III DI AVVENTO - Gv 5, 33-39


Forse mai come in questi mesi abbiamo un’attesa intensa e condivisa come quella di venir fuori dalla pandemia, di sperare di poter superare questa condizione. Normalmente ognuno ha le proprie attese, le proprie speranze ed è raro che tutti, ma proprio tutti si possa avere una speranza comune e condivisa.

Questo accade in genere in tempi difficili e in circostanze drammatiche come appunto durante le pandemie, le guerre, i disastri ambientali o sociali… Ora anche nella Bibbia si narra di situazioni simili, come quella sottesa alla lettura del profeta Isaia (51,1-6).

Infatti per Israele si tratta di un’ora complicata della sua storia: l’esilio in Babilonia è finito, si poteva finalmente tornare in Canaan, ma Gerusalemme era ormai ridotta a macerie, la terra promessa era desolata come un deserto, da qui anziché coltivare una speranza comune, ecco emergere la divisione: alcuni volevano decisamente tornare, altri invece volevano restare in Babilonia dove orami si erano ben adattati e organizzati, avevano avviato attività, commerci, costruito case…. Scelta di opportunità? Di pragmatismo? Forse anche, ma non si poteva sapere se chi fosse tornato avrebbe avuto successo, né se coloro che restavano non avrebbero perso la propria identità e sarebbero finiti assimilati ai pagani.

Il profeta è consapevole che qui non si tratta semplicemente di essere pragmatici per risolvere un problema del momento, qualsiasi decisione comporta delle conseguenze per il futuro.

È in questo contesto che Isaia pronuncia una parola profetica, una di quelle parole che tutti vorremmo ascoltare in certi momenti della vita, per trovare consolazione, per trovare speranza, per non dividerci e smarrirci per la strada.

Cosa dice Isaia? Ha qualche consiglio di come fare, di come agire, di come gestire l’emergenza? Non è questo ciò che si chiede al profeta, questo compete alle responsabilità di ciascuno. Dal profeta si attende una parola altra, una visione delle cose capace di futuro.

Isaia dice così: Ascoltatemi, coi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, guardate ad Abramo e a Sara…

È un’immagine potente per noi che viviamo tempi incerti, quando ad essere precario non è solo il posto di lavoro, gli affetti, ma è lo stesso futuro ad essere incerto, provvisorio… a nessuno di noi è dato di conoscere cosa accadrà. Mi diceva un giovane di vent’anni: Ho paura del futuro, non so cosa mi aspetta, non so cosa mi attende… ecco quali risposte possiamo dare ai nostri giovani? Quale appoggio possiamo offrire che non sia un’illusione, ma che ci permetta di guardare al futuro con speranza e con una speranza condivisa?

Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati.

Dunque siamo sì precari, siamo vulnerabili e fragili, ma è anche vero che siamo stati “tagliati” dalla roccia, come dice Isaia, siamo un frammento, un pezzetto di quella roccia.

Anzitutto prendiamo in considerazione il fatto di essere stati “tagliati”, di essere stati separati dalla nostra appartenenza. Il taglio è sempre una ferita e un grido. Se ripensiamo alle cave di una volta, quando non c’erano né la corrente elettrica né i martelli penumatici… i lavoratori facevano una fatica davvero immane per tagliare i blocchi dalla roccia.

Io stesso sono cresciuto ai piedi di una cava da dove si estraeva la pietra calcare per fare il cemento…  È un’immagine eloquente della nostra dignità di figli di Dio, della preziosità di questa condizione che tante volte dimentichiamo sommersi dalle mille preoccupazioni e contrattempi della vita quotidiana: pensiamo alla fatica di Dio nel ritagliarci da lui. È un distacco per farci vivere, perché con quel pezzo di marmo o di roccia che siamo noi abbiamo a realizzare un’opera d’arte,  a fare della nostra vita un capolavoro.

Se veniamo da lui, se siamo tagliati dalla roccia di Dio, le premesse sono proprio buone per poter sperare di fare bene. Non siamo in balia di noi stessi.

Da questa consapevolezza di essere tagliati dalla roccia che è Dio, derivano alcuni atteggiamenti importanti per noi.

