I DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 4, 12-17
I gemiti di Madre terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo… reclamano da noi un’altra rotta
Quanto abbiamo ascoltato dal Vangelo di Matteo pare un fatto che non abbia gran che da dirci né da insegnarci: Gesù, venuto a sapere che Giovanni è stato arrestato, decide di traslocare da Nazareth a Cafarnao, nella zona più settentrionale del lago di Tiberiade dove qualche secolo prima si erano installate le tribù di Zabulon e di Neftali come scrive Matteo citando Isaia.
Una citazione che è la chiave di lettura dell’evangelista nel raccontare la decisione di Gesù di… fare trasloco. Non si tratta di un semplice cambiamento di residenza, ecco perché richiama qualcosa che era avvenuto circa 700 anni prima di Gesù quando, di fronte all’invasione assira e allo sconforto e alla disperazione del popolo, il profeta annunciò che comunque sarebbe arrivata una luce.
Alle tribù del Nord si prospettava un’ondata di tenebre e di ombre di morte che avanzavano sulle loro case… ma Isaia era sicuro che l’amore di Dio avrebbe fatto esplodere una grande luce, perché con la nascita di un discendente del re, sarebbe nato il liberatore.
Il Vangelo di Matteo interpreta il fatto di Gesù che decide di spostarsi a Cafarnao in Galilea, nella curva delle genti, nel crocevia della storia, come un evento illuminante.
Queste città della Galilea delle genti non erano propriamente molto religiose, avevano più a cuore gli interessi economici, commerciali e strategici… Infatti Giuseppe Flavio dice che quelle città avevano qualche migliaia di abitanti che parlavano l’ebraico ma anche il greco.
La decisione di Gesù di spostarsi proprio lì, di andare ad abitare a Cafarnao poteva essere letta come una scelta di chi si vuol defilare, di chi voleva evitare, per prudenza, l’incontro/scontro con i centri di potere e non fare la fine del Battista.
Ma questo trasferirsi lontano da casa, a circa 50 Km dal paese dov’è cresciuto e vissuto, dal villaggio natio, luogo degli affetti… per Gesù consiste in ben altro: è un vero e proprio spostamento del centro di gravità che lo rende libero anzitutto di incrociare proprio quelle genti che normalmente non afferivano al tempio, alla religiosità…
Quello di Gesù è un decentramento che gli permette di abbracciare non solo quelli della sua casa, i suoi parenti e amici, ma anche i piccoli, i deboli, le donne e i bambini, insomma di farsi carico dell’umanità e di ogni essere umano.
Perché quello che poteva essere un semplice fatto di cronaca, in realtà registra una profonda decisione del Cristo, un grande atto d’amore, perché, come scriveva bene Maria Zambrano: L’atto d’amore è uno spostamento del centro di gravità[1].
Non è forse vero che nel momento in cui abbiamo il coraggio di operare una sorta di decentramento, vale a dire di spostare il centro di gravità che ruota tutto intorno a noi stessi, alle nostre vicende, ai nostri interessi allora ci è dato di avvertire anzitutto una leggerezza immane, ci si sente come sollevati da una zavorra che ci tratteneva condizionati dalle cose, dal si è sempre fatto così?
E poi, nel momento in cui spostiamo il centro di gravità fuori da noi stessi, riusciamo ad avere un respiro ampio, ci si apre innanzi un orizzonte vasto, avvertiamo una dimensione di appartenenza universale, entriamo in simpatia e in sintonia con gli altri, con le altre culture, con l’ambiente che ci circonda…
Ma ci si offre anche una terza opportunità nel momento in cui ci decentriamo dall’incistamento su di noi stessi, ed è il dischiudersi di sentieri nuovi, di strade inedite. Incontriamo la possibilità di intraprendere percorsi che altrimenti non avremmo nemmeno osato immaginare.
A me sembra che un messaggio come questo oggi sia importante per la cultura e la società in cui siamo per vivere la vita con la consapevolezza che ogni scelta che ci decentra dal nostro io, dal nostro prevedibile programma, dalle nostre proiezioni e difese, non è semplicemente una rinuncia, ma è un atto d’amore, un atto d’amore fecondo di futuro.
