ULTIMA DOPO L’EPIFANIA detta "del perdono" - Lc 19, 1-10
Potremmo titolare il passo di oggi: il potere dello sguardo. Infatti tutto avviene in un movimento di sguardi: Zaccheo cerca di vedere Gesù e Gesù alza lo sguardo. Quanto può fare un modo di guardare diverso, attento meno frettoloso e superficiale. Puoi vedere dentro il cuore, dentro l’anima dell’altro.
E volendo approfondire ci potremmo domandare: cos’è che muove gli occhi? Cosa vogliamo vedere quando cerchiamo di incrociare lo sguardo di qualcuno? Ma anche: cosa evitiamo di vedere quando invece distogliamo lo sguardo?
Spesso è qualcosa che abbiamo dentro e di cui non abbiamo nemmeno una grande consapevolezza, eppure ha il potere di muovere braccia e gambe, di condurre lo sguardo a cercare, a vedere, ad abbracciare, a stringere.
Il primo sguardo nel vangelo di oggi è di Zaccheo: capo dei pubblicani e ricco. Non c’era bisogno di dirlo. Già domenica scorsa abbiamo incontrato un altro ricco pubblicano Levi Matteo, ma oggi non è un pubblicano qualsiasi, è il capo dei pubblicani e per di più della città di Gerico!
Ritorna insistente il tema – quanto mai attuale – della ricchezza e di chi senza scrupoli fa della propria vita una corsa al denaro. Viene da pensare a coloro che in tempi di finanza speculativa hanno trasformato l’avarizia da vizio capitale a virtù pubblica.
Osservando Zaccheo ho pensato al protagonista della canzone «Un giudice» di De André. Il cantautore parla di un ometto piccolo di statura che a causa di questo difetto fisico da ragazzo subisce ogni sorta di umiliazione, viene escluso, emarginato… Salvo poi, una volta diventato «giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male», prendersi la rivincita nel comminare sentenze terribili contro gli altri.
Nel finale però quando arriva la morte, ecco il colpo di genio dell’artista, l’arrogante giudice scopre di non conoscere «affatto la statura di Dio».
Zaccheo non conosce la statura di Dio, conosce benissimo la sua: è proprio piccolo e parliamo di una bassezza morale, etica, spirituale che gli rodeva dentro, infatti doveva avere una qualche ansietà interiore, un’insoddisfazione, un’inquietudine e forsanche un’aspirazione a uscire da quella grettezza che lo ha reso ricco di denaro, ma povero di relazioni, più temuto che amato… infatti è tutto solo quel giorno.
Se fosse stato soddisfatto della propria vita Zaccheo avrebbe disprezzato Gesù come un ciarlatano che girava le strade insieme a i poveri, ai malati… invece doveva proprio essere stanco di stare chiuso nella sua ricchezza, circondato da gente opportunista, ed è così che affiora nel suo cuore una profonda nostalgia, mai riconosciuta e ammessa che attende di essere vista, che aspetta di incrociare uno sguardo che lo raccolga e lo accolga.
Ed è appunto lo sguardo di Gesù. Uno sguardo che dal basso si alza verso l’alto, forse attratto dal muoversi di qualcuno tra i rami del sicomoro, per vedere un uomo che non dovrebbe stare lì.
È lo sguardo di Dio, notate, che sta in basso e guarda l’uomo che pensa di stare in alto. Questo rivela la statura di Dio: sta in basso e vede l’uomo ricco che si mette in ridicolo agli occhi della gente con la sua iniziativa bizzarra di salire sui rami del sicomoro.
Quello di Gesù poteva essere uno sguardo interessato. Il Signore poteva cercare di farselo amico: avere nel gruppo qualcuno con un poco di denaro avrebbe reso la vita più semplice. Condividere il denaro e il prestigio del capo dei pubblicani di Gerico era una strada possibile che molti prima di lui avevano sicuramente intrapreso.
Oppure Gesù poteva avere uno sguardo di rimprovero, poteva biasimarlo e metterlo di fronte alla sua meschinità: sei proprio un ladro, rubi soldi alla tua gente per il dominatore romano! Vergognati.
C’è lo sguardo che seduce, che conduce a sé, che attira l’altro nel cerchio delle proprie influenze e dei propri interessi. C’è lo sguardo altezzoso di chi si sente superiore e giudica, condanna, esclude, sentenzia…
Gesù ci insegna che c’è un altro modo di guardare, non so se definirlo più empatico, più intelligente o più rispettoso… certamente tutte queste cose insieme, ma potremmo dire semplicemente che è umano. Infatti ciò che Gesù dice a Zaccheo rende bene il senso del suo sguardo e credo che nemmeno Zaccheo potesse aspettarsi tanto: Gesù di Nazareth si invita a casa tua!
C’è una sottile ironia che non percepiamo nella nostra lingua, perché il nome proprio Zaccheo (gr. Ζακχαῖος, ebr. zakkāj), deriva dalla radice zkh significa «innocente, giusto» (cf 2 Mac 10,19). Che cosa può aspettarsi da Dio uno la cui vita è esattamente il contrario dell’innocenza e della giustizia? Un giorno Gesù aveva dichiarato: «Quanto è difficile per un ricco entrare nel Regno di Dio!» (18 ,24). Ma subito dopo aveva anche detto: «quello che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio» (18, 27).
