III DI AVVENTO - Gv 5, 33-39
(Is 51, 1-6; 2 Cor 2, 14-16b; Gv 5, 33-39)
Per comprendere queste parole di Gesù dobbiamo riandare al loro contesto e leggere per esteso il cap. 5 di Gv, un capitolo nel quale si racconta come Gesù un giorno a Gerusalemme vedendo un uomo che da 38 anni era malato e che tentava inutilmente di entrare in una piscina che era considerata miracolosa, a un certo punto gli dice: Alzati prendi la tua barella e cammina! Quel giorno però era un sabato.
Quando i capi del popolo vedono in giro quest’uomo ben contento di portarsi la sua barella sulle spalle, dopo che questa lo aveva portato per 38 anni, cosa gli dicono? Non è che si congratulano con lui: finalmente sei guarito; non gli dicono: guarda che bello, come stai bene, finalmente! No, ma: Guarda che è sabato e non puoi portare la barella!
Ma come? Cos’era più importante: che quest’uomo stesse bene, si schiodasse finalmente da quella barella? O che rispettasse il sabato? È evidente e scontato e non ci viene nemmeno l’idea di mettere in dubbio che non dovesse essere così.
Come è possibile che i responsabili religiosi possano diventare talmente ottusi da contrapporre il volere di Dio alla felicità della persona umana? Questo è un dramma.
Il Vangelo costituisce per noi come la direttrice nella quale impariamo a vedere le cose dalla prospettiva di Gesù ed evitare quella deriva per la quale un sistema religioso finisce per smarrire l’uomo e diventare un sistema chiuso.
Il Signore per questo ha pagato con la vita, per questo è finito in croce: ha minato alla base un sistema religioso di paura, di controllo, di angoscia per restituire all’uomo un rapporto con Dio che solo lui poteva esprimere.
Scrive Giovanni pochi versetti sopra il passo di oggi: «Proprio per questo i capi giudei cercavano di ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma diceva Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (v.18).
Infatti Gesù dice che non fa altro che continuare a fare quello che fa suo Padre! Ma dicendo così afferma che suo Padre è Dio. E come prova che suo Padre è Dio? Ecco la grande ironia del Vangelo: perché lavora di sabato e se la Scrittura afferma che di sabato l’uomo riposa, afferma anche che Dio invece lavora di sabato. Il Signore riposa anche lui, ma il settimo giorno, il sabato Dio crea l’uomo, lo fa vivere. Così Gesù, figlio di Dio, lavora anche di sabato perché come figlio di Dio, il suo lavoro è divino: fa vivere! La vita è il lavoro di Dio.
L’attività di Dio sin dal primo istante della creazione è dare vita e Gesù ha questa missione di portare avanti l’opera del Padre superando ogni ostacolo, ogni barriera che impedisce all’uomo di vivere, di vivere bene, con gioia. Lui ci vuole in piedi, lui ci vuole liberi, non schiavi.
La parola che abbiamo ascoltato mi suggerisce due considerazioni che condivido con voi.
Anzitutto Giovanni ci fa contemplare e meditare sul rapporto che Gesù dice di avere con il Padre. Gesù dice: guardate che il Battista, predicatore di conversione, era solo una lampada, una lampada che indicava il cammino, ma la luce è Dio, la luce è il Figlio di Dio. Ed è questa luce che pesa più di ogni altra cosa, che conta più di tutto. Gesù è venuto, viene e verrà sempre come colui che ci rivela il vero volto di Dio, che ci comunica la relazione unica tra lui e il Padre.
Naturalmente queste parole non dicono molto, suonano come astratte, vuote se uno non ascolta il desiderio di Dio che si porta nel cuore. Rimangono qualcosa di cui non si vede il significato profondo, perché noi preferiamo e cerchiamo sempre qualcosa di pratico, di concreto. Però, potremmo uscire di qui quest’oggi con la consapevolezza non di avere semplicemente qualcosa da fare, ma di aver ascoltato Gesù che ci ha parlato della sua fede, del suo rapporto col Padre.
Ed è soprattutto Giovanni che nel vangelo ci dona la sua esperienza di discepolo amato, nella quale ha conosciuto certamente la tenerezza e la bontà di Gesù, ma anche qualcosa di più intimo e più profondo come la sua relazione con Dio. Al punto che in Giovanni è quasi impossibile parlare del Padre se non in relazione con Gesù suo Figlio, una relazione che non confonde i due, essi sono due pur essendo uno. E questo è l’irriducibile del Vangelo anche nel dialogo religioso, sia con gli ebrei, nostri padri nella fede, che con l’islam.
C’è poi una seconda considerazione che ha una ricaduta più concreta se volete e che mi viene dal grave atteggiamento dei capi del popolo che in nome della Legge di Dio si trovano ad andare contro il Figlio di Dio e quindi contro l’uomo, al punto tale da non riconoscere la bellezza della vita guarita, dell’uomo rimesso in piedi.
Cosa ha impedito a quelle persone, religiose e magari anche brave nelle loro cose, di riconoscere che stavano sbagliando?
La questione è che non puoi dire di amare Dio se poi non vuoi bene al paralitico, se non vuoi la gioia del povero, dell’emarginato. Perché Gesù fa così, e il Vangelo ci dice che il volto di Dio è quello di Gesù che incontra il peccatore, il ladro, la prostituta … Non puoi difendere la legge di Dio se non ti curi della vita e delle sue fragilità.
In fondo quelle persone erano autorevoli per certi aspetti, perché interpretavano bene le Scritture, tuttavia non hanno saputo donare a quell’uomo la tenerezza e l’attenzione che il Signore invece ha saputo donargli. Preoccupati del loro sistema, della loro organizzazione, delle loro regole hanno finito per vivere per queste cose, ottusi nel riconoscere che Gesù nell’opera del Padre che sta compiendo, si pone a servizio dell’uomo e dell’umanità.
In maniera del tutto assurda, dal loro punto di vista era meglio che quell’uomo stesse ancora sulla sua barella, era più importante l’osservanza delle regole, che l’amore che lo ha rialzato e lo ha restituito alla libertà.
Mi sembra che anche noi, come i credenti di sempre, siamo sempre esposti al rischio di far diventare la nostra fede o una disumana osservanza oppure, per dirla con Paolo, un profumo di vita.
Paolo dice: noi siamo dinanzi a Dio il profumo di Cristo nel mondo.
Pensate che bello se noi con la stessa passione di Gesù per l’uomo, con le sue stesse attenzioni per l’uomo, diffondessimo il profumo di Cristo. Il profumo non ha bisogno di spiegazioni, se c’è lo senti.
Preghiamo insieme in questa eucaristia perché il Signore tolga dal cuore ogni pregiudizio, ogni asprezza, ogni ruvidezza soprattutto nei confronti degli altri, perché anche ciascuno di noi lì dove si trova a vivere, possa aiutare chi è impacciato, chi è impedito a rialzarsi e a ritrovare il gusto e il profumo della vita.