XX DEL TEMPO ORDINARIO - Mt 15, 21-28


(Is 56, 1.6-7; Mt 15, 21-28)

Ricorderete come nel vangelo di domenica scorsa Gesù avesse definito Pietro: Uomo di poca fede! Infatti l’apostolo aveva chiesto al Signore di poter andargli incontro camminando sulle acque, ma poi era stato preso dalla paura e aveva cominciato ad affondare … allora Gesù gli dice: Uomo di poca fede.

Appare del tutto paradossale eppure, nel vangelo di oggi, il Signore si rivolge a una donna pagana che come tutti i pagani era considerata un “cane” (anche se Matteo sembra attenuare questo disprezzo con il diminutivo “cagnolini”) e le fa un riconoscimento straordinario, dicendole: grande è la tua fede.

Per Gesù questa sconosciuta è una donna di grande fede, eppure non solo è la prima volta che la incontra, ma sicuramente non è una che frequenta la sinagoga, anzi probabilmente invoca altri dèi Baal e Astarte … ma di quale fede stiamo parlando?

In che cosa consiste la fede di questa donna che incalza Gesù?

In prima battuta potremmo dire che la sua è la fede delle madri che soffrono per la carne della loro carne: esse conoscono Dio perché lo sentono pulsare nel profondo delle loro preoccupazioni, nei loro pensieri sempre rivolti ai figli, dentro il loro cuore di madre che non pulsa se non per qualcun altro!

Ma dobbiamo dire di più,questa donna è grandiosa non perché utilizzi le formule della teologia, ma perché è convinta – e come tale si rivolge a Gesù – che Dio è più attento alla vita e al dolore dei suoi figli, che non alle parole che professano.

Ecco la fede di questa madre è quella di tutte e di tutti coloro che credono che nel cuore di Dio non ci sono frontiere, non ci sono dogane: gli uomini sono figli suoi, giudei e fenici, credenti e pagani, quelli che vivono sotto il cielo di Tiro e quelli che vivono sotto il cielo di Nazaret.

E la narrazione evangelica ci fa stare nella condizione che anche Gesù deve – per così dire – imparare da questa donna che gli dice: Guarda che tu non sei venuto solo per quelli di Israele, tu sei pastore del dolore del mondo!

Sono figli di Dio anche i cagnolini di Tiro e di Sidone!

E così Gesù impara qualcosa su Dio e sull’uomo dall’amore e dall’intelligenza di una madre straniera

«Da questo incontro di frontiera, da questo dialogo fra stranieri prima brusco e poi rasserenante, emerge un sogno: la terra vista come un’unica grande casa, una tavola ricca di pane, una corona di figli».

Una casa dove non ci sono “i nostri” dentro e fuori ci sono “gli altri”, ma ci sono solo figli da saziare. Dove, come Gesù, si impara da ognuno, dove nessuno, neppure i cuccioli, ha più fame.

Io non so se la madre Cananea conoscesse Isaia, ne dubito, eppure nelle sue parole abita l’eco del sogno del profeta: la mia casa sarà casa di preghiera per tutti i popoli.

Come potrà il tempio, per accedere al quale occorre rispettare una serie di regole di norme, diventare casa di preghiera per tutti? Che cosa dice Isaia? Potremmo forse accusarlo di predicare il relativismo?

Il profeta invita il popolo a passare dal tempo dell’esclusione, ovvero dall’insistenza su ciò che divide, sulle regole di appartenenza, sulle frontiere e sulle divisioni … al tempo dell’inclusione, dell’integrazione e dell’allargamento dei paletti dei confini fino al punto che la casa di Dio può diventare casa di preghiera per tutti coloro che osservano il diritto e praticano la giustizia, come dice Isaia all’inizio.

Questa donna, questa madre cananea dunque porta dentro di sé la profezia e crede profondamente che Dio sia più grande del nostro cuore, dei nostri dogmi, delle nostre professioni di fede e delle nostre appartenenze.

In questo la fede della Cananea è più grande di quella di Pietro, è immensamente più grande della nostra.

Proprio per questa sua fede nella liturgia ortodossa viene chiamata: apostola e teologa.

La Cananea è apostola e teologa perché permette a Gesù di vivere la sua identità non in modo chiuso ed escludente e così Gesù ci insegna a non fare dell’identità un idolo, perché ritrova la sua stessa identità nel volto dell’altro, nell’ascoltare la sofferenza dell’altro, come farà anche con il centurione pagano che va da lui portando la preoccupazione per il suo servo (Mt 8,6).

Questa parola risuona per noi oggi, in questo contesto internazionale di crisi economica e non solo finanziaria, in un tempo di incertezza e di precarietà, come un invito a non chiuderci su noi stessi, preoccupati di difendere il poco o tanto che abbiamo e arrivare ad essere meno solidali gli uni con gli altri.

La storia ce lo insegna che non c’è niente come la sofferenza, il dolore e la fragilità che possono avvicinare le persone tra di loro.

Forse questo momento ci sollecita un soprassalto di condivisione, di sentire su di noi le fatiche e le sofferenze di chi ci sta intorno.

Proviamo ad ascoltare nella preghiera di questa madre il grido delle madri del Corno d’Africa che assistono impotenti alla morte dei loro figli per la carestia.

Ascoltiamo nel grido della Cananea il grido di tante donne nel mondo che per diversi motivi piangono i loro figli.

Se riusciamo a non essere indifferenti all’angoscia e alla sofferenza di una persona, sia essa cristiana, ebrea, musulmana o agnostica, se riusciamo a guardare negli occhi chi ci sta domandando aiuto, chi ci sta chiedendo una mano, forse saremo capaci di scoprire il volto di un fratello, di una sorella, perché la sofferenza non conosce e non tollera confini, cancella tutte le distanze.

Celebrando l’Eucaristia siamo gettati da Gesù al di là dalle nostre frontiere mentali che dividono l’umanità … siamo proiettati a superare le barriere della diversità e dei pregiudizi, come ha fatto il Signore, che ha spezzato il suo corpo e versato il suo sangue “per tutti”.

Preghiamo insieme perché ci renda capaci di vincere la tentazione della chiusura e della paura per saper ascoltare il grido di dolore di larga parte dell’umanità e sappiamo donare anche solo qualche briciola di attenzione e di amore.