Eppure questo è l’invito del Signore: « Zaccheo, scendi subito da quell’albero!»: umanissimo Gesù! Non dice: «Scendi subito perché devo convertirti». Ma: «Voglio avere il piacere e l’onore di essere tuo ospite». Gesù accoglie Zaccheo ancor prima che questi si converta.
Infatti subito i pii, gli uomini religiosi mormorano: «Ma come? Cosa fa? Parla di Dio e della sua giustizia ed entra in casa di un pubblicano?». La misericordia di Dio è scandalosa, eppure è lo sguardo di Dio che rigenera la storia umana.
Come scrive don Primo Mazzolari commentando questa pagina: «Io posso anche non vedere il Signore: lui mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. Io guardo e mi scandalizzo, guardo e giudico, guardo e condanno, guardo e tiro diritto: lui mi guarda, si ferma e si muove a pietà».
È questa la forza dello sguardo del Signore che sull’albero non vede solo il pubblicano, l’evasore, il ladro o il ricco, ma vede un uomo che chiama per nome, vede un figlio di Abramo e per questo il suo sguardo è trasformativo, generativo di un cambiamento, che noi chiamiamo conversione. Una conversione che è conseguenza del fatto che Zaccheo è liberato da uno sguardo avido, bramoso, possessivo delle cose che gli impedisce di vedere le persone! Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Oggi sei salvato, oggi sei liberato e puoi cambiare stile di vita e modo di stare con gli altri.
Zaccheo con il suo restituire ricuce i rapporti di solidarietà e di giustizia con i suoi concittadini. Zaccheo non smette semplicemente di rubare, ma imparar a donare. Il suo donare a quanti ha derubato non è l’elargizione del potente che come un faraone fa scendere sui sudditi la sua beneficenza, quella sarebbe un’elargizione tossica perché non ripara la giustizia e la relazione, ma crea dipendenza e non riconosce all’altro la sua dignità.
Non promette che andrà più spesso al tempio a pregare o che aumenterà le sue devozioni, magari farà anche quello, ciò che conta è che incontrando Gesù ritrova il senso della comunità in cui vive, diventa capace di giustizia e di onestà, si decide per una vita secondo la misura della statura di Dio.
Per chiudere sono dunque tre cose che ci possiamo portare a casa da questa pagina di Vangelo.
Anzitutto l’atteggiamento di Gesù che attraversava la città con uno sguardo capace di vedere le persone, di vedere la donna, l’uomo ben al di là dell’etichetta che noi gli piantiamo addosso.
Occorre coraggio anzitutto per attraversare la città. Ieri abbiamo vissuto un’esperienza straordinaria, con decine di migliaia di persone (si parla di 200.000) abbiamo percorso e attraversato la città per dire Prima le persone. Per dire che per noi il nemico oggi è la diseguaglianza, lo sfruttamento, la povertà. Nemico del nostro futuro non sono le persone che siano poveri, migranti o altro. Prima le persone che sono da guardare sempre con uno sguardo rigenerativo. Cosa c’è di più importante di un essere umano, dei suoi diritti, della sua dignità?
In secondo luogo, con Gesù che entra in casa di Zaccheo, impariamo a costruire esperienze di vita fraterna, accogliente. Gesù non si lascia fermare né dal fatto che Zaccheo sia un peccatore e neppure che la gente possa mormorare. Nelle nostre relazioni ci sia spazio per chi condivide già la gioia del Vangelo, ma anche per chi è più lontano, per formazione, per tradizione, per storia personale, per contesto familiare. Impariamo ad accogliere i fratelli nella fede, ma anche i fratelli e le sorelle di umanità.
Molti non si aspettavano niente da Zaccheo, eppure Gesù a questo uomo dà una nuova speranza, gli cambia la vita e lo riempie di gioia. Come sarebbe diversa la vita ecclesiale se i luoghi delle comunità cristiana fossero sempre più crocevia sciolti, leggeri, capaci di entrare nei veri bisogni dei giovani e dei ragazzi di oggi, di creare occasioni di vera fraternità.
Infine, una terza cosa è che abbiamo ad imparare sempre di più a stare vicini al soffrire e al dolore del mondo, ad essere solidali, a condividere. Gesù suscita nel cuore di Zaccheo il desiderio di agire, un agire nuovo, giusto per essere parte attiva della sua comunità, della città di Gerico.
Zaccheo impara ad amare la sua città, non più a sfruttarla. Anche il suo sguardo cambia: non vede più solo gente da spremere, cui chiedere denaro, ma persone cui donare, con cui condividere.
Sembra tante volte che la nostra umanità sia impermeabile, perduta, inaccessibile al Vangelo, ma forse è solo il nostro sguardo sbagliato da cambiare. Per Gesù non c’è niente di perduto che non possa essere liberato, cominciamo dal modo in cui rivolgiamo il nostro sguardo sulle cose e sulle persone.
(Sir 8,11-14; 1Cor 2,5-11; Lc 19,1-10)