VI DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 20, 1-16


Se potessimo avere tra le mani il libro del vangelo di Matteo per aprirlo sul passo di oggi, ci renderemmo conto che la parabola che abbiamo ascoltato (Mt 20,1-16) è come incorniciata tra due frasi che si ripetono. Così il capitolo precedente (cap. 19) si conclude con Gesù che afferma: Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi, frase pressoché analoga a quella con cui Gesù conclude la pagina di oggi: Gli ultimi saranno primi e i primi ultimi.

Il racconto della parabola sta come incastonato tra queste affermazioni, così che Gesù dicendo questa cosa all’inizio e ripetendola alla fine, ci suggerisce la chiave di lettura della parabola che il Signore racconta per rispondere alla domanda di Pietro: «Guarda che noi abbiamo lasciato tutto e ti veniamo dietro! Che cosa ne avremo?» (19,27).

C’è tanta gente che ti segue, sembra dire Pietro, ma «noi siamo stati i primi» e allora cosa ci darai? E Gesù a dirgli: Guarda che i primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi!

In che senso? Nel senso che la storia, la vita è il cantiere di Dio: c’è chi comincia al mattino presto, e c’è anche chi si aggiunge all’ultimo minuto… ma di sicuro c’è posto e lavoro per tutti. La preoccupazione – se così possiamo dire – dell’Eterno non è quella di chi arriva prima e di chi viene dopo, ma è quella espressa dalla domanda centrale: «Perché state qui tutto il giorno senza far niente?» (v.6).

È la domanda per noi, un appello quanto mai urgente, oggi: laici, uomini e donne, perché state nella Chiesa senza fare nulla? Che cosa state ad aspettare?

Curiosa la risposta: «Perché nessuno ci ha presi» (v.7). Perché non c’è posto per noi, perché i primi sono sempre lì a presidiare tutti i posti possibili, «non c’è posto per noi» nella chiesa oggi.

È un’immagine dolorosa della Chiesa, perché anziché essere come un’agenzia interinale che favorisce e permette agli uomini e alle donne di lavorare per Dio, tanto spesso si chiude in se stessa. Occupa tutti i posti possibili. Basti pensare ai partecipanti del prossimo Sinodo che si occuperà dei temi della famiglia. Circa 280 sono i vescovi e i cardinali che, a vario titolo, hanno diritto di voto. Tra questi vi sono i responsabili degli uffici della curia vaticana e i nominati dal papa; inoltre vi sono 10 rappresentanti degli ordini religiosi maschili. Poi vengono i membri del Sinodo di serie B, quelli che non hanno diritto di voto, sono solo uditori od uditrici e sono nominati. Solo in questa categoria si trovano delle donne, sono 13. Tra queste tre suore che rappresentano il milione di suore che ci sono nel mondo! Esse sono uditrici (nominate) mentre gli ordini maschili hanno dieci rappresentanti (eletti) con diritto di voto. In appendice, sempre senza diritto di voto, ci sono 17 coppie di sposi, che fanno parte di strutture, romane o diocesane, di pastorale famigliare.

I commenti non sono necessari. Vista così la condizione della Chiesa sembra riproporre l’attualità della prima delle cinque piaghe individuate dal Rosmini, piaga che continua come ferita aperta e sanguinante ancora nella Chiesa e che è la separazione tra la gerarchia e il popolo di Dio.

I primi dominano e gli ultimi subiscono. La logica del mondo pervade anche la chiesa di Dio, ma Dio non si lascia imbrigliare dalle nostre strutture e continua a scegliere gli ultimi per farli diventare primi. Non ha fatto così con il santo che ricordiamo proprio oggi?

Francesco d’Assisi è per noi un esempio chiaro dell’ultimo che si fa primo: era lontano dalle cose di chiesa, dalle liturgie, dalle preghiere, era un giovane che si divertiva e basta… Eppure a una chiesa opulenta e compromessa con la mondanità del tempo, il Signore ha fatto il dono straordinario di Francesco d’Assisi.

Non dimentichiamo che la vocazione di san Francesco non fu subito capita nemmeno dai grandi del suo tempo, dai suoi eredi, tant’è che san Bonaventura fece bruciare tutte le biografie di Francesco perché erano troppo pericolose… per scriverne una più conciliante con l’istituzione.

