FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA - Mt 2, 19-23
Quest’anno la celebrazione della santa Famiglia di Nazaret, secondo la liturgia ambrosiana, cade in un momento di grande dibattito e ad alta tensione nel nostro paese, anche perché quando parliamo di famiglia oggi ci troviamo di fronte a un ventaglio di situazioni molto diverse tra di loro.
A Milano nel 2014 si contavano 721.443 famiglie (12% in meno rispetto al 2013), di queste ad esempio 93.000 erano nuclei monogenitoriali con figli[1], e poi ci sono le convivenze di fatto, le coppie sterili o adottive, i coniugi rimasti vedovi, i nuclei riformati dopo lo scioglimento di un precedente matrimonio, i genitori separati e divorziati con figli e le coppie omosessuali, talora con figli. Tutto questo mondo variegato è considerato nella sostanza e nel linguaggio quotidiano come «famiglia».
La pagina stessa del vangelo di Matteo (2,19-23) ci ricorda che la famiglia da sempre è in una condizione complessa, difficile e faticosa. Giuseppe e Maria rientrano dall’esilio, ma non possono fermarsi a Gerusalemme e devono riparare a Nazaret, perché il pericolo non è terminato… Devono sottrarsi al regime poliziesco del figlio di Erode e farsi aiutare da una rete di solidarietà e di accoglienza, fatta da amici, parenti… A ben guardare l’icona della famiglia di Giuseppe, Maria e Gesù, lungi dall’essere un modello, è memoria della storia stessa del popolo ebraico e delle sue famiglie, ma anche metafora della storia e della condizione delle famiglie di oggi, delle famiglie dei profughi, delle famiglie migranti, come anche delle nostre famiglie lacerate e ferite…
Ma se la famiglia oggi è in difficoltà lo è anche a causa di altri fattori, quali la mancanza/perdita del lavoro, il problema della casa, la violenza entro le mura domestiche, l’odio fra i coniugi, i rancori tra fratelli, eredità contese e cose del genere, come pure la mancanza di politiche economiche e fiscali a sostegno delle famiglie, il mancato sostegno ai nuclei numerosi.
Infine, si impone oggi nel dibattito pubblico la questione delle unioni civili e in particolare delle coppie dello stesso sesso e della possibilità di queste coppie di avere o adottare dei figli.
Nessuno di noi dovrebbe esimersi dall’approfondire, dallo studiare, dall’ascoltare per potersi fare un giudizio coerente e rispettoso. Anzi come discepoli di Gesù, come Chiesa cui il Signore ha affidato il Vangelo, dobbiamo riflettere e interrogarci, ma anche pregare affinché ci sia dato di essere fedeli al disegno della creazione e al tempo stesso di saper vivere secondo il Vangelo le sfide che l’attualità ci pone.
Se lo stato è laico e ha il dovere di legiferare, di normare e proteggere i diritti e i doveri dei suoi cittadini, perché il diritto regola i rapporti sociali e ne coglie, recepisce e orienta i mutamenti in atto, non vorremmo rivivere quello che nel nostro Paese è accaduto ai tempi del referendum sul divorzio (1974) e della legge sull’aborto (1978).
Per questo ci domandiamo quale sia il ruolo dei laici cattolici e quale sia la missione della Chiesa di Gesù in questa complessa condizione delle famiglie oggi. Se la missione della Chiesa è annunciare al mondo che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione», come ha detto papa Francesco (22 gennaio 2016), è anche vero che la nostra missione non si ferma qui e dobbiamo fare un passo in più e domandarci cosa vuol dire annunciare il Vangelo oggi in un mondo in cui l’istituto familiare si presenta come una realtà molto variegata riconducibile ormai con difficoltà al modello costituzionale di famiglia, se rigidamente interpretato o alla fissità dello schema convenzionale «mamma, papà, bambino/a».
È vero che un bambino ha diritto a crescere con un padre e una madre, secondo una logica antropologica e non ideologica, di fatto però questa linea di principio può venire meno o non essere possibile per mancato riconoscimento, abbandono o morte di uno dei genitori naturali. Se infatti non sempre la sessualità coincide con la procreazione, non sempre il concepimento comporta assunzione di responsabilità genitoriale. In Italia le famiglie monogenitoriali con uno o più figli sono il 16% di tutte le famiglie, un totale di 4 milioni.
Posso peccare di ingenuità, ma la domanda è apparentemente semplice: «Cosa farebbe Gesù oggi di fronte a queste situazioni?». Farebbe la sentinella in piedi nelle piazze? Andrebbe a gridare da qualche parte i suoi diritti? Organizzerebbe manifestazioni per difendere la famiglia?
