III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59


(Gv 8, 31-59)

Questa è una di quelle pagine del Vangelo simili a un intricato sottobosco nel quale risulta difficile orientarsi e per questo è indispensabile ricostruirne il contesto. Il capitolo ottavo era iniziato con i capi che volevano lapidare la donna adultera e Gesù li aveva liquidati mentre, scrivendo per terra, diceva loro: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei. Una presa di posizione che li aveva inchiodati e costretti, cominciando dai più vecchi, a dileguarsi. Questa cosa non poteva restare impunita, anche per la sua evidenza pubblica: prima o poi dovevano fargliela pagare. Infatti il capitolo ottavo si conclude con gli stessi personaggi che raccolsero pietre per gettarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Se poi guardiamo alla struttura interna può esserci di aiuto osservare, come accadeva anche nel racconto della samaritana, che la composizione segue una struttura abbastanza precisa: il dialogo è organizzato intorno a sette frasi di Gesù, cui corrispondono altrettante risposte dei suoi oppositori. Il tutto culmina con un’azione, o meglio una reazione che è appunto il tentativo di lapidare il Cristo.

Non solo, se domenica scorsa nel dialogo con la donna samaritana sullo sfondo appariva la figura di Giacobbe, nel racconto di oggi la figura che viene richiamata è quella di Abramo e vedremo poi in che senso Abramo viene coinvolto nella discussione. Già nelle prime parole di Gesù c’è un implicito rimando ad Abramo, quando dice: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (v.32). Campione della libertà infatti era considerato il grande patriarca che fedele alla parola di Dio aveva, in tutta libertà, lasciato la sua terra.

Questo è il tema di tutta la quaresima che ci introduce alla Pasqua come festa di liberazione. Il nostro itinerario è un cammino di libertà, un processo di liberazione dalle nostre schiavitù, dai nostri idoli, come diceva Gesù nel dialogo al pozzo di Sichem con la samaritana. Per due volte il tema della libertà è ripreso dal Signore: al v.32, la verità vi farà liberi e poi al v.36, Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. Continuo da anni ad essere affascinato da queste parole del Signore: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (vv. 31-32). Ed è una di quelle frasi di Gesù che rimugino da lungo tempo nel cuore e nel pensiero, perché intuisco che evoca qualcosa di importante, di fondamentale anche se non riesco a comprenderla fino in fondo, non si finisce mai di coglierne una qualche sfumatura. Ogni parola ha un suo peso specifico: pensate all’importanza del verbo “rimanere” in Giovanni, al tema della Parola, logos, a quello dell’essere discepoli, della verità, della libertà…

«Ma noi siamo già liberi», dicono i contemporanei di Gesù! Siamo figli di Abramo! Ebbene, dice il Signore, Se siete figli di Abramo fate le opere di Abramo. Osserviamo come il Signore non giri intorno alle parole perché, dice Gesù, se affermate di essere liberi non siete capaci delle opere di Abramo? Quali sono le opere di Abramo? Sono tante. Forse ricordiamo quando Abramo ubbidì alla parola di Dio che gli diceva: Esci dalla tua terra e va’ verso il paese che io ti indicherò… Non poteva forse Abramo diventare santo rimanendo nella sua terra? Non poteva dare testimonianza di fede abitando la sua città? Abramo lascia Ur dei Caldei fidandosi della parola di Dio.

Questa mi pare la più bella esegesi della frase con cui Gesù esordisce nel Vangelo di oggi: Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Abramo fidandosi di Dio è libero. La fede rende liberi: non è paradossale? Oggi, nel modo di pensare comune la fede è sinonimo del contrario della libertà, fede è considerata dai più come dipendenza, come un frutto della paura, se non addirittura dell’ignoranza.

