I DOPO L’EPIFANIA - Battesimo del Signore - Lc 3, 15-16.21-22
Vi racconto la storia di una donna che seduta in treno stava mangiando i biscotti che aveva poggiato sul sedile vicino a lei quando, a un tratto, si accorse che il suo vicino di sedile glieli stava prendendo e, con una irritante indifferenza condita da ripetuti sorrisi, se li mangiava di gusto come fossero suoi.
La donna allora cominciò a mangiarli più in fretta e ne mangiava il più possibile, mentre il suo vicino continuava a prendere, con estrema calma, un biscotto ogni tanto. Quando fu prossima alla fermata del treno e i biscotti del sacchetto finirono, la donna congedò il suo vicino con uno sguardo risentito, raccolse tutte le sue cose e si allontanò, e mentre andava e sistemava il contenuto della sua borsa come solo una donna sa fare… in quell’istante si trovò tra le mani, intatto, il suo pacco di biscotti.
Quelli che aveva divorato risentita erano uguali ai suoi ma erano del suo vicino, quel vicino che le aveva sorriso più volte mentre lei gli rubava i biscotti!
È una storia che rende bene la condizione umana in cui viviamo, senza fare un trattato di antropologia che pure sarebbe assai intrigante di questi tempi, per aiutarci a comprendere meglio ciò che avviene e che accade velocemente, troppo velocemente all’uomo, oggi.
Forse solo il fuoco, la ruota e la scrittura (6000 anni fa) hanno cambiato il modo di stare al mondo dell’uomo, così come sta facendo il digitale ai nostri giorni. Ma rimaniamo alla donna che ha fatto tutto un viaggio in treno pensando che il vicino le stesse rubando i biscotti, quando in realtà solo dopo si è resa conto che era lei a sottrarre allo sconosciuto i suoi di biscotti… che cosa c’entra col Battesimo del Signore che ricordiamo oggi nella liturgia?
Seguendo il testo di Luca vediamo Gesù arrivare sulle rive del fiume Giordano, quel fiume era confine, divisione, separazione. Quel fiume parlava di conquiste (ricordate Giosuè?), di battaglie, di feriti e di morti… quel fiume era separazione tra terra santa e terra pagana. Il fiume era un considerato un confine naturale: noi di qui, loro di là…
Ecco Gesù arriva al fiume si mette in fila, Luca con una certa enfasi sottolinea che egli fa questo insieme a “tutto il popolo”, per dire il grande numero di coloro che andando dal Battista cercavano una santificazione personale, un progresso spirituale, un miglioramento individuale e magari litigavano e sgomitavano per arrivare prima…
Gesù sembra trascinarseli tutti con sé, prendendoli per mano fino appunto a immergersi nell’acqua come a far affogare tutto il vecchio, il passato sbagliato, le colpe e le inadempienze… non dimentichiamo che il termine battesimo significa immersione.
Il Signore compie un gesto umano di umiltà, di sottomissione a Dio e di totale solidarietà con gli umani. Quando esce dall’acqua del fiume il cielo si apre, lo Spirito santo fa capolino e una voce lo conferma e gli dice: Tu sei mio figlio ti voglio proprio bene. E noi che dopo duemila anni rileggiamo questa storia veniamo a sapere, come fosse la prima volta, che Dio è contento che Gesù faccia questa cosa.
Niente di nuovo: tutte le religioni hanno riti battesimali, abluzioni, purificazioni che si fanno in genere con l’acqua… ora per Gesù cosa significa questo?
Ci aiuta Paolo con il testo della lettera ai cristiani di Efeso. Paolo (o chi per lui) si rivolge a una comunità in maggioranza costituita da pagani e da un esiguo numero di ebrei che risiedeva in una delle metropoli del I secolo dove convivevano culture e religioni diverse… con conflitti e tensioni, come possiamo ben immaginare.
Paolo per sostenere quella comunità lacerata e divisa, li invita a spostare l’attenzione così ripiegata sulle loro questioni a quello che ha fatto Gesù. E mi sembra un’indicazione preziosa anche per noi.
Due cose dice Paolo: guardate Gesù diventando uomo, per mezzo della sua carne, ha abbattuto il muro di separazione che divide gli umani.
Non solo, ma per mezzo della sua croce Gesù ha abolito la Legge per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo.
Paolo ha una visione coerente di tutta la storia di Gesù dall’immersione nel Giordano fino ad arrivare alla sua discesa agli inferi, come dice la tradizione apostolica, dove più in basso di così non si può… ecco con questa immersione non solo nell’umano, ma in ciò che dell’umano è più abietto, doloroso e odioso come l’ingiustizia, la persecuzione e la morte, il Signore ha creato l’uomo nuovo, ha inaugurato un modo di vivere e di essere.
Un’antropologia altra, nuova, diversa perché ha smesso il parametro dell’innalzamento, della gara, della competizione, della guerra per la supremazia, dell’istinto del dominio, per introdurre la cifra dell’immersione, della condivisione, dell’abbattimento dei muri.
