I DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 3, 25-36


audio 5 settembre 2021

Se abbiamo ben compreso il vangelo di oggi, diventa una contraddizione tessere l’elogio del Battezzatore: mentre da parte sua fa di tutto per dirottare l’attenzione che i suoi fan concentrano su di lui e a fatica convince i suoi che non è lui che devono seguire e che non deve esserci alcuna rivalità tra i discepoli dell’uno e i discepoli dell’altro… allora anche da parte nostra è doveroso rispettare questo suo ‘essere relativo a’, il suo stare al proprio posto, evitando di centrare l’attenzione delle folle su di sé.

Certo i suoi fan lo volevano in cima alla graduatoria, col numero più alto di followers… perché è così che si può influenzare, condizionare, orientare i pensieri, le idee e… i mercati! È così che si pensa di comandare il mondo degli altri.

A ben guardare in questa logica anche i cosiddetti ‘influencer’ non sono che ingranaggi funzionali a un modello di società destinato a mantenere e coltivare le ingiustizie, le disuguaglianze. Sono asserviti anch’essi, sia pure che qualcuno non osi saperlo, agli interessi di qualcun altro.

Giovanni il Battezzatore non lascia spazio all’ambiguità, che pure poteva risultargli interessante, non cede alla lusinga del successo che pure gli veniva accreditata dai suoi discepoli per dire: Non sono io il Cristo!

Noi andiamo alla ricerca di idoli e ce li costruiamo, abbiamo necessità di stelle che brillino nel cielo delle nostre aspirazioni e ne diventiamo adoratori… cosa che può ben succedere anche nella fede, anche nella vita spirituale può accadere di finire mettere al centro di tutto il fondatore, il carismatico di turno, il fenomeno che buca gli schermi, il santone che attira le masse…

In questa settimana, giovedì, ho vissuto un momento di grazia per l’udienza che Papa Francesco ha concesso a tutti gli amici di Arché in occasione dei trent’anni di fondazione.

Potete ben immaginare l’emozione mia, delle mamme e dei bambini, degli operatori e dei volontari nel trovarci a tu per tu con Papa Francesco, essere ammaliati dal suo carisma magnetico, oltre che per la stima e l’affetto per la sua azione pastorale così ricca di umanità e di spiritualità.

Ebbene Papa Francesco fin da subito ci ha rimessi nella giusta carreggiata: ha spostato la nostra attenzione rivolta su di lui, e umanamente comprensibile, per contemplare il disegno di Dio.

Ci ha detto Papa Francesco: «L’avete chiamato “Arché”, che richiama l’origine, il principio, e noi sappiamo che in principio c’è l’Amore, l’amore di Dio. Tutto ciò che è vita, tutto ciò che è bello, buono e vero viene da lì, da Dio che è amore, come dal cuore e dal grembo di una madre viene la vita umana, e come dal cuore e dal grembo di una Madre è venuto Gesù, che è l’Amore fattosi carne, fattosi uomo».

Rimettere al centro di ogni cosa e al di sopra di tutto l’amore di Dio, l’amore di Gesù. Non quello del mio gruppo, della mia parrocchia, della mia chiesa… l’amore di Dio, al di sopra di tutto. Tutte quelle cose devono diminuire, perché si accresca l’amore per Dio.

Impariamo da Giovanni: siamo tutti relativi a Gesù. È lui che conta, è lui che deve essere il cuore e il centro della nostra vita, della nostra missione di genitori, di coniugi, di preti… quando le nostre strutture, le nostre organizzazioni diventano più importanti, reclamano notorietà e ostentazione, è il momento di fare una seria autocritica, di fermarci e di riflettere perché rischiamo di spendere la nostra vita per qualcosa di effimero, che oggi sembra avere grande importanza, ma domani è già svanito. Non solo, ma da questo spostamento di significato derivano gelosie, invidie, litigi…

Occorre essere disposti ad assumerci anche i rischi che questo decentramento comporta.

Giovanni il Battista sta lì con tutta la sua giovane vita a ricordarcelo: la sua decisione gli causerà invidie, incomprensioni, isolamento… finanche la galera. Ma la bellezza di una vita vissuta così, non asservita a nessun potere, a nessuna logica mondana, ma totalmente per Cristo, è tale per cui oggi noi ancora siamo qui a parlare di lui e non di Erode, di Erodiade o di altri!

C’è anche un’altra cosa che ci dice Giovanni il Battista, quando passa dal parlare di sé in maniera ‘negativa’: non sono questo, non sono quello… a dire: Io sono l’amico dello sposo. Ed è una parola di amicizia sorprendente, perché l’amico dello sposo era al tempo di Gesù, il fidato amico cui lo sposo affidava l’organizzazione delle nozze. Massima fiducia, anche perché l’amico sapeva ciò che piaceva allo sposo e non avrebbe mai fatto nulla per dispiacerlo.

Al tempo stesso quest’amicizia è relativa a un amore più grande, come la festa di nozze sta a ricordare, rimanda a un contesto matrimoniale, amoroso, intenso, affettivo e intimo che è la relazione tra Gesù e la famiglia umana.

Gesù viene a portare la testimonianza che Dio ama ogni uomo e ogni donna, ama i suoi figli di un amore intimo, profondo e vero come quello di due sposi.

Ora noi siamo nella condizione di essere amici dello sposo come Giovanni, abbiamo quindi un bel lavoro da fare: con la nostra vita, con le nostre scelte e azioni alle persone che incontriamo, dire che l’amore di Dio è per ciascuno unico e originale, non viene mai meno, è fedele e costante.

La gioia della nostra vita è vedere la gioia nel volto degli altri, nello sguardo che parla della bellezza di vivere. Questo vuol dire essere ‘relativi a’: essere amici di qualcuno che non è geloso, se dici una parola in più all’altro, ma è felice quando tu sei felice.

Sarà per questo che oggi non siamo mai contenti: abbiamo abbandonato la convinzione di essere amici dello Sposo, amici di Gesù, amici che si danno da fare non per la gloria, per la fama, il successo, i soldi… ma per dire la bellezza dell’amore gratuito di Dio.

Isaia nella prima lettura ha parole durissime che dovrebbero farci riflettere assai: Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra… il suo cuore è lontano da me.

È la religione che vive di rendita, di ricordi del passato, del sentito dire, piena di parole senz’anima. Addirittura Isaia apostrofa come imparaticcio quelle devozioni e pratiche che altro non sono che apparenze e formalismi.

Ma il mondo grida il bisogno di amici dello sposo che sappiano accendere i cuori di amore, sappiano vivere della gioia del Vangelo. Preghiamo perché il Signore ci doni di essere suoi amici, così, come Giovanni.

(Is 29,13-21; Gv 3,25-36)