V DI AVVENTO - Gv 3, 23-32a
L’episodio raccontato dalla pagina evangelica potrebbe essere riscritto oggi in mille forme diverse, mantenendone intatta la sostanza. È la solita situazione di invidia tra gruppi, di gelosia e di preferenze alla quale nemmeno i discepoli del Battista e quelli di Gesù sembrano sottrarsi. Quante volte abbiamo assistito alla deriva delle più belle intuizioni ed esperienze, che si sono andate corrodendo dal di dentro proprio per questi motivi che le hanno fatte morire su se stesse.
La vera novità del vangelo è l’atteggiamento di Giovanni che interrompe e spezza quella pericolosa direzione che avevano preso le cose. Ci vuole il coraggio di quel giovane profeta per invertire la china. Ci vuole coraggio perchè arrivare a dire «Lui deve crescere e io invece diminuire», significa essere consapevoli di aver fatto la propria parte per cedere il passo a chi prenderà poi in mano le cose.
Credo che molti di noi avranno fatto un’esperienza analoga: l’azienda di famiglia piuttosto che un posto di responsabilità nel lavoro, come nella vita sociale, esigono, perchè il frutto di tanti sacrifici possa maturare, che ad un certo punto si avvii un passaggio di consegne… e bisogna essere illuminati per realizzare con lucidità questa scelta.
Se uno difende il suo posto e il suo ruolo a tutti i costi perchè si identifica in esso, perchè la sua vita è tutta lì… non troverà mai nessuno in grado di succedergli, non ci sarà mai la persona giusta, qualcuno preparato per prendere in mano le cose.
Non ci sarà figlio, dipendente, collaboratore che sia all’altezza se prima io non ho maturato in me la decisione che io devo diminuire e l’altro crescere.
Giovanni è un giovane trentenne, allora un trentenne era probabilmente considerato adulto, ma certamente poteva essere presto per passare il testimone: troppo presto, umanamente parlando, poteva avere ancora davanti un futuro promettente.
Invece il Precursore di Gesù ci insegna una grande umiltà, un grande senso di realtà, quando afferma: io sono l’amico dello sposo.
Nelle consuetudini ebraiche l’amico dello sposo era colui che curava personalmente la preparazione delle nozze e della festa. Il Battista è consapevole di essere colui che prepara i festeggiamenti, non il festeggiato. Non è lui lo sposo, ma Gesù.
È curiosa questa descrizione biblica del rapporto tra l’umanità e il Signore come un rapporto nuziale. Gesù è lo sposo dell’umanità, ma questo sposo ha bisogno di un amico per preparare la festa.
Una facile teologia della sostituzione ci porterebbe a dire che la sposa è la Chiesa, è la comunità cristiana che sperimenta l’amore di Gesù, che si sente amata da lui di un amore fedele e saldo.
In realtà quando l’evangelista Giovanni scrivendo l’Apocalisse (cap. 21) parlerà della sposa dell’Agnello, la descrive come una Gerusalemme nuova, una città con dodici fondamenti (che sono gli apostoli), ma anche con dodici porte, per cui una città indifendibile… Una città senza tempio perchè il tempio è l’Agnello stesso; una città che non segue più il ritmo della luce del sole e della luna, perchè sua lampada è l’Agnello…
Ma la cosa più preziosa di questa Gerusalemme nuova sapete cos’è? È la piazza che è tutta d’oro purissimo!
Come a dire che questa umanità nuova che va incontro allo Sposo è la città dell’uomo, l’umanità che si incontra e condivide, che ha nella piazza, cioè nell’incontro e nella convivialità delle differenze la sua forza.
Non possiamo allora semplicemente identificare la chiesa come la sposa, perchè è come se rinchiudessimo il regno di Dio dentro le mura della Chiesa, dimenticando che le parole di Gesù, la dichiarazione d’amore per eccellenza del Cristo, le ha pronunciate sì dentro la chiesa: Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue, ma dilatando immediatamente i confini: versato per voi e per tutti!
Gesù cerca amici che possano essere lo strumento per dire il suo amore a tutti gli uomini.
«L’opzione della Chiesa dovrebbe essere ancora predicare un cristianesimo di sequela, cioè vero, autentico e continuativo, piuttosto che un cristianesimo di consumo, fatto solo di apparenze, di vuoti dogmatismi e di ipocrisie» (R. Nogaro).
Ancora oggi succede che come ai tempi del Battista i discepoli stiano a litigare se quello che fa uno non sia migliore di quello che fa l’altro… il mio gruppo, la mia parrocchia è migliore della tua…, il mio movimento è migliore del tuo…
Quando la missione degli amici dello sposo è quella di preparare la sposa che è l’umanità alla festa di nozze con il Signore.
Non solo ma gli amici dello sposo forse non sono così pieni di gioia come lo era il Precursore che era stato capace di dire: la mia gioia è piena!
Oggi gli amici del Signore non sono tanto contenti, piuttosto sono pieni di paura, sono preoccupati e corrono ogni giorno di più il rischio di rinchiudersi, di ripiegarsi su di sé….
Cos’è questo diffuso e pervasivo sentimento di paura?
Da dove viene lo possiamo ben comprendere: viene dal fatto che siamo ricchi e abbiamo paura di diventare poveri, viene dal fatto che abbiamo tanti poveri che ci domandano pane, elemosina, che ci sollecitano carità…
Se poi molti di questi poveri sono musulmani immaginiamo che siano gli avamposti di una invasione programmata… Se sono dell’est europeo li percepiamo come violenti e furbi pronti a rubare…
Non penso fin qui di dire niente di nuovo: sono anni che viviamo con queste paure e sappiamo bene donde vengono. Ma se vogliamo esercitare anche la responsabilità dobbiamo domandarci: dove conduce la paura, a cosa porta? Cosa succede se ci lasciamo governare dalla pancia, dalle reazioni istintive e irragionevoli?
Succede che costruiamo ovunque cantieri del rifiuto con la giustificazione della sicurezza, come la formazione delle ronde cittadine per il controllo dei quartieri in nome del motto razzista «tolleranza zero», come l’introduzione del reato di clandestinità e acceleriamo così un rapido deterioramento della convivenza civile.
Giovanni il Precursore non ha ceduto alla logica della paura e della diffidenza, la voce dello sposo è stata in lui più forte e convincente delle altre voci che volevano iniettare il veleno, la tossicità della difesa del proprio gruppo e delle proprie prerogative…
E allora cosa possiamo fare?
Riprendiamo le parole del salmo 145, sono come un elenco che descrive le azioni di Dio, un Dio che rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, protegge i forestieri, sostiene l’orfano e la vedova…
Sono queste le azioni che ci consentono, come amici del Signore, di preparare una società che sappia andare incontro allo sposo e un’umanità più vivibile anche per i nostri figli.
(Is 30, 18-26; 2Cor 4, 1-6; Gv 3, 23-32a)