VI DI PASQUA - Gv 15, 26 - 16, 4
Quando Gesù nel contesto della sua passione, probabilmente nel giardino del Getsemani prega il Padre e nel cenacolo dialoga con i suoi, fa questa operazione di ancorare la sua situazione a due riferimenti irrinunciabili. Il primo è il suo rapporto con Dio Padre come domenica scorsa abbiamo visto nel cap.17; il secondo riferimento è il dono dello Spirito che promette come dono ai suoi discepoli.
Se il rapporto col Padre è il riferimento che lo sostiene nell’affrontare la passione e la croce, la promessa dello Spirito è volta a sostenere i suoi amici che può ben immaginare quanto saranno scossi e sconvolti dagli eventi.
Infatti Gesù chiama lo Spirito con il termine paraclito, vale a dire avvocato, consolatore, perché di questo hanno bisogno i discepoli nel tempo della loro missione, che sarà come un lungo processo che il mondo intenta al Vangelo. Hanno bisogno di qualcuno che li sostenga perché il processo è continuo e permanente contro i discepoli, per il fatto che vivono il Vangelo.
Dobbiamo fare attenzione perché oggi viviamo una certa ambiguità: non sempre quando i cristiani sono perseguitati lo sono a motivo del Vangelo, ci sono situazioni nelle quali la persecuzione è più per motivi ideologici che non per il fatto stesso di essere testimoni del Vangelo.
Quando i cristiani identificano la chiesa con i confini nazionali da difendere contro le presunte invasioni dei migranti.
Quando i cristiani non si oppongono alle prepotenze sui poveri.
Quando non si scandalizzano se i governi continuano a rifornire di armi paesi che non rispettano i diritti umani.
Quando sui temi etici presumono di avere sempre e solo loro l’esclusiva della verità… e per tutti questi motivi incontrano opposizione e rifiuto, sia ben chiaro che non sono perseguitati per il Vangelo, ma per quei valori e quelle idee che in questo momento e in questo contesto ritengono, per la loro esperienza, derivare dalla dottrina.
È evidente che entrando nell’agone politico e sociale, questi è divisivo di per sé. Ci dividiamo sui vaccini, c’è chi dice: vaccino sì, e chi dice: vaccino no. Ci dividiamo sui diritti: legge Zan sì, legge Zan no. Ci dividiamo su tutto… Ma perché in realtà, ognuno di noi è capace d’innamorarsi di una bugia. Non esiste un metodo garantito per tenerci al sicuro, tranne il non credere a niente e mostrare un cinismo corrosivo, che è anche peggio della credulità.
Se poi alla gente si mostra un imbroglione con il senso dell’umorismo, la propensione a farsi beffe degli esperti, di chi ha studiato a lungo e con fatica, e con la capacità di sferrare qualche colpo a un nemico comune, gli si perdonerà quasi tutto.
Possiamo tuttavia, quando ci viene chiesto di credere a qualcosa – a un titolo di giornale, una statistica, una campagna sui social media – fermarci un momento e ascoltare i nostri sentimenti. Ci mettiamo sulla difensiva, avvertiamo di doverci giustificare, siamo arrabbiati, siamo compiaciuti?
Registriamo bene queste reazioni emotive e mettiamole in confronto col Vangelo: Gesù cosa farebbe qui, in questa situazione, di fronte a queste persone, dinnanzi a questo problema?
È questo lo Spirito di verità che Gesù invoca per i suoi discepoli, è questo il dono necessario per continuare la straordinaria novità nel mondo che è stato Gesù.
Il Nuovo testamento racconta l’apparire nel mondo di qualcosa di assolutamente nuovo, una novità radicale e dirompente.
A noi il compito e la missione di tenerla viva: per questo invochiamo il dono dello Spirito. Gesù chiama lo Spirito, Spirito di verità: nel linguaggio giovanneo la verità non è quella logica o metafisica del mondo greco, è piuttosto sinonimo di Vangelo. È quindi Gesù stesso, è la sua persona, il suo messaggio, la sua vita (Io sono la via, la verità e la vita, Gv 14,6).
Nella prima lettura, quando Paolo racconta della sua illuminazione, della sua evangelizzazione sulla via di Damasco, avverte che coloro che Gesù si identifica con coloro che lui perseguita: Io sono Gesù che tu perseguiti.