Anzitutto dice il profeta: Ascoltatemi voi che cercate il Signore. L’ascolto è la solidità della nostra fede in Dio. Se lui è la roccia. Non è che dobbiamo cercare Dio e poi ascoltarlo. Ascolta anzitutto, ascolta la vita, ascolta il tuo intimo, ascolta e ascoltandolo conosci, incontri Dio. Tutto comincia con l’ascolto. Non col parlare, col ragionare, non con il discutere, ma con l’ascolto.

Come il bambino dopo che è stato tagliato dal legame con la madre, cosa fa? Impara a parlare ascoltando. La sua parola nasce dall’ascolto.

Ascoltare tuttavia non è così facile come sembra. È più facile parlare che ascoltare. Nel mondo tutti parlano, pochi ascoltano. Molti parlano anche di Dio ma senza averlo mai ascoltato: che cosa possono dire? Cose scontate, ovvie, parole vuote. È davvero molto facile parlare. Quanto è difficile ascoltare. Ma se non cercate non ascolterete mai nulla, dice Isaia. Voi che cercate il Signore, ascoltate!

Poi dice ancora una seconda cosa il profeta: Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito. Perché dobbiamo guardare a loro? Perché nell’ascolto hanno avvertito la chiamata di Dio, quando ascolti Dio ti rendi conto che lui ti chiama. La roccia di Dio genera una chiamata: nell’ascolto di Abramo e di Sara – ed è finalmente bello che siano presi in considerazione entrambi perché la promessa ha bisogno di tutti e due -, nell’ascolto i due odono una chiamata. La chiamata di Dio. La roccia, ovvero la cosa più solida che ci sia che ti chiama e ti benedice.

La roccia da cui proveniamo è una vocazione con dentro la benedizione. Quando Dio chiama, benedice. Chiama per benedire. Noi siamo qui chiamati e benedetti e proprio perché siamo benedetti continuiamo ad essere qui.

Ma c’è un terzo passaggio che ci fa compiere il profeta: il Signore ha pietà di Sion, ha pietà delle sue rovine e rende il deserto come l’Eden. Letteralmente Dio consolerà tutte le rovine. Vuol dire che Dio non butta le macerie come facciamo noi, ma le raccoglie, le ricicla, le ricupera, anzi le rigenera. Dio è un grande rigeneratore, rigenera anche noi quando siamo rovinati.

Non sono queste le opere che il Padre ha dato da compiere a Gesù (Gv 5,33-39)? Se ci chiediamo quale sia il lavoro del Padre che è Dio e che Gesù continua a testimoniare attraverso le opere che compie, basta guardare quello che fa. E cosa fa il Cristo? Proprio ciò che gli viene contestato nel brano di oggi, l’aver guarito di sabato un infermo.

Gesù rigenera una persona che la società aveva scartato, che il popolo aveva messo ai margini! E Gesù compie le opere di Dio che sono di restituire dignità all’essere umano. Questo è il lavoro di Gesù, del figlio di Dio, e lo fa anche di sabato perché il suo lavoro è divino: far vivere!

La vita è il lavoro di Dio. L’attività di Dio sin dal primo istante della creazione è dare vita e Gesù porta avanti l’opera del Padre superando ogni ostacolo, ogni barriera che impedisce all’uomo di vivere, di vivere bene, con gioia. Gesù continua l’opera del Padre per la vita dell’uomo perché conosce la roccia da dove l’uomo è stato tagliato.

Per Gesù la prima cosa è la vita, non la religione, non il culto, non le chiacchiere. Questo è il lavoro del Figlio. E se Gesù ci insegna che il lavoro del Padre è la vita, l’amore, il perdono… queste sono la nostra speranza e la nostra attesa.

La consolazione di Dio è non lasciare mai le cose come stanno, ma trasformarle: trasforma il deserto in un Eden, la sua steppa come il giardino del Signore. Consolare per Dio significa trasformare il deserto in giardino, il male in bene, il dolore in letizia, il peccato in salvezza. Con Dio nulla è perduto, nessuna speranza è troppo ardita. Con lui non si spera mai troppo, ma sempre troppo poco.

Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati. Ora consapevoli che veniamo da Dio, non smettiamo di ascoltarlo; perché nell’ascolto possiamo udire la chiamata di Dio e la sua benedizione. Questo è per noi fonte di quella consolazione di Dio che ci dona di sperare nella trasformazione del mondo, nella rigenerazione di quel giardino che tante volte noi con le nostre azioni scellerate abbiamo ridotto a deserto.

Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati.