V DI AVVENTO - Gv 1, 6-8. 15-18


È proprio vero, e siamo qui anche per tenercelo bene in evidenza, che Nessuno ha mai visto Dio! Come dice Giovanni nell’ultima frase del passo di oggi: Dio nessuno lo ha mai visto, ma proprio nessuno. Ci sono persone che dicono di aver avuto la visione di santi, sono numerose nella storia le persone che dicono di aver visto Maria… alcuni privilegiati hanno avuto anche una qualche visione del Cristo, ma Dio nessuno lo ha mai visto. Mai.

Ed è una costante della Bibbia che pure avrebbe il suo vantaggio nel cercare di fare vedere Dio, tuttavia nemmeno i grandi patriarchi come Abramo, Giacobbe, Mosè, né le grandi donne come Sarah, Rebecca, Giuditta, nemmeno Maria di Nazareth ha potuto dire di aver visto Dio.

E se questa cosa anziché essere un difetto, una mancanza, un’impossibilità, fosse un dono? Se, per cogliere qualcosa del mistero di Dio, fosse necessario riconoscere che il non vederlo è una presa di distanza dalla nostra avidità del voler possedere? Noi siamo fatti così per cui tutto quello che vediamo siamo portati a farlo nostro, lo riduciamo a oggetto, lo manipoliamo… così che il rischio di farci proprietari di Dio è altissimo. Come tutta la storia umana sta a dimostrarlo.

In questa cosa ci sono dei maestri straordinari quali sono i profeti, i quali neppure possono dire di avere mai visto Dio, tutt’al più di averne udito la parola – che è già una bella pretesa-. Nella prima lettura di oggi il profeta Michea esordisce dicendo: Così dice il Signore Dio… ecco io manderò il mio messaggero a preparare la via davanti a me.

Così dice Dio… come fa uno a dire una cosa del genere? Diffidiamo da coloro che pretendono di parlare in nome di Dio. Quante volte abbiamo guardato con sospetto chi veniva a dire: Questa è volontà di Dio. In realtà era volontà di chi parlava e di chi aveva tutti gli interessi a far sì che le cose andassero come voleva lui. Questi sì che sono idolatri perché pretendono di parlare in nome di Dio, di sapere cosa voglia Dio, cosa si debba fare in nome della religione, dei valori…

Il profeta non è uno che tiene in mano la verità di Dio, il profeta cammina davanti a uno che non vede, sospinto solo dalla Parola. Il profeta vive nell’insicurezza e nel travaglio di una Parola che lui non possiede, ma da cui è posseduto, di una Parola che lo plasma, lo forgia, lo lavora fin dentro le fibre dell’intimità. Perché la Parola lo possiede, si prende tutto di lui.

In questo senso cammina avanti. Non attira l’attenzione su di sé, non concentra gli sguardi degli uomini e delle donne del suo tempo su sé stesso. Non indugia a far sì che le orecchie dei suoi contemporanei siano coccolate da parole tanto suadenti quanto vuote. Non gliene importa nulla del consenso e del séguito. È libero, come Giovanni il Battista, che il quarto Vangelo chiama appunto Giovani il Precursore, perché purificato il cuore e lo sguardo dalla smania di poter controllare Dio, è aperto all’inedito di Dio, alle sorprese dell’Eterno, fedele a una Parola di cui nemmeno lui dispone secondo il proprio gradimento.

Chi mai poteva annunciare che la Parola di Dio si è fatta Uomo?

Quale teologo o esegeta, fariseo o scriba, sacerdote o levita poteva giungere a dire una cosa del genere? Solo un profeta poteva spostare lo sguardo dei suoi ascoltatori e seguaci da sé stesso sull’uomo Gesù affermando: quel Dio che non avete mai visto, è visibile in quest’uomo.

E ancora non sapeva cosa avrebbe fatto. Anzi sperava avrebbe acceso un fuoco purificatore, avrebbe messo la scure sulla radice degli alberi secchi, avrebbe in qualche modo fatto giustizia eliminando il male e l’iniquità.

Un profeta vecchio stampo insomma, come quando si erge in tutta la sua dignità davanti alle prepotenze del potere, con tutti i rischi che questo comporta. All’arroganza di Erode e alle trame di Erodiade risponde con la parresia, con il coraggio e la libertà che gli vengono da un cuore radicato in una Parola che non gli appartiene. Ecco il profeta prepara la strada. Ma poi Dio disegna lui la strada, a modo suo. Con Gesù la disegna secondo il suo cuore e nemmeno secondo le aspettative del profeta.

