DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE (29 agosto) - Mc 12, 13-17
Non c’è tema come quello di oggi che esiga delle risposte. Quando si tratta del rapporto tra la fede e la politica, le domande si fanno incalzanti. Al di là di qualche tentativo maldestro di condizionare le scelte che spettano ai parlamenti o viceversa di autorità politiche che limitano la libertà religiosa, almeno in Occidente siamo giunti a una sana e giusta distinzione tra poteri.
Un percorso tutt’altro che agile e indenne da violenze, e che oggi non è scontato per tutti. In Iran per esempio, l’autorità religiosa custode del Corano ha l’ultima parola sulle leggi emanate dal Parlamento…
Vediamo cosa ha da dirci la parola di Dio. La prima lettura tratta dal libro dei Maccabei (1,10.41-42; 2, 29-38) ci ha narrato la reazione dei mille giusti di fronte allo strapotere di Antioco che in pieno ellenismo voleva imporre un modello di unità dell’impero che fosse omologazione di culture e di riti, così che l’ebraismo doveva cedere il passo al politeismo greco. Ebbene la reazione fu quella disperata di nascondersi nel deserto, disperata perché quei mille non opposero resistenza alcuna e vennero sterminati.
Nella seconda lettura Paolo scrivendo ai cristiani di Efeso (6, 10-18) ricorre alla metafora dell’armatura militare per descrivere la vita del discepolo considerata alla stregua di una lotta spirituale contro i dominatori di questo mondo tenebroso, lotta che si combatte con la corazza della giustizia, lo scudo della fede, la spada dello Spirito, che è la parola di Dio.
Infine il vangelo di Marco (12, 13-17) ci ha trasmesso questo che è l’unico pronunciamento “politico” esplicito di Gesù con le sue famose parole: Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare e quello che è di Dio, a Dio.
Se interpreto bene il comune sentire, noi vorremo almeno qui in questo momento di preghiera non avere a che fare con la politica, perché è diventata una parola e una realtà che si è caricata delle più gravi ambiguità e diffidenze. Eppure noi viviamo di politica, siamo responsabili di come governano i nostri politici, non possiamo semplicemente chiamarci fuori, come se questo ci assolvesse dalle nostre responsabilità storiche.
E poi se è vero, come amava ripetere Paolo VI, che la politica è la forma più alta della carità, allora dobbiamo recuperarla nel suo significato autentico di cura della comunità, di responsabilità della polis, della città, della città dell’uomo e della nazione e delle nazioni.
Per quanto possa godere da parte nostra di scarsa stima, il potere politico è assolutamente necessario per la vita civile. La città abitata dagli uomini e dalle donne, ha bisogno di reggersi sulla giustizia, sull’equità, sul bene comune, per questo abbiamo bisogno, un estremo bisogno di donne di uomini che si occupino con onestà e competenza della cosa pubblica. Anzi, direi di più, abbiamo bisogno sì di politici competenti e onesti, ma soprattutto che abbiano una vita spirituale profonda.
Negli anni ’50 l’allora segretario generale dell’ONU Dag Hammarskjöld (1953-1961) volle installare una “Stanza della quiete” dentro il Palazzo di Vetro perché, disse, «Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione al servizio della pace, deve avere una sala dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore. L’obiettivo è stato creare in questa saletta un luogo le cui porte possano essere aperte ai terreni infiniti del pensiero e della preghiera. (….) Secondo un antico detto, il senso di un vaso non è il suo guscio, ma il vuoto. In questa sala è proprio così. La sala è dedicata a coloro che si recano qui per riempire il vuoto, con ciò che riescono a trovare nel loro centro interiore di quiete».
Più precisamente: sia il silenzio, come la preghiera, la meditazione o l’ascolto di una parola della Scrittura (o di un libro di importanza decisiva nella propria tradizione spirituale) sono un deciso gesto politico in quanto sono un atto di cura per la comunità umana.
Per contro un politico che dichiara genericamente e profusamente valori che poi non accorda con una vita spirituale fatta appunto di silenzio, di preghiera, di meditazione e di ascolto, diventa facilmente integralista, fascista, nazionalista…
Purtroppo ci siamo anche abituati alla disonestà di un politico che ruba, che corrompe e si lascia corrompere e, unica nostra consolazione, è che la magistratura possa porvi una qualche rimedio. In realtà non vi si porrà mai fine, fino a quando affideremo il governo del bene comune a persone che non hanno nessuna cura per la vita spirituale, perché oggi nella nostra democrazia c’è in gioco ben più della coerenza etica.
Potrebbe essere illuminante tornare a guardare l’Allegoria del Buon e del Cattivo Governo che Ambrogio Lorenzetti dipinse nel Palazzo di Siena (1338-1339) per ricordare che la vita spirituale è necessaria al bene comune, ma anche a coloro che lo devono governare.
Le mani della Concordia stringono le due corde della giustizia distributiva e commutativa che vengono attorcigliate a formare un cordone, che passa nelle mani dei cittadini di Siena che vanno verso il Buon Governo. Il Buon Governo si trova affiancato ai lati dalle quattro virtù cardinali Giustizia, Temperanza, Prudenza e Fortezza ed è assistito dall’alto dalla Fede, dalla Speranza e dalla Carità.
Non si tratta di instaurare ahimè una teocrazia! Teocrazia vuol dire appunto governo di Dio mediante l’istituzione religiosa. Abbiamo vissuto nelle ultime settimane una nuova, terribile forma di utilizzo della religione a fini politici: in Irak il tentativo di dar vita ad un ‘califfato’ una nuova forma di organizzazione politica islamica che costringeva cristiani e non, a rinunciare alla loro fede.
Nella seconda parte della risposta di Gesù ci fa compiere un passo in avanti, in realtà rilancia una domanda indiretta: “rendete a Dio ciò che è di Dio”. Ma che cosa è di Dio? Perché se per gli ebrei Cesare non è un dio, e questo è fuor di dubbio anche per noi, però è anche vero, dice Gesù, che Dio non è un cesare!
Il Signore si rifiuta di rendere culto a un Cesare che si erge come un dio, ma si rifiuta anche di rendere culto a un Dio che sia immagine di Cesare. Dio non ha bisogno del braccio secolare per esercitare il suo regno. Il Dio che si rivela nell’uomo Gesù mettendosi al servizio dei più piccoli, dei più deboli, rivelandosi in un crocifisso è l’esatto contrario dell’immagine di un qualsiasi Cesare.
È questo il nucleo del sempre attuale esercizio di discernimento che tutti noi siamo chiamati a compiere. Se Dio è fonte della vita non può identificarsi con chi usa il suo nome per costruire un potere al prezzo di altre vite.
Perché “di Dio” è la persona umana, la famiglia umana, il creato. Immagine di Dio, secondo il libro della Genesi, è ogni uomo, ogni donna, fatti a immagine di Dio che abitano il creato riflesso del suo amore.
Papa Francesco nell’udienza di mercoledì diceva: Da un lato è indispensabile trovare la cura per un virus piccolo ma tremendo, che mette in ginocchio il mondo intero. Dall’altro dobbiamo curare un grande virus, quello dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza delle opportunità, della emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli.
La fede ha sì dunque un potere da esercitare, e questo è il potere profetico di indicare, denunciare, richiamare anche chi detiene il potere politico affinché si adoprino a favorire l’uguaglianza e la giustizia dei cittadini. È questo potere profetico di cui c’è sempre più bisogno nel mondo.