TUTTI I SANTI - Mt 5, 1-12


(Ap 7,2-4.9-14; Mt 5, 1-12)

Con la celebrazione di oggi siamo invitati a contemplare non tanto i santi singolarmente presi, ma la loro comunione, una comunione nella quale ci sono tutti, sia i santi più noti e famosi, sia quelli che non ci sono sui calendari e che ricordiamo perché hanno segnato la nostra vita, così come i giusti della terra.

Vogliamo guardare a loro così come si guardano le stelle nella notte. Coloro che invochiamo come protettori, come patroni sono come stelle nella notte del tempo e della storia, perchè rimandano sulla terra il riflesso della luce di Dio, una luce che è per noi, per ognuno di noi, una guida all’incontro con lui.

In genere li invochiamo nei momenti appunto di scoraggiamento, di prova. Quando viviamo un periodo di aridità nella fede, di pigrizia nella preghiera e non “sentiamo” affettivamente il Signore vicino a noi. Oppure quando siamo nella tristezza e ci troviamo a piangere per un dolore o per una delusione perché non ci sentiamo capiti dalle persone care, dagli amici. Di fronte a tanti che scalpitano per scalare i primi posti, ci sentiamo piccoli e non all’altezza, preghiamo i santi perché impariamo da loro a vivere con gioia e pace anche questi momenti. Infatti i santi sono dei riferimenti per una santità possibile di fronte al mondo.

Se il mondo dice: «Beati i ricchi, perchè possono soddisfare tutti i loro desideri»; il Vangelo afferma: «Beati i poveri». Se il mondo pensa: «Beati i forti, i violenti perché impongono la loro volontà a tutti e si impadroniscono di quello che vogliono»; il Vangelo dice: «Beati i miti». Se il mondo afferma: «Beati coloro che ridono e si godono la vita»; Cristo dice: «Beati quelli che piangono»…

Il contrasto non potrebbe essere più grande, al punto che la luminosità delle Beatitudini potrebbe abbagliarci ed essere così tentati di scoraggiamento perché irraggiungibili e impossibili.

I santi sono il riflesso delle Beatitudini, come un prisma che scompone la luce nei diversi colori, per dire che a ciascuno di noi è possibile vivere quella beatitudine che la vita ci domanda oggi, in questo momento, avendo sempre davanti a noi il Cristo. È lui il povero, il mite, il misericordioso, il puro di cuore; anche i suoi occhi hanno versato lacrime, così come sotto interrogatorio e sottoposto a violenza ha mantenuto un atteggiamento di perdono e di pace.

Gesù ha saputo essere “santo” nel senso vero del termine, ovvero come dice l’etimologia (a-ghios: senza terra): altro dalla«maggioranza», diverso dal modo di pensare comune. Come canteremo tra poco nella preghiera eucaristica: Dio è santo, tre volte santo. Davvero Dio è diverso, è altro, altro il suo modo di amare, altro dal nostro.

Tutti noi vogliamo la felicità, la gioia di vivere, la questione è il modo che percorriamo per raggiungerla.

La via della santità, che il Concilio ci ha ricordato essere propria di tutti i battezzati, è la via che contempliamo percorsa da quei 144mila dell’Apocalisse, che sono segnati sulla fronte con il sigillo di Dio.

Il numero indica la moltitudine di ogni razza, nazione, popolo e lingua… come canteremo poi nella litania dei Santi e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Siamo di fronte a un paradosso: come si possono rendere candide delle vesti immergendole nel sangue?

È l’immagine plastica delle Beatitudini: la felicità, il candore della veste che è la luminosità della vita, è possibile nel sacrificio, nella fatica, nel prezzo che paghiamo quotidianamente rinunciando al nostro orgoglio, al nostro io.

Gesù ci insegna la felicità nella povertà, nel pianto, nella mitezza, nelle condizioni che la vita ci fa incontrare e che facciamo fatica ad accettare.

Non nel senso che dobbiamo cercare la prova e il dolore ad ogni costo, non è questo il pensiero di Cristo. Piuttosto anche nella sofferenza, nella crisi e nelle difficoltà possiamo chiederci: cosa mi sta insegnando il Signore permettendo questa situazione? A cosa vuole che io risponda?

Umanamente di fronte a un problema, a una situazione complessa, reagiamo subito, non accettiamo, diventiamo nervosi, mandiamo qualche imprecazione.

Ci arrabbiamo con Dio perché questo non doveva accadere… Ci sta anche che ogni tanto ce la prendiamo con lui, ma dopo, quando rientriamo nel silenzio del nostro cuore e riflettiamo, lasciamoci lavorare da lui, che ci chiede di avere il cuore oltre le cose!

Molti santi sono quelle umili creature segnate dalla fatica, dal travaglio, dal lavoro, dalla sofferenza, dalla solitudine che sanno fare grandi tutte le loro cose, sanno far grandi anche le lacrime, anche il pianto, anche la sofferenza, sanno far grande anche la povertà, sanno fare grande tutto. Tutto è grande per chi cammina in questo orizzonte di divina pienezza.

È la santità che incontro ogni giorno in uomini e donne che non hanno mai vissuto altra spiritualità che l’amore delle cose ben fatte, l’attenzione agli altri, il gusto della realtà, la limpida onestà, il senso del giusto, la sapienza di progetti possibili …

Questo è il popolo delle beatitudini che oggi canta con chi ci ha preceduto nel regno. Chiediamo al Signore di avere il cuore oltre le cose, per essere fedeli alla beatitudine che la vita ci chiama a vivere in questo momento.