II DI AVVENTO - Mt 3, 1-12
(Is 11, 1-10; Mt 3, 1-12)
Isaia è il profeta dell’Avvento. Non perché avesse capacità divinatorie in grado di prevedere il futuro come un indovino …. Niente di così banale e sciocco. Non sarebbe un profeta di Dio colui che in momenti difficili invitasse la sua gente a non pensare e piuttosto ad evadere dalla quotidianità delle cose, per concedersi surrogati consolatori a buon prezzo. L’uomo di Dio, come abbiamo avuto modo di ascoltare domenica scorsa, non è nemmeno uno che pensi alla storia umana, alla storia del mondo, come ad un ciclico ripetersi di eventi, ad un ammasso informe di dolori, di gioie, di speranze e di delusioni. Il profeta sa che la storia ha una sua direzione, cammina come diceva lo stesso Isaia domenica, verso il monte del Signore, certo è una storia in salita attraverso i tornanti delle vicende umane, ma con una sua direzione: verso l’incontro con il Signore.
Ebbene nel passo di oggi, Isaia dice che quand’ anche la storia sembrasse ridotta a un ceppo di albero tagliato dalla violenza, proprio come un ciocco che non serve ad altro se non ad alimentare il fuoco, tuttavia l’Eterno ha acceso in essa una linfa perenne e divina in grado di vivificare questo ceppo che umanamente non vale più nulla, una linfa capace di far nascere un virgulto, un germoglio.
Isaia, otto secoli prima di Gesù, non poteva immaginare che questo virgulto, questo germoglio sarebbe stato il bambino di Betlemme, ma da uomo di Dio, imbevuto della sua Parola, non poteva che guardare così la storia e confidare nella forza dell’Eterno.
Solo Dio può far nascere nelle situazioni più disperate una speranza, un virgulto appunto, che in ebraico si dice neser, e nel quale la tradizione cristiana leggerà un sinonimo di nazareno. Allora non interessava l’etimologia esatta, ma era importante trovare la conferma che il sogno di Dio passasse attraverso il sogno di Isaia.
Isaia sogna, in un tempo di inettitudine della classe dirigente, che il Signore come aveva mandato Salomone con la sua sapienza e intelligenza, come aveva mandato Davide con la sua fortezza e il suo consiglio, come aveva mandato Mosè e Abramo che avevano coltivato la conoscenza e il timore del Signore, così non avrebbe fatto mancare di mandare uno che potesse addirittura essere avvolto da tutti questi doni. Il profeta descrive i sei doni dello spirito di Dio cui la tradizione cristiana ha aggiunto la pietas e sono diventati così i sette doni dello Spirito santo.
Un personaggio con tutta questa pienezza dei doni di Dio non può non cambiare il corso della storia: ecco allora la visione del profeta che vede realizzarsi in un futuro possibile lo shalom, un nuovo paradiso, ovvero un giardino di pace dove anche la natura, gli animali e l’umanità vivono in una nuova armonia.
Gli animali in particolare vengono descritti alternando un animale domestico e uno selvatico e facendo apparire dopo ogni tre coppie l’uomo, figurato come un bambino. I binomi vanno realizzando la riconciliazione tra gli animali feroci e quelli mansueti, talmente mansueti che basta un bimbo per farli pascolare.
Ci spostiamo di qualche secolo e incontriamo non un giardino, bensì il deserto nel quale risuonano le parole di un altro profeta, perché Giovanni il Precursore è anch’egli un profeta che dice: Razza di vipere fate frutti degni di conversione … perché la scure è già posta alla radice degli alberi … e dopo di me viene uno che brucerà la paglia con fuoco inestinguibile!
Isaia sognava un ceppo che tornava a germogliare, qui il Battista con tutto il suo pragmatismo, sembra dire: non state a sognare! Non è lecito sognare di agnelli e lupi che stanno insieme … se noi non ci convertiamo continuamente al Signore, se non portiamo frutti degni di conversione, cioè se non torniamo a Dio, la scure si abbatterà a stroncare ogni ipocrisia!
Diciamo subito che Gesù smentirà questa attesa del Battista, nessuna scure si abbatterà, nessun fuoco brucerà … tant’è che dal carcere Giovanni manderà i suoi discepoli a domandare a Gesù: Ma sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro? Domanda eloquente perché quando il Precursore sente descrivere l’azione del Cristo e che non corrisponde alla scure attesa, entra in profonda crisi e si domanda se abbia vissuto per qualcosa di vero!
Gesù non sarà la scure che stronca ogni albero infruttifero, ma a ciascuno dirà una parola di speranza e di forza per ritrovare la via del ritorno al Signore.
La parola del Vangelo sarà piuttosto come una spada che entra nel cuore e che mette di fronte alle scelte necessarie per cui ognuno di noi si rende conto della necessità di stroncare ogni radice di peccato e di chiusura per accogliere il Regno, il giardino di pace (Ef 16, 17; Eb 4, 12)!
Gesù non contraddice il Battista, ma chiede che ciascuno di noi, affinché non abbiamo a riempirci la bocca di parole, il coraggio di troncare con il male e di tornare al Signore.
Ognuno di noi può ascoltare l’invito del Battista a fare frutti degni di conversione, cioè a riconoscere quali siano i rami secchi della nostra vita, compiendo un’ operazione di verità, un’operazione fors’anche dolorosa, ma necessaria.
Gesù non è venuto nemmeno come fuoco per bruciare i cattivi e salvare i buoni: ha detto che il grano buono cresce sempre insieme alla zizzania e quest’operazione di giudizio è competenza solo dell’Eterno. Quello che possiamo fare noi piuttosto è di alimentare il fuoco dell’amore, della carità, della misericordia.
Gesù non viene come scure a tagliare in due l’umanità, né come fuoco a bruciare la pula, ma come già Isaia, dirà al più grande peccatore: dal tronco morto della tua vita può nascere un germoglio nuovo, dalla tua indifferenza può nascere un fuoco nuovo, solo torna a Dio, perché è l’unico che quando crediamo che tutto sia finito e che non ci sia un futuro migliore, il suo Spirito può far germogliare l’inedito che è in noi.
Quando diciamo: Io non cambierò mai. Io sono così e non ci posso fare niente … non diciamo solo parole tristi, ma anche qualcosa di profondamente non cristiano, perché pensiamo in definitiva che tutto dipenda solo da noi, che la nostra conversione sia opera delle nostre mani e non un dono che ci viene dallo Spirito di Dio.
La conversione, il tornare a Dio, è esattamente questo: “Possiamo convertirci soltanto perché Dio per primo si è rivolto a noi, donandoci il suo perdono e aprendo la via alla riconciliazione. La conversione è il dono di poter ricominciare da capo” (W. Kasper).
Chiediamo all’Eterno di donarci il sogno di Isaia insieme al pragmatismo di Giovanni. Invochiamo su di noi e sulla Chiesa lo Spirito di sapienza, di intelligenza, di consiglio, di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore, per la nostra umanità perché fiorisca la giustizia e la pace.