Paolo pensava probabilmente al muro proprio del tempio di Gerusalemme che interdiceva ai pagani di accedere a un’area sacra riservata gli eletti d’Israele.
Oppure pensava a quel muro che era la Legge perché interpretata legalisticamente dai rabbini aveva come rinchiuso in prigione l’autentica vita di fede.
Comunque sia il testo parla per due volte del muro dell’inimicizia: la prima volta per dire che Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia nella sua carne. La seconda volta per dire che Gesù elimina l’inimicizia per mezzo della croce. Per dire inimicizia il testo greco ricorre al termine exqra che suona come “extra” in italiano, qualcosa che sta fuori, che sta al di là, che sta oltre me, oltre il nostro confine… ed è qualcosa che divide, che rende nemici.
Ebbene Gesù abbatte quel muro, eliminando in se stesso l’inimicizia, che può significare due cose: che l’inimicizia va vinta anzitutto dentro di noi, in noi stessi, nei nostri pensieri e nelle nostre emozioni e ragionamenti, perché non è qualcosa che sta fuori di noi, ma ci abita, scorre nelle nostre vene. Ma dice anche che Gesù ha eliminato l’inimicizia immergendosi in questa logica umana e scardinandola dall’interno trasformandola in amore, in dono, in dedizione.
Così Gesù, continua Paolo, ha creato in se stesso un solo uomo nuovo. Non si crea l’uomo nuovo con idee, programmi, contratti o altro, ma in se stessi, mettendosi in gioco, restando fedeli come Gesù, fino in fondo, alla logica dell’immersione, che è logica di condivisione, di servizio, di comunione.
Se è vero che sui fiumi sono sorte, sviluppate e cresciute le civiltà, le società umane… ma quasi sempre sulla divisione, la separazione, i confini e i muri, al Giordano non vediamo sorgere un nuovo modello di civiltà o di organizzazione sociale con altri muri e altre inimicizie che separano, ma vediamo emergere da quelle acque un modo nuovo di essere umani, l’uomo nuovo Gesù.
Abbiamo già visto che l’uomo nuovo è colui che si immerge nell’umano, ma Luca, tra tutti gli evangelisti, tiene a sottolineare un altro atteggiamento che osserviamo nel Signore dopo il battesimo, dopo l’immersione, quando dice che Gesù stava in preghiera.
Non dice se stesse in ginocchio o in piedi, se avesse le mani giunte né se dicesse i salmi o qualche altra preghiera… Dice semplicemente che stava in preghiera: la preghiera come modo di essere, dell’essere non in astratto, ma in relazione.
Quando celebriamo un battesimo, si immerge il bambino o l’adulto dicendo ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Vale a dire ti immergiamo nell’umanità, nella fragilità e nell’impotenza ma anche nella relazione con il Padre, il Figlio e lo Spirito. La preghiera ancor prima che dire le preghiere è stare in relazione con l’Eterno proprio mentre ti immergi nel fiume della tua umanità.
Non evadendo dalla tua umanità, dalla tua finitezza, ma stando proprio lì, consapevole dei tuoi limiti, dei tuoi sbagli, dei tuoi peccati… e più ti immergi nel fiume della tua umanità e stai in preghiera, più ti fai fraterno e succede come conclude sempre Paolo di non essere più stranieri, né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio. Che è il contrario di una religione dell’evasione spiritualista, dell’ascesa verso un iperuranio delle idee, dell’astratto. È il contrario di una preghiera che diventa ripetizione vuota di parole senza mai entrare in relazione.
È l’opposto di una religione che giustifica se non costruisce addirittura anch’essa i muri e le barriere, come succede ancora.
In fondo la signora del treno, icona della nostra società, poteva vivere meglio quel viaggio che è il viaggio della vita, se solo avesse rivolto una parola gentile, uno sguardo di tenerezza e avrebbe avuto tra l’altro un doppio pacco di biscotti!
Così è la perversa logica di chi vuol costruire muri ancora oggi, investendo risorse che potrebbero essere condivise e invece ci fa tornare indietro, proprio come se la storia non ci insegnasse alcunché.
L’uomo nuovo, la donna nuova, l’umanità nuova non arriva dal di fuori di noi, comincia da noi, dal modo con cui guardiamo il vicino, l’altro, il diverso, che altro non è che essere gentili, altro non è che guardare il vicino negli occhi… e riconoscere che è umano come me.
«Non c’è speranza nell’uomo se non nell’amore che uccide l’odio, nella carità che uccide cupidigie, e rancori, e ingiustizie. I potenti rammentino che la felicità non nasce dalla ricchezza né dal potere, ma dal piacere di donare. La morte è rimorso per chi non ha saputo aprirsi, in vita, alla compassione» (Fabrizio De Andrè, Corale. Leggenda del Re Infelice).
(Is 55,4-7; Ef 2,13-22; Lc 3, 15-16.21-22)