Ma già come accade a Isaia, la gente, il popolo non è disposto a compiere questo atto di fiducia. Gli abitanti di Gerusalemme in un momento critico e difficile non sono disposti a un atto d’amore, ma si ripiegano su sé stessi, sulla difesa del proprio particolare e non hanno uno sguardo sulla storia che sia capace di futuro… al punto che il profeta sembra gettare la spugna consegnando questa pagina che è considerata appunto il suo testamento che Isaia conclude dicendo: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza».
Conversione, calma, abbandono confidente… queste sono le parole di Isaia, che riecheggiano nell’appello di a Cafarnao quando dice: Convertitevi!
Che cos’è la conversione se non l’invito a decentrarci, a compiere un atto d’amore. L’atto d’amore è uno spostamento del centro di gravità, diceva la Zambrano che riguarda le nostre relazioni con gli altri, con la storia, con le vicende umane, o anche con l’ambiente e la natura come ci ricorda la giornata di oggi in cui con tutta la Chiesa preghiamo per la salvaguardia del creato.
Troppo ripiegati sulla crescita, troppo chiusi sul profitto, troppo intenti allo sfruttamento delle risorse e allora, come stiamo registrando in queste ultime settimane, il nostro pianeta assiste a ondate di calore estreme e ampi incendi in tutto il mondo, dalle foreste pluviali dell’Amazzonia e delle regioni desertiche dell’Africa, a regioni normalmente coperte di neve come l’Artico e l’Alaska fino a toccare Paesi come Spagna e Siberia.
Mese dopo mese stiamo sperimentando temperature record con la conseguente distruzione di milioni di acri e l’impatto che tutto ciò ha sulla vita di milioni di persone.
Gli scienziati ci avvertono che tali incendi rappresentano una minaccia per gli ecosistemi del mondo, che stanno diventando sempre più a rischio e vulnerabili. Quanto sta accadendo in queste ore in Amazzonia e prima ancora in Siberia e in altri posti del pianeta, avrà un impatto che potrebbe ripercuotersi per generazioni.
I gemiti di Madre terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo… reclamano da noi un’altra rotta, scrive papa Francesco nell’enciclica Laudato sì.
Anche qui si tratta di compiere una conversione, si tratta di un decentramento ormai necessario, perché il problema ecologico rivela che il nostro mondo costituisce una unità, che i nostri problemi sono mondiali, sono di tutti, sono comuni.
La questione ambientale può essere l’occasione per ritrovare qualcosa che ci unisce perché ci riguarda tutti, anche le chiese. Noi celebriamo la 5a Giornata di preghiera voluta da Papa Francesco, ma la chiesa ortodossa già trent’anni fa aveva avvertito questa come una priorità anche pastorale, consapevole che, come scrive il Patriarca Bartolomeo, la cura per l’ambiente naturale non è un’azione aggiuntiva nella vita ecclesiale… ma è un servizio liturgico!
Forse vi sarà capitato in questa estate di sperimentare la bellezza di pregare immersi nella natura: dinnanzi a un’alba, a un tramonto, in cima a una vetta o in un bosco…. In quelle esperienze abbiamo avvertito la bellezza e abbiamo intuito la possibilità di ritrovare la nostra giusta collocazione nel creato quando appunto decentriamo il nostro io e ci mettiamo a servizio della vita, della vita di tutti con il coraggio di cambiare abitudini e stili di vita schiacciati sull’ingordigia dei consumi.
Diventiamo capaci di continuare quel servizio liturgico che viviamo con intensità e amore qui in chiesa, ma che può e deve corrispondere a un servizio alla vita di ogni giorno anche nella cura dell’ambiente.
(Is 30,8-15b; Mt 4,12-17)
[1] “Il centro di gravità della persona si è trasferito alla prima persona amata e, nel momento in cui la passione svanisce, resterà quel movimento, il più difficile, dello stare ‘fuori di sé’. […] Vivere fuori di sé per essere oltre sé stessi. Vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente”, Maria Zambrano, Filosofia e poesia.