NATALE DEL SIGNORE - messa nel giorno - Lc 2, 1-14
(Is 2, 1-5; Gv 1, 9-14)
Comincio col confessarvi la fatica che provato nel cercare di raccogliere anche solo un pensiero da donarvi in questa notte santa. La fatica per un verso è quella che viene sempre dalla nostra inadeguatezza nel contemplare il mistero di Dio che si fa uomo, del Verbo che si fa carne e nel non riuscire a trovare mai le parole adeguate.
Ma la fatica più grande è stata quella delle innumerevoli interruzioni del campanello di casa che continuava a suonare. Una processione inarrestabile di poveri che con dignità e umiltà vengono a chiedere, numerosi più che mai. La fatica non erano solo loro, ma soprattutto quello che loro mi dicevano e ci dicono con la loro presenza, il loro discreto percorrere le vie del centro città.
E ho pensato come nei secoli antichi, soprattutto ai tempi dei primi concili, i grandi pensatori cristiani discutevano a lungo, con forza, intelligenza e anche con veemenza per cercare di comprendere come Gesù potesse essere uomo e Dio, come potevano stare insieme la sua natura umana e divina. Era questo il cuore del grande dibattitto teologico e culturale e i Concili si sono celebrati proprio per fermare il diffondersi delle varie eresie che riguardavano soprattutto il Cristo, la sua natura, i rapporti con il Padre…
Ne abbiamo una riprova nel Simbolo della fede, il Credo che proclamiamo nelle nostre assemblee è il frutto di sintesi e di fede di quelle lunghe e appassionate discussioni e ricerche. Infatti è di un’intensità tale che se solo dovessimo soppesare ogni parola, se a ognuna di esse dovessimo riconoscere il carico di storia che porta, non finiremmo più.
Quante intelligenze, quanta passione per scrutare il mistero del Figlio di Dio fatto uomo e per combattere le eresie che deviavano dalla vera fede, in quanto c’era chi metteva più l’accento sull’umanità di Gesù, c’era chi lo poneva sulla sua divinità… operando quindi una sorta di scelta, perché questo appunto significa eresia: scegliere, selezionare (aireo) una parte sul tutto.
In maniera sempre più dolorosa e drammatica mi rendo conto che oggi invece le nuove eresie non riguardano la natura umana o divina di Gesù, non toccano il Verbo incarnato e il suo rapporto col Padre, ma riguardano l’uomo, l’umanità. Si concentrano sull’antropologia.
Le eresie moderne riguardano la dignità umana: sono le bocche cucite dei nuovi schiavi che ci parlano molto di più di tante voci superficiali; eresia moderna è la violenza sulle donne utilizzate come corpi da sfruttare; eresia moderna sono i malati e gli anziani visti come un costo da abbattere; è la vita ridotta a funzionalità produttiva; è l’organizzazione economica che tende a distruggere le relazioni della famiglia; è il culto dell’apparire che inculca nei nostri giovani l’idolo dell’immagine e li abbandona nel più bieco conformismo…
Perché mai siamo diventati un popolo volgare, immorale, banalmente edonista, che non trova migliore passatempo che creare correnti di opinione pubblica contro tutto, senza proporre mai nulla di costruttivo? Un paese che non sembra avere un’identità culturale e che non trova forme di coesione neppure nell’apprezzamento del proprio patrimonio artistico, un ceto politico chiuso nella autoreferenzialità, che trasforma i partiti in associazioni di vere bande di interessi: siamo dinanzi a un vero e proprio disastro culturale.
Ecco, mi sembrano queste oggi le eresie che contraddicono il Natale di Gesù, perché quando noi diciamo che il Verbo si è fatto carne, o quando diciamo con Luca Oggi è nato il Salvatore che è un bambino… riconosciamo la dignità di ogni persona, di ogni essere umano, non possiamo scegliere, selezionare solo quelli che la pensano come noi, perché Dio ci considera tutti suoi figli.
E invece noi continuiamo a dividerci, a non riconoscere agli altri umani una pari dignità, ci sentiamo proprietari della terra che non ci appartiene… al punto che quello che diceva il profeta Isaia nel VIII secolo è vero ancora oggi: siamo un popolo che cammina nelle tenebre. Infatti facciamo fatica a vedere un orizzonte, una speranza, un futuro.
Ma proprio in queste tenebre, di cui la notte in cui siamo sono un simbolo, risplende una grande luce. Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce (Is 8). Sì, anche se camminiamo nelle tenebre, il Signore non ci ha abbandonati e con Gesù, come scrive il vangelo: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Veniva nel mondo. Giovanni non afferma semplicemente che è nel mondo, ma che veniva e quindi continua a venire quella luce che illumina ogni uomo. Lungo tutto il succedersi delle generazioni il Logos viene incontro a ogni persona, a ogni uomo e donna. Pensate che apertura di spirito ci dona il vangelo di Giovanni, apertura che in seguito i cristiani hanno raramente dimostrato. San Giustino (+ 168) arrivava addirittura a parlare della semenza del Logos innata in tutto l’intero genere umano. Secondo lui Socrate aveva parzialmente conosciuto Cristo perché tutti i princìpi giusti che i filosofi e i legislatori hanno formulato, li devono al fatto che hanno contemplato parzialmente il Logos.
E noi che faremo in questo Natale, care sorelle e fratelli? Saremo capaci di rifrangere e rispecchiare la luce del vangelo per squarciare il buio di tante eresie sull’uomo? Seguiamo l’esempio luminoso di Papa Francesco: finalmente con lui la Chiesa sembra diventare un focolare di speranza e non più una fortezza che si sente assediata o una dogana che regola la fede, ma una chiesa che torna ad annunciare a tutti gli uomini e a tutte le donne che siamo figli amati da Dio.
Il messaggio non cambia, è sempre quello del Vangelo. Ma la novità è che qualcuno lo prende finalmente sul serio e se noi annunciamo un Dio che si fa vicino, che si fa uomo, si fa presepio, cioè semplice, umile, disadorno, essenziale, allora non potremo che scendere anche noi in questa condivisione di semplicità e di umiltà, vincendo la tentazione di riempire questo presepe con le nostre mille cose, come diceva già san Girolamo (+ 420) che fece proprio di Betlemme la sua casa: «Noi oggi con la scusa di onorare il Cristo, abbiamo eliminato la sporcizia dalle stalle per sostituirla con oro e argento, ma per me è molto più prezioso quello che abbiamo tolto. Oro e argento si addicono ai potenti, ai ricchi, ma a chi crede in Cristo si addice di più quella stalla di terra battuta».
È proprio lì nella stalla di terra battuta che il Signore ha preso carne e scardina le eresie sull’uomo che ci dividono, che mettono in continua competizione gli uni contro gli altri, ed è lì in quella reale condizione della nostra povertà e miseria che inutilmente nascondiamo, è lì il luogo dove costruire la fraternità, quella fraternità che è il nuovo nome della pace. Il presepe è per noi profezia. Poiché in Gesù siamo resi figli e abbiamo un solo Padre che è Dio e siamo tutti fratelli e sorelle, partecipi del comune destino e della stessa umanità.
Vorrei gridarvi il mio augurio, quasi una supplica:
Non servite i potenti, ma impariamo a stare dalla parte dei più deboli!
Non state sempre a calcolare, ma doniamo gratuitamente.
Non cedete alla tristezza, ma crediamo insieme che un altro uomo può nascere, che una nuova umanità è possibile.
Aiutiamo la luce del Vangelo a splendere ancora nelle tenebre. Buon Natale.