IV DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 6, 41-51
Vorrei tanto aiutarvi a percepire la forza di queste parole di Gesù, sono parole che abbiamo ascoltate tante volte, potremmo dire che costituiscono la trama di ogni domenica: Io sono il pane vivo disceso dal cielo, dice Gesù.
Già domenica scorsa il Signore si era presentato a Nicodemo come il Figlio dell’uomo disceso da cielo, e dicendo che Gesù «discende dal cielo» Giovanni intende dire che viene da Dio; così il discepolo per seguirlo è invitato a rinascere in lui, in acqua e spirito. E forse l’abbiamo sperimentato anche noi che è possibile rinascere anche dopo le esperienze più difficili, fallimentari: credere in Cristo dona uno sguardo diverso sulla vita.
Ma è anche vero che il cammino dietro al Cristo è lungo e non di rado siamo tentati di lasciar perdere, di rinunciare… forse abbiamo in alcune circostanze sperimentato l’angoscia di Elia.
Elia era certo un profeta, un uomo «dal cuore in fiamme» (cfr 16 agosto), nel senso che aveva avuto parole infuocate nella sua lotta contro l’idolatria e gli opportunismi politici che usavano strumentalmente la religione, oggi invece incontriamo un profeta stanco e diremmo noi – con un termine quanto mai abusato – «depresso»: infatti si sdraia sotto un ginepro addirittura desideroso di morire…!
Il sonno che Elia cerca non è il sonno rigeneratore che restituisce le forze, ma è il sonno di chi non vuole più guardare la vita, di chi non vuol più vedere nessuno, di chi si lascia andare, rinchiudendosi su di sé, nella propria desolazione. Ora basta Signore!, davvero non ne posso più. Basta, ho raggiunto il limite della sopportazione, della tolleranza, ora basta Signore!
Potremmo dare voce ai nostri pensieri per cui ci siamo sentiti stanchi e desiderosi di abbandonare: delusioni, amarezze, sofferenze, incomprensioni…
Ecco che come già ad Elia anche per noi è preparato il pane di Dio. Gesù è il pane del cielo, è il pane di Dio. Dio non è forza, onnipotenza, rumore… è pane.
Questa è la deitas Dei per la Bibbia, ciò che fa sì che Dio sia Dio e non sia un idolo. Dio non è la proiezione perfetta delle nostre imperfezioni. L’Eterno non è l’immaginario di onnipotenza che ci siamo costruiti nella storia del mondo: Gesù, e solo lui che viene dal cielo, che viene da Dio, può raccontarci Dio e del suo volto, parlandoci del pane vivo disceso dal cielo. E questa è in Giovanni la prima di sette affermazioni di Gesù che dice: Io sono la vera luce (8,12), la porta (10,7), il buon pastore (10,11), la risurrezione (11, 25), la via (14,6) e la vera vite (15,5).
Che cosa pensava Gesù quando mangiando con i dodici la cena pasquale, pronunziò sul pane e sul vino le parole che i cristiani ripeteranno all’infinito “prendete e mangiate”? Appunto che questi è Dio: talmente onnipotente, talmente eccelso da identificarsi con un pezzo di pane.
Poi nella storia si è un po’ tutto ingessato, è prevalso il rito, il rubricismo, la forma… ma quello che Gesù ci consegna non è un rito, è la sua storia, la sua missione, il volto di Dio che si consegna nell’amore con la stessa semplicità con cui un pezzo di pane si lascia spezzare nelle nostre mani.
Quando nella celebrazione diciamo: «Signore non sono degno di accostarmi alla tua mensa…», non vuol dire che dobbiamo espiare perchè siamo peccatori. Che non siamo degni lo diciamo all’inizio nel Kyrie eleison, sapendo che Gesù è venuto non per i sani, ma per i malati, non per i giusti, ma per i peccatori.
Se diciamo di non essere degni quando ci viene presentato il pane santificato è perchè riconosciamo che la misura dell’amore di Gesù è difficile e vorremmo allontanarla da noi. Non sono degno perchè quando mi avvicino a te, Signore, ho paura del tuo amore.
Di due consegne Gesù carica il segno del pane, nel vangelo di oggi che è tratto dal cap. 6 di Giovanni, e precisamente il brano che abbiamo ascoltato è la conclusione della quinta delle sette battute di cui è intessuto il dialogo, che termina così: Chi mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
1. Mangiare del pane di Dio, quindi interiorizzare la vita di Gesù, nutrirsi della sua parola, trasformare le nostre coscienze non ci fa stare bene solo qui, non ci permette soltanto di vincere l’angoscia di Elia e di vivere con gioia la nostra esperienza terrena, ma ci fa vivere in eterno, per sempre.
Ho l’impressione che «vita eterna» suggerisca una realtà lontanissima. Diciamo: sì è il paradiso, l’al di là, e speriamo di andarci il più tardi possibile…
Ma a dire il vero, quando Gesù ci dice che in lui abbiamo la «vita eterna», ci dice che è un’esperienza di vita da cui è bandita l’angoscia della perdita; è una vita che soddisfa pienamente. Possiamo dire che è bandita l’angoscia presente nell’uomo per il timore della morte e delle sue anticipazioni: l’insuccesso, l’essere dei perdenti in questo mondo, la solitudine, la frustrazione, la confusione, la fatica, la malattia… E Gesù dice a me, a ciascuno di voi: chi mangia di me, non avrà più alcuna paura.
Avere la vita eterna fin da ora significa in concreto non temere più di essere perdenti su questa terra: di perdere il lavoro, l’amico, la ragazza, il ragazzo, di perdere la faccia, il prestigio, di perdere i soldi. Mangiare il pane di Dio significa non aver più paura perchè già qui viviamo una vita senza paure e angosce.
2. Una seconda cosa dice Gesù: il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Dovremmo sempre ricordare queste parole quando in processione ci accostiamo alla comunione: Gesù dà la vita per il mondo. L’eucaristia non è semplicemente una comunione intima di Gesù con me, perchè Gesù ci dice: se tu mangi di me (e dovremmo comprendere bene cosa significhi mangiare di lui) sappi che questo pane è per la vita del mondo!
Vedete come anche la liturgia cristiana della domenica è tutta una preparazione di letture, canti, preghiere e poi giunta la comunione rapidamente ci fa uscire dalla chiesa, ci restituisce alla vita e alle relazioni…. Una volta che hai mangiato, devi alzarti, come dice l’angelo del Signore a Elia: perchè è troppo lungo per te il cammino.
Ci rendiamo conto che in qualche modo dobbiamo “scongelare” l’eucaristia, che è stata congelata dentro un rito che noi ripetiamo esattamente con devozione, ma che è appunto come congelata in un ritualismo da primo tempio!
Gesù donandosi come pane di Dio, vuole formare persone come lui, capaci di continuare la sua umanità, il suo donarsi, il suo amare, e a non accontentarci di abitare una storia di formiche che continuano a trafficare, correre, portare pesi enormi senza un perchè, senza una direzione…
Lasciamoci trasformare dal pane di Dio e domandiamoci: Che cosa ti aspetti da me Signore? perchè mi inviti a mangiare il pane di Dio? Cosa vuoi che io faccia?
(1 Re, 19, 4-8; 1 Cor 11, 23-26; Gv 6, 41-51)