Gesù non ha mai posto condizioni di sorta per accedere all’amore di Dio. L’unico ostacolo contro il quale si è davvero ostinatamente ribellato è quello dell’ipocrisia, autentica chiusura del cuore e della mente per incontrare l’amore del Padre. Nei suoi incontri non ha mai posto delle condizioni di regolarità o di moralità… ha sempre dimostrato grande attenzione e rispetto per le vite complicate delle persone, come ha sempre annunciato che a tutti è data la possibilità di accogliere l’amore di Dio, se appunto con cuore vero e sincero.
Allora la chiesa ha come sua missione quella di continuare l’opera del Cristo e costituire la concreta, ma non unica, possibilità di fare esperienza dell’amore di Dio. Il nostro riferimento è l’agire di Gesù che si è piegato sulla sofferenza, sul dolore, conoscendo la fatica di chi affronta la vita giorno per giorno, e si è preso cura di ciascuno donando la certezza di essere amati!
Occorre che abbiamo nel cuore una visione così ampia, che pur senza rinunciare ad annunciare la verità del vangelo del matrimonio, sappia non rinunciare ad accogliere, ad accompagnare anche situazioni che a noi possono sembrare distanti dal disegno di Dio.
È vero che dobbiamo essere lievito e sale nell’impasto del mondo, come dice Gesù, ma quando l’essere lievito e sale si trasforma in esercizio muscolare, allora succede come quando cuciniamo che se la misura del lievito e del sale è sproporzionata fa esplodere la pasta e rende il cibo immangiabile. Come Chiesa non dobbiamo cedere alla logica del ricatto e alla strategia mondana della mera contrapposizione di forze, ma uscire dagli schemi sclerotizzati e aprirci alla complessità delle famiglie, che va compresa e che va vissuta come un’occasione, un kairòs.
Non c’è come chi è ferito nell’amore, che ha bisogno di un amore ancora più grande che solo Dio può dare.
Come cristiani non esigiamo leggi cristiane, la nostra missione è altro, è un altro il modo in cui abitiamo le sfide del presente, come diceva papa Francesco al convegno ecclesiale di Firenze: «La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo… La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. … Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia.
Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà» (Francesco, Firenze 10 novembre 2015).
L’annuncio evangelico va ben oltre la difesa della cosiddetta famiglia «naturale». Nel libro del Siracide (44,23 – 45,1-5) si dice Dio ha posto la sua benedizione e la sua alleanza sul capo di Giacobbe… assegnandogli le dodici tribù. Forse non tutti ricordiamo «come» Giacobbe ha avuto i suoi dodici figli. A parte il fatto che con la complicità della madre, era riuscito a imbrogliare l’anziano padre Isacco, carpendo la benedizione che era di Esaù, questo passi, ma poi si racconta in Genesi che «I figli di Giacobbe furono dodici. 23Figli di Lia: Ruben, il primogenito di Giacobbe, poi Simeone, Levi, Giuda, Ìssacar e Zàbulon; 24figli di Rachele: Giuseppe e Beniamino; 25figli di Bila, schiava di Rachele: Dan e Nèftali; 26figli di Zilpa, schiava di Lia: Gad e Aser» (Genesi 35). Dodici figli: 8 da due mogli e 4 da due schiave. Non proprio una famiglia esemplare, potremmo dire che naturale era… la poligamia. E Giacobbe divenne Israele!
Se poi andiamo a leggere di Davide, veniamo a sapere che quando sale a Ebron lo fa con le sue due mogli (2 Sam 2,2) Achinòam e Abigàil, che al cap. 3 diventano già sei (Maacà, Agghit e Abitàl; Egla) e aveva trent’anni!
Quando ne compie trentatré e conquista Gerusalemme si legge al cap. 6,13: Davide prese ancora concubine e mogli… queste generarono altri figli e figlie a Davide… e seguono undici nomi.[2] Per non parlare di Salomone: Il re Salomone amò molte donne straniere… (1Re 11,1) e infatti Aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine (1Re 11,3).
Noi non ci scandalizziamo e giustifichiamo dicendo che era una questione culturale, sociale, primitiva…, ma noi diciamo che questi racconti sono Parola di Dio, ovvero affermiamo che anche attraverso queste discutibili condizioni culturali, tribali… Dio sa compiere la sua opera di salvezza, al punto che il Messia, Gesù, è detto «figlio di Davide»!
La nostra missione non è semplicemente difendere, ma attestare con fiducia che Dio, che bene conosce la condizione umana, è immensamente più grande delle nostre categorie, delle nostre classificazioni e di conseguenza, come diceva sempre papa Francesco ad Assisi: «Le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo».
Per questo, continua il papa «Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità…» (Francesco, Firenze, 10 novembre 2015)».
[1] MeglioMilano, Primo rapporto sull’infanzia e l’adolescenza a Milano, 2015.
[2] Non soddisfatto Davide si fissò anche su Betsabea, per la quale mandò a morte sicura in battaglia Uzia, un generale suo amico. Dal pentimento stimolato dal profeta Natan scaturì il salmo 51, detto Miserere.