II DI AVVENTO - Mt 3, 1-12
C’è bisogno ancora di Giovanni Battista, non pensiamo che per il fatto sia stato l’apripista di Gesù, abbia esaurito il suo compito, la sua missione.
Ad averne bisogno ancora oggi non sono gli atei, i non credenti, gli indifferenti… no, come già allora il Battista non fu un leader accomodante, tutt’altro che politically correct, non le mandò a dire a nessuno, né a Erode per cui ci rimetterà la testa, ma nemmeno ai farisei e ai sadducei, uomini religiosi e integerrimi.
Ancora oggi ha un gran lavoro il Battista se vuole parlare ai farisei di tutte le religioni, a coloro che pensano che la loro convinzione sia valida in un elenco di riti o doveri che devono essere rispettati meccanicamente, a coloro che non dubitano mai per un solo istante della loro integrità e della loro perfezione… a coloro che si ergono a superiori e qualificati a governare gli altri, in grado sempre di dire agli altri quello che è giusto fare.
Eppure costoro hanno già la fede, o perlomeno dicono di averla, cosa intende allora Giovanni quando chiede loro la conversione?
La violenza verbale del Battista nei confronti dei farisei e dei sadducei serve per farci comprendere, sin dall’inizio del Vangelo, che la stretta osservanza della Legge può produrre dei frutti tutt’altro che buoni, al punto che vengono definiti, razza di vipere!
Ma qual è la motivazione perché uno che già crede, debba convertirsi? Perché il regno dei cieli è vicino. Anziché dire come nel vangelo di Luca e di Marco: il regno di Dio, Matteo usa questa circonlocuzione per preservare la santità del nome di Dio, per dire che colui che sta nei cieli comunque è vicino. Dire che Dio è vicino, ma dirlo con l’espressione “regno dei cieli”, è per sottolineare che Dio non si iscrive solo nella mia esperienza di lui, così che io possa fare della mia esperienza la misura per la fede degli altri. È una vicinanza che è lui a decidere, non noi. Ecco il grave errore dei farisei di ieri e di oggi.
I credenti e i giusti non sono quelli che noi immaginiamo. I sociologi possono anche dirci con precisione statistica quanti sono i praticanti nella società di oggi, ma apparentemente non sanno che c’è gente che va a messa ma non crede, e che c’è gente che non va a messa ma che crede comunque.
Ricordo ai tempi del liceo, le prime esperienze di silenzio e di solitudine, le chiamavamo ‘esperienze di deserto’, si cominciava prima con una mezza giornata, poi con gli anni divenne una giornata intera trascorsa in solitudine, immersi nella natura, unico accessorio, la Bibbia.
Qualche anno fa abbiamo rivissuto anche con qualcuno di voi in un pellegrinaggio in Israele (15 giugno 2014) una domenica di silenzio nella valle del Timna, e lì eravamo proprio nel deserto del Neghev: ognuno per sé, tutto il giorno, con una bottiglia d’acqua e la Bibbia.
Senza arrivare a queste esperienze uniche, il deserto è possibile a determinate condizioni anche qui. Ciò che conta è avere il coraggio di entrarvi, ovvero di togliere le maschere che la società e i ruoli ci fanno rivestire, anche nei confronti di Dio. Nel deserto può rifiorire la fede, la preghiera, la relazione col Signore. Ovvero nel silenzio e nella solitudine, tutte condizioni che ci fanno tanta paura, ma che sono indispensabili per un faccia a faccia, anzi un corpo a corpo con Dio. Nel senso che solo a determinate condizioni si entra in una relazione di verità, di trasparenza, magari anche di lotta, certo non di inganno e di ipocrisia.
In questo tempo che è non è solo un’epoca di cambiamenti, come ci ripete spesso papa Francesco, ma che è un cambiamento d’epoca, con tutte le mutazioni e le incertezze che sperimentiamo, vediamo avanzare una religiosità formale, rigida, fatta di un’osservanza sterile di norme, vedo trionfare come tradizioni immutabili, prassi e parole che hanno si è no duecento anni… e non si tratta banalmente di essere conservatori o progressisti, come se bastasse descrivere la fede con categorie sociologiche, occorre il coraggio del Battista, che fu poi anche di Gesù, perché anch’egli diede inizio alla sua missione riprendendo proprio le parole di oggi: Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4, 17; Mc 1,15).
Quando abbiamo sperimentato questa conversione, allora siamo autorizzati ad andare a dire a tutti coloro che non si sentono a casa nella chiesa: guarda che Dio è vicino. Ti senti sbagliato o indegno, Dio è vicino. Vivi una situazione matrimoniale difficile, oppure sei una donna che non sa dove trovare la forza di reagire a un amore tossico, Dio è vicino. Sei un giovane, una ragazza e non trovi né gusto né senso nelle parole stantie delle chiese… Dio è vicino.
La conversione è la risposta al sentire che per quanto siamo distanti e lontani, Dio è vicino. Ho imparato una cosa da alcuni amici che sono proprio bravi nel preparare l’impasto per la pizza, nel senso che dobbiamo lasciarci lavorare da Dio, come impasto nelle sue mani.
Ma cosa fanno quelle mani? Raccolgono i bordi dell’impasto per portarlo al centro e poi allargare il centro ai margini, facendo sì che tutto riceva l’ossigeno necessario… ecco come si fa il pane: rovesciando la distinzione tra i bordi e il centro. Così fa Dio, perché i giusti e i credenti non sono quelli che noi immaginiamo.
(Mt 3,1-12)