III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59
È chiamata domenica di Abramo perché il dialogo tra Gesù e i giudei che gli avevano creduto è tutto costruito intorno alla figura di Abramo, conosciuto come padre della fede di cui gli interlocutori di Gesù si fanno discendenti.
La questione che Gesù solleva nei loro confronti potrei cercare di dirla così: è davvero Abramo che fa da fondamento alla vostra fede o siete voi che vi servite di Abramo? perché se guardo le cose che fate, dice Gesù, Abramo non ha fatto quello che fate voi che cercate di uccidermi! Siete bugiardi, anzi piuttosto avete per padre il diavolo…
Non poteva che finire a sassate, come di fatto i giudei avrebbero voluto far finire la discussione.
Mi pare di condensare così la nostra riflessione: guardate che fine possiamo fare anche noi! Potremmo arrivare a prendere a sassate Gesù.
Lo aveva già pensato il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore. Il racconto, all’interno dei Fratelli Karamazov, ci conduce nel XVI secolo a Siviglia, nel sud della Spagna, ai tempi dell’Inquisizione.
Uno dei capi della città ha perso la figlia quando all’entrata della chiesa riappare improvvisamente Gesù. La gente lo riconosce subito; lui sorride, va verso la bara e dice: “Talita kum”. Si apre la bara, esce la figlia del capo e tutti sono sbalorditi.
La notizia in un attimo arriva al palazzo del Grande Inquisitore. Quando questi scende sulla piazza il popolo, abbassando la testa, si zittisce. Comanda alle guardie di afferrare Gesù e di gettarlo in carcere, perché l’indomani lo avrebbe condotto al rogo su quella stessa piazza. La sera il Grande Inquisitore, di nascosto, va in carcere e lo interroga: “Sei tu? Sei tu?”.
E poiché non riceve risposta: “Perché sei venuto a disturbarci? Hai avuto torto quando nel deserto non hai usato tutti i mezzi a tua disposizione. La gente non vuole spiegazioni e parole, devi dare pane alla gente. Non sai che la felicità degli uomini si può realizzare solo a spese della loro libertà? Ricordi la prima proposta? Cambiavi le pietre in pane e il genere umano ti avrebbe seguito come un gregge, riconoscente e obbediente. Ma tu non volesti privare l’uomo della libertà e respingesti l’invito perché pensasti che non ci poteva essere libertà se l’obbedienza veniva comprata col pane!”.
E poi, continua il Grande Inquisitore: “Dovevi prendere il potere e invece hai proposto la libertà. La gente non vuole essere libera perché quando è libera non sa usare la libertà e la libertà la getta alle spalle volentieri quando gli assicuri le cose che appagano. Vedi, noi sappiamo di cosa ha bisogno la gente e dobbiamo farlo noi. E tu hai torto perché queste cose le sapevi”.
Il racconto si conclude con Gesù che si alza e senza dire nulla bacia il Grande Inquisitore. Questi apre la porta del carcere e gli dice: “Va’ via e ti prego non tornare più!”.
Gesù disturba perché smaschera la falsa religiosità che non è solo la nostra poca coerenza, la nostra pochezza. La religione, lo stiamo vedendo drammaticamente anche in questo tempo, si presta ad essere usata per il potere, per creare consenso, per identificare un popolo contro un altro popolo.
Quando Putin cita il vangelo di Giovanni laddove afferma: Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici (15,13), bestemmia perché usa le parole di Cristo per giustificare il male che sta compiendo. Qui si tocca il vertice dell’immoralità, della aberrazione. Sta bestemmiando e, per dirla con le parole di Gesù, ha per padre il diavolo, che è omicida fin dal principio e non sta nella verità.
Perché invece, dice Gesù, la verità vi farà liberi. Noi crediamo di essere liberi, se intendiamo facilmente, troppo facilmente, la libertà con il capriccio di fare quello che vogliamo senza pensare al prezzo che facciamo pagare agli altri per la nostra presunta libertà.
La verità vi fa liberi. Ma quale verità potrebbe farci più liberi di quello che crediamo di essere? Come già Pilato il giorno della condanna a morte di Cristo, anche noi gli domandiamo: Signore, cos’è verità? a Pilato Gesù non risponde, aveva avuto modo di dirlo, più volte.