Tant’è che ricordate a un certo punto Giovanni il Precursore manda i suoi a intervistare Gesù: Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro? Perché non stai facendo nulla di quello che avevo detto! Il male trionfa, la corruzione dilaga, ognuno fa i propri interessi… dov’è questo fuoco purificatore? Dov’è il giustiziere di Dio che mette a posto le cose?

La risposta ci viene dalla testimonianza dell’altro Giovanni, l’evangelista e discepolo amato, che stando con Gesù, vivendo con lui, mangiando con lui, camminando insieme a lui ha visto nelle parole e nei gesti di Gesù il volto di Dio. Dalla sua pienezza abbiamo ricevuto grazia su grazia.

Giovanni può testimoniare di aver ricevuto grazia su grazia, cioè amore gratuito, amore pieno, senza riserve. La grazia, in greco charis ci fa pensare alla carezza, la grazia come carezza di Dio per questa nostra umanità. Dio in Gesù non viene come castigatore e giudice impalcabile, ma come carezza. Dio non ci prende a schiaffi come molte volte ci meriteremmo, ma vince la nostra durezza di cuore con la tenerezza della sua misericordia. Se non è una carezza questa!

Gesù non ha portato nella storia dell’uomo un dio padrone, un dio giustiziere, ma ha portato l’Abbà, il papà, la mamma, le viscere materne di misericordia.

Allora noi che non abbiamo mai visto Dio, ma che nella nostra vita facciamo l’esperienza di essere da lui amati in maniera del tutto gratuita, di questo possiamo essere profeti oggi.

Abbiamo una Parola da vivere e da testimoniare che diffida tutti coloro che pretendono di controllare l’agire di Dio e che lo vorrebbero come giustiziere e ordinatore del disordine del mondo.

Anzi dobbiamo stare attenti perché non è che come discepoli abbiamo il monopolio della profezia: lo Spirito soffia e smuove i cuori e le menti più liberi e spesse volte in modi e in persone in maniera inaspettata.

Osserviamo l’affollarsi silenzioso di uomini e donne nelle piazze, muti come pesci, ma determinati a resistere: non è una forma di profezia per un linguaggio più rispettoso, mite e dialogante? Non è una forma di profezia contro l’arroganza di chi dimentica l’immagine di Dio iscritta nel volto dei fratelli?

Cosa ci dicono questi profeti di oggi? Dicono al potente: Tu mi dici di trascurare il povero e di ignorare lo straniero e pretendi che io ti ascolti?

Ma io resto libero di non ascoltarti e di ascoltare, al posto tuo, proprio l’ultimo. Rimango libero di trascurare le tue parole per non trascurare la vita ferita del forestiero, del bambino, del povero.

Resto libero di ascoltare la voce dell’altro bisognoso e di non dare ascolto alla tua pretesa di ostilità.

Il non ascolto non è un gesto di intolleranza, ma di scelta su chi merita di essere ascoltato: questo non è affatto antidemocratico. Anzi, è la giusta resistenza allo svuotamento della democrazia.

Nessuno può permettersi di negare il diritto di parola a chiunque, anche ai peggiori populisti e sovranisti. Ma non arrendersi alla parola populista e sovranista, e in generale alle parole vuote e doppie, non concedere loro alcuno spazio nell’ambito dei nostri ascolti e della nostra cultura, è proprio la possibilità profetica che dobbiamo riconoscerci.

È una fonte di speranza la forte voce di cambiamento che viene dal basso, da un numero sempre crescente di cittadini. Non è una forma di profezia per quei governi che sono incapaci di agire per il bene comune?

È una carezza di Dio la profonda e saggia intuizione di quei giovani che si battono per salvare il pianeta e il clima da un cannibalismo primordiale e criminale.

Ricordiamoci sempre che Dio nessuno l’ha mai visto, ha ragione Giovanni il discepolo amato, ma il mondo è pieno di grazia, è avvolto dalla mano di Dio che in Gesù ha accarezzato le vite dei poveri, dei piccoli, degli ultimi.

Allora se Dio non lo vedi, il povero lo puoi vedere. L’ammalato lo puoi vedere. L’anziano lo puoi vedere. Il disperato lo puoi vedere e offrirgli una carezza. Sarà per lui come una carezza da parte di Dio.

(Mi 5,1. Ml 3,1-7; Gv 1, 6-8.15-18)