Eppure Francesco nel suo testamento, quando ricorda l’inizio della sua vicenda, comincia con queste parole umili e luminose che molti di noi ricorderanno: «Quando ero nei peccati, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma il Signore medesimo mi condusse fra loro e usai misericordia con essi e quando mi allontani da loro ciò che prima mi pareva amaro si trasformò in dolcezza dell’anima e del corpo».

Il fatto che la storia di Francesco cominci con il bacio del lebbroso è un segno chiaro da dove comincia il regno di Dio: dagli ultimi. Francesco scelse di vivere come i più poveri del suo tempo, come quei fratres minores, quali erano i braccianti, il sottoproletariato; quei fratelli ultimi che non dovevano vivere di elemosina, ma di lavoro e solo quando il lavoro mancava, come capitava a tutti i minores, a tutti gli ultimi, allora dovevano stendere la mano.

Solo un ultimo, un povero come lui poteva comporre il Cantico delle creature, che non è il canto dell’esteta, né quello del padrone… è il canto del povero che si sente accolto dal grande concerto del creato che celebra la vigna della vita!

Il messaggio di Francesco ebbe un risultato straordinario perché aggregò tutti coloro che cercavano una maniera di vivere il Vangelo in una chiesa che assecondava lo stile dei potenti e dei ricchi.  Per questo Francesco rifiutò perfino di diventare prete: per essere ultimo in un contesto in cui essere prete aveva un certo peso sociale e economico.

Questo essere ultimo, gli permise l’audacia, nel momento più cruciale della Quinta Crociata, bandita dal Concilio Lateranense, di partire con un gruppo di dodici compagni per il campo dei Crociati, attendati nei pressi di Damietta, in Egitto. È fermamente intenzionato ad incontrare il Sultano d’Egitto, il capo dell’esercito musulmano, l’avversario che i Crociati devono combattere e vincere per entrare in possesso dei Luoghi Santi.

Nel campo dei crociati, secondo la cronaca di Tommaso da Celano, Francesco predica contro il ricorso alle armi ed alla guerra e sostiene la necessità di procedere a trattative di pace con il nemico.

La sua azione suscita le ire del delegato pontificio che non può comunque impedire a Francesco di andare nel campo avversario per incontrare il Sultano. Francesco e Frà Illuminato attraversano il campo crociato tra sberleffi, ingiurie, scherni, calci e botte.

I Saraceni, vedendoli arrivare, gli vanno incontro e li conducono alla presenza del Sultano. I cronisti dell’epoca scrivono che il Sultano si chiamava al-Malik al-Kamil. Nipote del famoso Saladino, alla sua corte amava disputare con i dotti di grammatica e giurisprudenza, egli stesso era un poeta di cui ci sono stati tramandati alcuni versi. Fondò al Cairo una scuola per le scienze delle tradizioni. Famoso per la gentilezza ed il contegno austero. Contrario agli inutili spargimenti di sangue, aveva più volte offerto ai Crociati trattative di pace, da essi sdegnosamente rifiutate.

L’incontro di Francesco con questo sovrano aperto, colto, illuminato fu straordinario. Il Sultano volle che Francesco restasse suo ospite per diversi giorni , per ascoltarlo, dialogare con lui, approfondendo temi religiosi con l’aiuto di teologi e saggi musulmani. Tra i due nacque un’amicizia che durò tutta la vita.

In un tempo in cui un musulmano non si poteva concepire se non come nemico, empio, diabolico, il mite ed umile Francesco, contrario alla guerra e soprattutto ad una guerra come la Crociata, condotta in nome della fede, dimostra che l’ultimo dei battezzati, un uomo inerme, riesce dove i generali e i condottieri non riusciranno con le armi (in Egitto infatti i Crociati subirono una disastrosa sconfitta).

Francesco aveva capito, e noi dobbiamo comprenderlo con lui, che la vigna è l’umanità nella quale impariamo a stare con gli ultimi, proprio come fa Dio, perché è a partire da lì che si cambia la storia.

Ringraziamo il Signore per averci chiamato a lavorare nella vigna, preghiamolo di avere occhi e cuore per scegliere la via dell’umiltà.