Che cosa sperimenta Paolo? Dal suo racconto comprendiamo che ha smesso le vesti del fariseismo spinto, quello aggressivo e violento che gli veniva da una religione fatta di idee su Dio, per abbracciare l’inaudito del Vangelo che è l’incontro con Gesù e per Gesù, lui che in genere mandava a processo gli altri, arriva ad affrontare anche il processo davanti al re Agrippa, ultimo re giudeo sotto i romani!
Per che cosa è processato Paolo? Perché contesta l’autorità romana? Perché rifiuta una qualche legge dell’impero? Perché?
Perché non può fare a meno di annunciare e di vivere l’incontro con Cristo: tutto è subordinato a lui, allo spirito del Vangelo!
Proprio oggi viene proclamato beato Rosario Livatino (21 settembre 1990), giudice ucciso dalla mafia siciliana (la Stidda). In una delle sue rare uscite pubbliche, Livatino disse: “Il peccato è ombra e per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta”.
La luce assoluta che guidava Rosario Livatino nel suo essere operatore di giustizia, tanto più quando questo comportava responsabilità importanti nei confronti degli altri, era il Vangelo.
Responsabilità che Rosario sentì fortemente su di sé, e lo dimostrava attraverso gesti discreti ma esemplari, come recarsi personalmente a consegnare il mandato di scarcerazione per un detenuto a fine pena, affinché non trascorra in cella neanche un minuto in più di quanto stabilito.
Il giovane magistrato non si accontenta, nell’esercizio del proprio mandato, di rispettare gli aspetti formali, ma sceglie di guardare sempre alla sostanza: alle differenze fra le situazioni concrete, alla dignità delle singole persone coinvolte.
Sceglie insomma la strada difficile del dubbio, della domanda, dell’interrogarsi continuamente e severamente sull’adeguatezza del proprio operato, affidandosi alle preziose bussole che la vita gli ha offerto: il Vangelo e il Codice – emanazione della Costituzione.
La sua fedeltà alle istituzioni, l’efficacia nel gestire le inchieste di mafia, la sua inavvicinabilità e incorruttibilità – l’indipendenza era fra le virtù che aveva maggiormente a cuore – lo avevano reso particolarmente scomodo per chi gestiva i lucrosi affari criminali nella zona. Gli spareranno in bocca, per metterlo simbolicamente a tacere. Ma il sacrificio finale renderà invece ancora più eloquente il messaggio della sua vita.
Persone così restituiscono alla fede cristiana lo slancio genuinamente evangelico, uno slancio necessario per un cristianesimo stanco e a volte disorientato tra la riproposizione delle vecchie tradizioni e l’incapacità di vedere il futuro.
La memoria di persone così ci aiuta a ritrovare la bellezza e l’unicità del Vangelo, di quello Spirito di verità, di cui ci parla Gesù e che sembra abbiamo smarrito, dietro un cristianesimo che ha perso il mordente. Perché è vero, come diceva Shakespeare: “I gigli che imputridiscono puzzano molto più che le erbacce”[1].
Se il nostro cristianesimo, se la nostra fede che pure è paragonabile per la bellezza e il profumo a un fiore, oggi però non attrae e non scalda i cuori, è perché l’abbiamo lasciato degenerare, abbiamo abbandonato la radicalità del Vangelo, la semplicità del Vangelo.
Jean Daniélou, gesuita grande studioso di Scrittura e di patristica, che aveva vissuto in Cina, racconta che uno dei suoi convertiti era così contento di essere diventato cristiano che promise di fare un pellegrinaggio a piedi da Pechino fino a Roma. Questo accadeva poco prima della Seconda guerra mondiale. Quando tornò gli raccontò la storia del suo viaggio. All’inizio era stato abbastanza facile; in Cina bastava che si presentasse come pellegrino, una persona che è in cammino verso un luogo santo, e gli veniva dato cibo, vestiario e un posto per dormire.
La situazione era cambiata un po’ quando era entrato nel territorio dei cristiani ortodossi: lì gli dissero di rivolgersi al monastero dove poteva alloggiare gratuitamente o di andare alla casa del prete.
Poi arrivò in Polonia, il primo paese cattolico, e i polacchi gli regalavano dei soldi per sistemarsi in un alberghetto.
Quel cammino è metafora di cosa siamo diventati. La corruzione del fiore del cristianesimo avviene quando si perde di vista la bussola del Vangelo, lo Spirito del Vangelo e si istituzionalizza tutto, troppo.
Come Gesù ci insegna chiediamo il dono dello Spirito di verità perché abbiamo a rivivere nelle nostre condizioni di oggi la radicalità e la semplicità del Vangelo.
(At 26,1-23; Gv 15,26-16,4)
[1] Sonnet XCIV