XI DOPO PENTECOSTE - Lc 16, 19-31
Quando il ricco si rende finalmente conto di come stanno le cose, è troppo tardi! È ormai morto e sepolto. Ma se è troppo tardi per lui, almeno non è troppo tardi per i cinque fratelli che continuano a stare la mondo.
Quei cinque fratelli siamo noi, è la nostra umanità, i cinque continenti sui quali è presente l’uomo, quell’uomo che da sempre è intraprendente, si dà da fare, si industria, produce, accumula, si arricchisce e che al tempo stesso, lo voglia sapere o meno, ha vicino a sé almeno un altro essere umano segnato dalla miseria, dalla povertà e dalla mancanza della casa, di un lavoro. Nel vangelo questo essere umano ha un nome, si chiama Lazzaro e rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e le contraddizioni di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi.
Lazzaro è anche un’opportunità, un richiamo per i cinque fratelli del ricco. Quei cinque fratelli siamo noi perché questa parabola di Gesù ci insegna una profonda verità evangelica: disprezzare il povero è disprezzare Dio, in questo senso Lazzaro costituisce un richiamo per loro, perché il loro fratello che in vita ha fatto di sé stesso il centro di tutto, chiuso nel suo mondo di lusso e di spreco, escludendo Lazzaro, ha ignorato completamente Dio. Ignorare il povero è disprezzare Dio!
Il ricco non ha un nome, ma viene identificato soltanto con l’aggettivo: “il ricco”; mentre il nome del povero è ripetuto cinque volte, e “Lazzaro” significa “Dio aiuta”. Non solo Dio aiuta Lazzaro, ma Dio aiuta noi attraverso Lazzaro, il suo stare seduto fuori dalla porta è un richiamo vivente al ricco per ricordarci di Dio.
Dio non è mai chiamato direttamente in causa, ma la parabola mette in guardia: la misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo; quando manca questa, anche quella non trova spazio nel nostro cuore chiuso, non può entrare. Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa. Anche per Dio. E questo è terribile.
Tra la prima lettura e il Vangelo c’è una distanza temporale di circa 850 anni. Tra il Vangelo e noi ci sono circa duemila anni… eppure la storia pare essere sempre la stessa.
Erano gli anni del primo dopoguerra, padre Turoldo predicava ogni domenica alla celebrazione dell’eucaristia più frequentata nel Duomo di Milano. In città cominciavano ad emergere i primi squilibri sociali… E, così, una domenica nell’omelia le sue parole forti, provocatorie e dirette incendiarono di sdegno alcuni fedeli della buona borghesia milanese che si premurarono di segnalarle all’arcivescovo.
Allora a capo della diocesi ambrosiana c’era un uomo di Dio, segnato dalla semplicità geniale dei santi, il cardinale Ildefonso Schuster. Egli chiamò padre David e lo invitò a essere più prudente e gli suggerì di scrivere il testo della predica della domenica successiva così da contenere un po’ di più la veemenza della sua passione.
Cosa che il frate fece. La domenica mattina successiva una folla ancor più numerosa era in attesa sotto le navate del Duomo. Con gesto ieratico, padre Turoldo dispiegò i suoi fogli e col registro della sua voce tonante, iniziò la lettura. Ahimè, il testo scritto risultava ancor più rovente del parlato precedente. Ecco alcuni passi che p. Turoldo lesse: «Fino a dove, o ricchi, estendete le vostre bestiali cupidigie? Vorrete forse finire ad abitare soltanto voi la terra, rivendicandone solo voi il possesso? La terra fu data in possesso a tutti, ricchi e poveri: perché, allora, vi arrogate il diritto di proprietà esclusiva del suolo?… Il mondo fu creato per tutti e, invece, voi pochi ricchi cercate di appropriarvene. Anzi, volete non solo la proprietà terriera per l’uso di voi soli pochi, ma volete anche il cielo, l’aria, il mare… Le vostre mense si alimentano col sangue dei poveri, i vostri bicchieri grondano del sangue di molti che avete strangolato col cappio… Le vostre donne sono travolte da una smania sfrenata di indossare smeraldi, giacinti, berillio, agata, topazio, ametista, diaspro, sardonice, e pur di soddisfare i loro capricci, spendono metà del loro patrimonio…».
