ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA - Lc 1, 39-55


Il canto del Magnificat mette sotto i nostri occhi una realtà che conosciamo bene: i poveri, gli umili e dall’altra parte i ricchi e gli arroganti… rimandandoci così a una situazione molto concreta, quella che viviamo tutti i giorni, quella che con grande sofferenza vive gran parte delle donne e degli uomini del nostro tempo.

La celebrazione dell’Assunzione di Maria per contro ci sposta su un piano meno concreto, ma non per questo meno vero, che è l’orizzonte ultimo della nostra esistenza, quello della vita dopo la morte, sul quale possiamo dire poco, perlomeno non ci è dato di descriverlo, ma di cui Maria è già partecipe: se per lei Gesù è venuto nel mondo e ora grazie a Gesù risorto lei è entrata nella gloria della risurrezione.

In mezzo a queste due dimensioni temporali sta Miriam di Nazareth che ci insegna ad avere uno sguardo lungo, un orizzonte di cielo, ma con i piedi ben piantati sulla terra, nella nostra umanità e con l’atteggiamento che non indugia al lamento, alla tristezza, ma al ringraziamento, alla lode. Direi quasi un invito a scrivere anche noi il nostro «Magnificat».

Saper dire grazie non è un atteggiamento scontato e tantomeno formale. Se superando il giusto rispetto, provassimo a metterci nelle sue condizioni, probabilmente noi al posto di Maria, avremmo pronunciato parole di desolazione: «Ma guarda cosa mi succede, proprio a me doveva capitare?», «Cosa dirà la gente?». Oppure poteva essere preoccupata per il futuro della creatura che portava in grembo: «Chissà che sarà di lui… crescerà bravo, sarà sano? Sarà amato? Riuscirà nella vita?». Non è questo forse il nostro modo di affrontare le cose della vita?

Oppure, mi viene da pensare che Maria avrebbe anche potuto inorgoglirsi e dire: «Sono una privilegiata, nessun’altra donna è come me… mi invidieranno tutte le altre del villaggio» … e invece lei non dice nemmeno: «Io magnifico il Signore», ma «L’anima mia magnifica il Signore», come se volesse dire: non sono nemmeno in grado di dire «io»!  Così che quando Elisabetta le dice: Benedetta tu Maria tra le donne…  lei non attira lo sguardo su di sé, ma lo dirotta sulla grandezza di Dio, perché a lui va tutta la nostra riconoscenza. È una «lieta passività» dice Lutero.

Vi invito davvero a chiedere questa conversione «teologica», perché anche noi corriamo il rischio di guardare Maria isolandola dal disegno di Dio cedendo a quel sentimentalismo che viene dal nostro bisogno di protezione, di accudimento, dal nostro eterno bisogno di una madre, ma poi finisce che non impariamo nulla da lei! Mentre Maria appunto ha una capacità spirituale raffinatissima di scrutare l’agire di Dio e di leggere gli eventi con il cuore e lo sguardo di fede.

Se avessimo dovuto decidere come far venire al mondo il Messia, avremmo scelto la figlia dell’imperatore o una donna nobile della Galilea, così il «royal baby» avrebbe potuto vivere in un contesto più aristocratico.

Maria riconosce che Dio non agisce così, ma non perché quelle siano per forza persone malvage o incapaci… chi lo può dire? Tuttavia quella è una strada segnata, nota… niente di nuovo sotto il sole e l’umanità camminando così non cambierà mai, ma sarà sempre segnata da un’ingiustizia da cui non usciamo vivi.

Maria canta, come un profeta, la via scelta dal Signore: il Signore si volge a chi è piccolo, a chi non ha pretese, a chi riconosce la propria povertà, il proprio limite. Non perché Dio si compiace della sua potenza e abbia il piacere di esercitare il suo dominio su chi è debole e indifeso, ma perché ci sia dato di capire che il futuro dell’umanità e del mondo è solo nel cercare insieme la salvezza, nel tenere insieme e nel condividere le nostre povertà. Se riuscissimo un po’ tutti ad avere più presente questo orizzonte di risurrezione che nel cuore dell’estate Maria ci sta a indicare, quante ingiustizie in meno riusciremmo a compiere, quante violenze verrebbero arginate?

