XII DOPO PENTECOSTE - Mt 23, 37 - 2


Sembra proprio di avvertire tutta l’amarezza che abita il cuore di Gesù, quando apostrofa la città santa dicendo: Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia raccoglie i pulcini sotto le sue ali e voi non avete voluto!

Il Signore sembra esprimere la delusione di Dio stesso che da sempre ha voluto Gerusalemme come il luogo per eccellenza della manifestazione del suo progetto messianico. Invece Gerusalemme si presenta a Gesù come si presenta anche a noi oggi, come è sempre stata nella sua storia, una città carica di contraddizioni, mèta di pellegrinaggi, ma anche luogo di tensioni e di violenze. Una città voluta da Dio, eppure capace di mettere a morte gli uomini di Dio.

Gerusalemme è tutto questo: è bellezza e fascino, è cultura e conoscenza, ma è anche dolore e sofferenza. Racconta un midrash: «Dieci porzioni di bellezza sono state accordate al mondo dal creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di scienza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di sofferenza sono state accordate al mondo dal creatore e Gerusalemme ne ha ricevute nove».

Infatti nella sua storia Gerusalemme è stata una città sempre molto amata e per questo molto contesa. Tale destino ha avuto inizio 3000 anni fa, quando la città non contava forse più di 2000 abitanti. La sua esistenza come capitale pacifica, pur in mezzo a grandi travagli e sofferenze, dura 400 anni, e poi via via attraversata da continue invasioni, conquiste: prima gli egiziani, poi i babilonesi, i persiani, i tolomei, i seleucidi, i romani, gli arabi, i cristiani d’occidente, i sultani egiziani, turchi, sino agli eventi più recenti…

La lettura del libro dei Re ci ha ricordato la tragedia dell’assedio e della distruzione della città da parte di Nabucodonosor nel luglio del 587 e della cancellazione della dinastia di Davide: Sedecia ultimo discendente dell’asse davidico, assiste al massacro dei suoi figli e subito dopo con un ferro rovente viene accecato, come se l’ultima immagine che dovesse avere nel suo sguardo dovesse essere la tragica morte dei suoi figli!

Ma ancora oggi, se vi capita di andare a Gerusalemme alla porta di Damasco non potete non osservare, gli uni accanto agli altri, un rabbino che va a pregare al Muro, una ragazzina disinvolta che viene dal kibbutz, un musulmano con il suo asino e poi un monaco greco. Ciascuno di loro chiuso nel suo mondo: non c’è niente in comune tra il mondo del rabbino e quello del monaco greco, sono mondi differenti  che coesistono, l’uno a fianco dell’altro.

Gerusalemme ha la vocazione ad essere città di pace e di incontro dei popoli, ma questa va di pari passo con la violenza e l’ingiustizia che la abitano e che l’hanno portata a uccidere i profeti di Dio. Una città carica tutt’oggi di tensioni terribilmente forti tra diverse culture e popolazioni, tra israeliani e palestinesi, ma anche fin dentro la stessa comunità ebraica dove non mancano tensioni molto forti tra i praticanti e i non praticanti, tra comunità differenti.

Proprio per questo dalla metafora usata da Gesù, Gerusalemme appare come la cifra simbolica della nostra stessa convivenza umana, della condizione di contraddittorietà che stiamo attraversando nel mondo, al punto che il card. Martini diceva: «Se ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo». Perché a Gerusalemme vengono al pettine i nodi dell’umanità.

Gerusalemme infatti rappresenta il centro e il simbolo dei valori etici, culturali, religiosi, storici comuni a molti popoli, specie alle tre grandi religioni monoteiste. Non solo Gerusalemme è costruita su colline rocciose, ha un’architettura propria fatta di sassi, ma di pietra sono i tre centri della città: la pietra del Muro occidentale dove gli ebrei vanno a pregare; la pietra del sacrificio di Abramo nella moschea della cupola d’oro; la pietra ribaltata del sepolcro.

È la città dove forse si prega di più in assoluto. Nello shabbat, il sabato ebraico, giorno di riposo e di preghiera tutta la città si ferma: famiglie intere, ragazzi e giovani vanno alla sinagoga due, tre volte al giorno. Il venerdì è giorno di preghiera per i musulmani che a migliaia si radunano a pregare nella spianata del tempio e la domenica si ode lo scampanio di tutte le chiese delle varie confessioni cristiane.

Gerusalemme è impregnata di questa totalità nel bene e nel male, che la rendono città carica di mistero. Il fatto stesso che gli eventi decisivi della salvezza, morte e risurrezione di Gesù e i fatti decisivi della chiesa primitiva si siano compiuti in Gerusalemme ha un qualche significato che possiamo dire pieno di mistero che conferma l’impatto assolutamente unico dell’azione di Dio nella storia degli uomini, così che Gerusalemme rappresenta un misterioso punto di incontro tra l’eternità e il tempo.

Gerusalemme è il luogo del tempio, ma anche il luogo dove il tempio verrà distrutto, dove non rimarrà pietra su pietra, perché direbbe Heschel «Al tempio Dio preferisce il tempo», in cui anche l’uomo abita con lui.

Gerusalemme è pensata da Dio come metafora per eccellenza del raduno di tutti i popoli nel segno della mitezza, della pace, della non violenza, dell’amore così da realizzare un nuovo modo di vivere insieme, un nuovo modo di essere città.

Isaia (11, 6-8) sognava che Gerusalemme sarebbe stata abitata da un popolo nuovo capace di trasformare le spade in aratri e falci, capace cioè di trasformare le fabbriche di armi in strumenti di lavoro, di trasformare la violenza in energia costruttiva, la paura nel coraggio dell’incontro e del dialogo. Una città in cui il bambino potesse giocare con la vipera, l’orso pascolare insieme con i buoi e il leone con la pecora.

Ma così non è: Gerusalemme è icona del pellegrinaggio verso l’incontro con Dio, dell’abitare nella pace e nella giustizia, ma di una giustizia e di una pace che nemmeno Gerusalemme possiede, di cui è solo icona perché non ne è capace, ma ne è profezia.

La città delle contraddizioni che esercita sull’uomo un’attrattiva perenne come punto di arrivo, è la chiave per l’interpretazione degli enigmi della storia, della complessità delle tensioni storiche che agitano gli uomini.

Gesù chiede ai discepoli di non fermarsi alle pietre, ma di andare a quel significato di cui le pietre sono rimando e di cui ci parla l’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse che annuncia appunto una città nuova, che viene da Dio, scende dal cielo bella come una sposa… una città in cui non ci sarà più né lutto, né pianto, né lamento, né dolore.

Gerusalemme nella sua storia complessa e nel suo essere luogo denso di mistero, possiede un carattere profetico, nel senso della profezia del destino ultimo, della salvezza finale, luogo simbolo di quel disegno secondo il quale Dio vuole raccogliere l’umanità come una chioccia raccoglie i suoi pulcini.

Ecco Gerusalemme è tutto questo, è storia, mistero e profezia e noi contemplando questo disegno impariamo a vivere la nostra condizione con il pensiero ancorato alla fedeltà di Dio nella storia; con il cuore pieno di mistero perché non riusciamo a farci ragione di quanta violenza c’è nel mondo; ma al tempo stesso con lo sguardo illuminato dall’assolutezza dei valori ultimi, senza che questo sguardo offuschi o trascuri le vie dell’uomo verso la pace, ma con la certezza che le ultime realtà danno il giusto valore a tutto.

(2Re 25, 1-12; Mt 23,37-24,2)