Al cap. aveva detto 14: Io sono la via, la verità e la vita, ma anche qui all’inizio del cap. 8 Gesù dice: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Rimanere nella sua parola e essere davvero suoi discepoli porta alla conoscenza della verità che è lui, Gesù.
Se conosci Gesù… questo è il dramma di sempre, quanto conosciamo Cristo, quanto sappiamo di lui, del suo pensiero, del suo cuore. Perché se conosciamo Gesù facciamo verità dentro noi stessi, nelle nostre vite, nei nostri pensieri e non imbrogliamo più nessuno, né noi stessi, né gli altri e tantomeno Dio. Non bestemmiamo la sua parola.
Di fronte a Gesù le tenebre diventano evidenti, ciò che vorremmo rimanesse nascosto viene alla luce. I piani segreti dei cuori e delle menti diaboliche vengono svelati.
La luce della verità non è la luce abbagliante che impedisce di ragionare e di pensare con la propria testa, ma è la luce che svela le ombre che nascondono gli interessi, gli intrighi, le prepotenze.
Perché siamo fatti così, lo dicevano già gli antichi con i loro racconti mitologici che in qualche modo volevano spiegare l’inspiegabile contraddizione umana del dio della guerra e della dea dell’amore che si attraggono l’uno con l’altra.
Occorre che riconosciamo la forza di attrazione che la guerra esercita sulle persone e sappiamo ammettere che la pace non rappresenta una condizione istintiva del genere umano. Rinunciare a un nemico è difficile quanto chiedere a un innamorato di rinunciare ad ossessionarsi per l’amata.
Fare verità mettendo fuori da noi ciò che al nostro interno non vogliamo accettare è una strategia messa in atto sia nelle nostre piccole vite personali che nel grande degli equilibri geopolitici.
Nessuno di noi, nessun uomo, nessuna persona è capace di pace permanente, di darsi pace una volta per tutte. Io oggi posso essere in pace, ma domani? Basta una parola, un gesto che io ritengo ingiusto perché la mia pace vada in frantumi.
Amicizie offese, interessi che si pensa calpestati, umori oscuri del sangue “chissà cosa nascondiamo nel sangue”, si chiedeva p. Turoldo. Sì in ognuno di noi c’è la guerra, vi è il germe della guerra.
Abbiamo bisogno di fare verità perché la pace a queste condizioni non riusciamo a darcela. Il mondo può costruire una pace ma che è imposta dal più forte, dal più potente. Questo è un equilibrio di terrore. Un’altra maniera per essere schiavi, è come se il più forte dicesse al più debole: guai se ti muovi!
Che almeno le religioni, le chiese, i credenti di ogni confessione siano nella verità, vivano nella verità di un Dio che è padre di tutti e che non può volere la vita dell’uno e la morte dell’altro, la schiavitù di uno e la libertà dell’altro.
Se anche le chiese non sono libere, se fanno coincidere i propri confini con quelli di uno stato, se condizionano la propria missione al compromesso politico… anche le chiese diventano focolaio di guerra.
La storia ci insegna che le guerre che coinvolgono anche la religione sono le più feroci. Anzi per dirla con Gesù, la guerra è la religione del maligno. Per questo Satana è fin dal principio omicida. Ma occorre che qualcuno lo vada a stanarlo, che qualcuno abbia la forza e l’umiltà di fare verità.
Occorre un nuovo Francesco d’Assisi che come il Poverello nel 1219 nel bel mezzo dell’ennesima crociata, prese e si recò a Damietta sul delta del Nilo dal sultano d’Egitto senza null’altro dire che la parola di verità di Gesù[1].
(Gv 8,31-59)
[1] La crociata si chiuse con un insuccesso e i guerrieri cristiani rientrarono alle loro case. Ma dieci anni dopo al-Malik al-Kamil incontrò un altro cristiano che conosceva la terra natale di Francesco: era addirittura nato non lontano da Assisi, cioè a Jesi nelle Marche. Il sultano e l’imperatore Federico II, nel 1229, stipularono il primo patto di smilitarizzazione pacifica di Gerusalemme che conosciamo, e che resse per tre lustri, fino al 1244. Un patto nel nome d’una pace possibile.