Non mancava neppure uno schizzo di sarcasmo: «Ho saputo persino, da fonte attendibile, che un ricco avaro, quando gli veniva servito a tavola un uovo, si rammaricava perché così perdeva la possibilità di avere poi un pulcino». E concludeva: «Tu, o ricco, quando fai elemosina, non elargisci i tuoi beni al povero, ma semplicemente gli restituisci il suo. Infatti, ciò che giustamente è stato dato in uso a tutti, lo usurpi tu solo. La terra è di tutti, non dei ricchi… Restituite, allora, al povero, pagate il vostro debito a chi è indigente, perché non potete placare in altro modo Dio a causa della vostra malvagità!».
Naturalmente, subito quel gruppo zelante di fedeli corse dall’arcivescovo a segnalare con indignazione quanto detto dal frate, che fu così riconvocato dal cardinale. Turoldo si presentò e stese davanti a Schuster i fogli con la sua predica. L’arcivescovo scorse le prime righe e si mise a sorridere, continuò a leggere ed esclamò: «Ma questo è sant’Ambrogio!». Si alzò, benedisse il religioso e, com’era suo uso, lo congedò dicendogli un motto che spesso ripeteva: «Faccia bene il bene!».
Infatti lesse alcuni passi di un testo famoso di Ambrogio che prendendo spunto dalla storia della vigna di Nabot rivolse parole di fuoco contro i contemporanei ricchi indifferenti al dramma della povertà e della miseria.
Sono parole che purtroppo permangono di attualità: ancora oggi continuiamo a vivere in un’ingiustizia strutturale, da un parte il ricco occidente e dall’altra quello che chiamiamo il «terzo mondo» e che rappresenta in realtà i «due terzi del mondo», e sarebbe il caso di chiamarlo non «terzo mondo», ma «i due terzi del mondo». Da una parte pochi ricchi i cui nomi risuonano sulla bocca di tutti, dall’altra i poveri sono senza nome e senza volto, ridotti a numeri, a percentuali, a massa anonima e informe di disperati senza importanza.
Riconosciamo che le cose non vanno bene se assistiamo ogni giorno a una violenza fratricida spaventosa, se vediamo il prolificare del commercio delle armi come non mai, se veniamo a conoscenza di guerre insensate… abbiamo bisogno di un cambiamento!
Ma è possibile cambiare le cose? Possiamo sognare un’umanità diversa? Dobbiamo attendere che un giorno di fronte a Dio si faccia giustizia, oppure possiamo fare qualcosa oggi?
Sappiamo che un cambiamento a questo livello non è da concepire come qualcosa che un giorno arrivi magicamente, attraverso una legge, una struttura sociale, una scelta politica… sappiamo dolorosamente che un cambiamento di strutture che non si accompagni a una sincera conversione degli atteggiamenti delle menti e dei cuori, finisce alla lunga per riprodurre schemi vecchi e logori di sfruttamento, di prevaricazione e di violenza.
Come cristiani non abbiamo ideologie da proporre, non abbiamo un disegno socio politico e tantomeno ricette… Certamente oggi abbiamo bisogno di bravi economisti e di onesti uomini di governo… ma, ci ricorda il Signore che ben conosce il cuore dell’uomo, l’umanità, quei cinque fratelli hanno bisogno di qualche profeta che come Elia sappia far vibrare la parola di Dio.
C’è bisogno di profeti che, come dice Gesù nel Vangelo, tengano viva la parola di Dio e che impediscano alle coscienze di addormentarsi perché riconosciamo che le cose non vanno bene se nel mondo ci sono famiglie senza casa, persone ferite nella loro dignità, senza lavoro, contadini senza terra.
Allora più che facili idealismi, dobbiamo generare un «processo di cambiamento». Un processo di cambiamento perché né noi cristiani, né il Papa o chicchessia possiamo avere la ricetta. La storia la costruiscono le generazioni che si succedono, i popoli che camminano cercando la propria strada e nel rispetto di quei valori che Dio ha posto nel cuore.
Siamo noi quei cinque fratelli che sono ancora nella possibilità di avviare un processo di cambiamento, un processo e non un salto miracoloso o improvviso. Un processo di cambiamento che a partire dal nostro stile di vita, dal nostro modo di consumare e di spendere, un cambiamento che sappia rispettare l’ambiente e il creato, un cambiamento nel saper conoscere e leggere e studiare quello che accade oggi.
Un cambiamento che è possibile se ci lasciamo sorprendere dal richiamo del povero che Dio mette sulla nostra strada.
Come diceva bene Gandhi: Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo!
(1Re 21,1-19; Lc 16, 19-31)