertà umana.
È proprio in forza di tale consapevolezza che Gesù amava sedere a tavola con i peccatori manifesti, condividere con loro questo gesto di estrema comunione. Il suo comportamento svela il cuore di Dio, mostra l’atteggiamento di Dio verso il peccatore, e per questo egli è contestato dagli uomini religiosi, che prima cercano di scandalizzare i suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?» (Mt 9,11), poi lo accusano in modo diretto: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19).
Ma l’amicizia di Gesù verso le persone meno stimate all’interno della società, la sua cordiale simpatia per prostitute e peccatori ignora il disprezzo di quanti si sentono migliori dei peccatori manifesti, semplicemente perché non vogliono o non sanno riconoscersi peccatori come loro.
I due figli della parabola sono entrambi in contraddizione tra il dire e il fare. Ma con una differenza essenziale. Il figlio che dice “no” si espone a un conflitto con il padre e questo lo conduce a prendere coscienza del suo conflitto interiore e a mutare opinione. Cosa che non avviene in chi risponde “sì” e che compiace l’altro, si adagia sull’altro, non si espone conflittualmente all’altro e può evitare di guardare alla tentazione della disobbedienza che abita pure in lui.
Per Matteo è evidente che coloro che vivono nel “sì” sono i religiosi (sacerdoti e anziani del popolo: Mt 21,23) che possono non sentirsi bisognosi di rigenerazione perché già “a posto”, a differenza di coloro che invece vivono nel “no”, pubblicani e prostitute e che avvertono il bisogno di rigenerarsi, di rinascere.
Questa è la volontà del Padre, afferma Gesù, il quale ponendo la domanda centrale nella pagina di oggi: «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» mette i suoi contestatori – ecco il potere delle domande giuste – nella condizione di giudicarsi da soli!
Fare la volontà del Padre non è subire la vita, non è fatalismo. Fare la volontà del Padre non è ergersi a giudici dei comportamenti degli altri, non è fare classifiche e distribuire condanne… ma è permettere all’amore di Dio di arrivare fin dentro i cuori più ottusi, dentro le menti più indurite e aprire possibilità di rigenerazione, perché nel perdono del Padre si dà origine a possibili ricominciamenti e rinascite.
Il Vangelo rigenera perché riconosce che in ogni persona c’è un potenziale inedito, c’è la possibilità di portare frutti di vita.
Il Vangelo rigenera e sblocca le gabbie dei giudizi e dei pregiudizi in cui rinchiudiamo le persone.
Il Vangelo rigenera anche la nostra convivenza civile perché porta alla maturazione del senso comune nella responsabilità della vigna che ci è stata affidata.
Viviamo così queste settimane che dal 1° settembre, giorno memoriale della creazione per le chiese ortodosse, fino al 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi, e con tutti i cristiani teniamo viva l’attenzione per la cura e il rispetto dell’ambiente, per la vigna che è di Dio.
(Is 5, 1-7; Mt 21, 28-32)