Maria è figura di Israele, è immagine della Chiesa, ma oserei dire che è anche icona del popolo nuovo che sa vedere chi ha fame, sa accogliere chi è povero, sa rispettare i diritti e la giustizia. Il suo è un canto di un popolo nuovo, di un’umanità nuova, ma non perché ha leggi nuove, ha capi nuovi… Il popolo nuovo è quel popolo che impara dall’agire di Dio che ha scelto una ragazza che noi definiremmo anonima, di un villaggio sconosciuto per dire che nessuno, ma proprio nessuno è escluso dal suo amore e dalla sua iniziativa.

La realtà però, come ben ci insegna Maria, ci rimanda a un’umanità che fa di tutto per dividersi, per farsi guerra, dove i popoli investono risorse ed energie per prevaricare gli uni sugli altri, dove i potenti cambiano anche la costituzione per stare sul loro trono per anni…

Lo descrive bene la prima lettura tratta dal libro dell’Apocalisse dove la donna vestita di sole con la luna sotto i piedi e sul capo la corona delle dodici stelle che grida per le doglie del parto, chi è se non Maria con la sua maternità travagliata? Possiamo leggervi anche la Chiesa chiamata a generare il Vangelo in un mondo difficile… ma è anche l’umanità nuova, il popolo nuovo che nasce dalla lotta contro il drago rosso, enorme con sette teste e che si oppone alla nascita del Vangelo, della nuova umanità.

Questa è la storia, questa è l’umanità sempre dilaniata tra lotte e violenze, dove i troni si ribaltano e si riposizionano, dove i ricchi si arricchiscono sempre di più, i poveri sono senza casa e senza dignità… il drago rosso, per continuare l’immagine di Giovanni che ovviamente pensa all’impero di Roma, si traveste e si adatta bene a ogni epoca della storia per raggiungere i suoi obiettivi.

Eppure ci insegna Maria di Nazareth, se impariamo a tenere il cuore rivolto a Dio, se il nostro sguardo si fa umile nella fiducia in lui, possiamo essere la primizia e i germogli del popolo nuovo, della umanità nuova. Giovanni scrive che la prova dura 1260 giorni, come dice l’Apocalisse, ovvero dura tre anni e mezzo, cifra simbolica (è la metà del numero 7 della completezza) per dire che la violenza e l’ingiustizia non durano per sempre.

Noi possiamo essere annuncio di speranza per le numerose situazioni di dolore, in particolare per quelle donne sopraffatte dal peso della vita e dal dramma della violenza, per le donne schiave della prepotenza dei potenti, le bambine costrette a lavori disumani, le donne obbligate ad arrendersi nel corpo e nello spirito alla cupidigia degli uomini.

«Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità. Quante volte il corpo della donna viene sacrificato sugli altari profani della pubblicità, del guadagno, della pornografia, sfruttato come superficie da usare. Oggi pure la maternità viene umiliata, perché l’unica crescita che interessa è quella economica. Ci sono madri, che rischiano viaggi impervi per cercare disperatamente di dare al frutto del grembo un futuro migliore e vengono giudicate numeri in esubero da persone che hanno la pancia piena, ma di cose, e il cuore vuoto di amore» (Papa Francesco, 1 gennaio 2020).

Maria ci fa pensare a queste donne e dà voce al loro grido di dolore perché si convertano i cuori degli uomini. Solo allora quando i cuori degli uomini si saranno riconciliati con sé stessi e nella relazione con le loro donne, solo allora potrà nascere un popolo nuovo, un popolo di persone che si rispettano, che si accolgono, che si amano.

Non possiamo attendere la risurrezione se non ci diventiamo mani, cuori e menti che accolgono, che accarezzano, che sostengono, che amano la vita e la rispettano. Chiediamo a Maria che ci custodisca e ci sostenga; che possiamo avere una fede forte, gioiosa e misericordiosa per incontrarci con lei, un giorno.

(Ap 11,19-12,1-6.10; Lc 1,39-55)