Abramo è il termine di confronto, come dice Paolo ai Galati, per comprendere se la nostra è una religione della legge, dell’osservanza esteriore, della paura appunto, o se è invece una fede libera della libertà di chi si fida della parola di Dio. Abramo è talmente fedele all’Eterno che sarà anche libero di non possedere mai un pezzo di terra: andrà prima a Bethel, poi nel Neghev, poi in Egitto e poi in Edom senza mai possedere un centimetro di terra. Avrebbe avuto di che contestare il Signore e invece Abramo vive di fede e nella fede muore, unico possesso sarà la caverna di Macpela dove prima seppellisce la moglie Sara e dove poi sarà seppellito egli stesso.

Un’altra opera importante di Abramo che la Genesi ci racconta è la preghiera insistente rivolta a Dio quando il Signore gli confida di voler distruggere Sodoma, la città simbolo della perversione, del peccato, della distanza da Dio (Gen 18,16ss). Ricorderete come sia stata una vera e propria contrattazione. Abramo intercede presso Dio per la salvezza della città: Guarda che forse si possono trovare nella città cinquanta giusti, o anche solo quaranta, forse trenta, o solo dieci…». Di fronte al male che dilaga, di fronte alla corruzione e all’iniquità, quando tutti invocano dal cielo punizioni e castighi… Abramo con una libertà straordinaria si mette a trattare con Dio per ottenere misericordia. Abramo conosce bene il Signore, sa che, come diceva il libro dell’Esodo, l’Eterno ha ben tredici attributi di misericordia: Il Signore, il Signore Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa…

Ricordiamo un’altra opera di Abramo: quando alle querce di Mamre accolse nella sua tenda la visita dei tre ospiti, nell’ora più calda del giorno, nell’ora della siesta. C’è qui un esempio che si ispira alla prassi dell’ospitalità orientale, ospitalità che si fonda sulla libertà di cuore nel saper riconoscere nel forestiero, nell’ospite, nel pellegrino un dono di Dio. Si può vivere in ogni incontro con l’estraneo, con il forestiero, con lo straniero… l’accoglienza di Dio.

Infine ricordiamo quella che forse è la più difficile delle opere di Abramo: la sua disponibilità a restituire a Dio quel figlio Isacco che tanto aveva desiderato! Una libertà pazzesca se ci pensiamo bene, che rasenta l’assurdo e ci farebbe pensare a un Dio crudele all’inverosimile. Ma è il segno paradossale della libertà più grande, quella che permette di non morire, perché si affida all’Eterno. Potremmo dire è la libertà dei martiri. Domani nel ricordo della morte del vescovo Romero, celebriamo la giornata dei missionari martiri, in loro riconosciamo la libertà che fu la libertà di Gesù di poter consegnare la propria vita per amore. È forse una delle più alte forme di libertà, quella di essere liberi dalla paura della morte, non come frutto di un atteggiamento stoico, ma come libertà di amare fino al dono di sé. Non c’è soltanto la libertà di credere, di agire e di pensare… la più grande libertà, ci insegna Gesù, è quella di amare così. Non si è mai tanto liberi come quando si ama fino al dono di sé e non si è mai così poco liberi come quando si ama per calcolo.

Ecco allora in questa terza domenica di quaresima, a metà del nostro cammino, ci viene proposta quasi una verifica: siamo liberi davvero? Davvero il Vangelo rende liberi? Non trasmettiamo in genere l’idea invece che la vita cristiana è un insieme di leggi che legano, appunto, che vincolano, di norme morali che costringono? Siamo stati capaci di rendere triste il Vangelo della libertà, per questo siamo noi i primi a doverci convertire e a fare le opere di Abramo, come dice Gesù.

Qual è l’opera di Abramo che posso pensare di vivere di più in questo tempo? Sarà una maggiore disponibilità ad ascoltare la sua parola? Potrà essere l’uscire da qualche egoismo? Oppure devo imparare a riconoscere nel forestiero un dono di Dio? Magari dovrò pregare di più per una qualche situazione che conosco? Oppure si tratta di avere un amore grande che è capace di donare se stessi?

Signore la tua parola continui a farci liberi.