PASQUA - nel giorno - Gv 20, 11-18
Era il mattino di Pasqua… come di tante Pasque passate. Ma quell’anno tutto era strano. Giuda si era illuso di lucrare sulla percentuale dell’esclusiva, ma poi si era arreso allo specchio della coscienza. Pietro terrorizzato s’era chiuso in casa in attesa di tempi migliori. Giovanni che pure vantava un’amicizia speciale con Gesù, non era chiaro quando era sotto la croce se fosse lui a sostenere la madre o non fosse piuttosto lei a consolarlo… Degli altri meno si sa, meglio è.
All’alba di pasqua l’unica che troviamo sul pezzo è lei, Maria di Magdala. Donna forse poco affidabile, certamente poco credibile. S’era infatuata di Lui. Non parlava d’altro, prima di quel venerdì. No, Lui non poteva morire. Non doveva finire così il sogno di un mondo diverso.
Lo aveva predicato in un lungo e in largo un mondo in cui al mattino nell’aria frizzante di primavera ti sveglia il canto dei merli.
Un mondo in cui puoi toccare il lebbroso e vieni a sapere che anche nel cuore del nemico abita una briciola di Dio.
Addirittura da poterti sederti a tavola con il ladro perché finalmente aveva capito che era altro a dare gusto alla vita… Non si stancava di dire, il Maestro, che in una società che conosce il prezzo di tutto e il valore di niente, per essere contenti occorre sapersi accontentare.
Così con lui moriva l’incanto di un mondo altro, diverso.
Per forza di cose quella mattina di Pasqua non è andata al tempio a incontrare Dio: non poteva resistere allo slancio di andare a piangere sul corpo del suo Gesù. Per recitare i salmi sarebbero arrivati giorni adatti. Con lo sguardo di pianto corre verso l’alba.
Ecco nel suo pianto c’è il dolore del mondo, nelle sue lacrime tutte le lacrime versate da migliaia di persone in questi mesi di pandemia, le lacrime di chi ha perso una persona cara, le lacrime dei medici, degli infermieri che si sono spesi oltre ogni limite… ma anche le lacrime di chi piange sotto le bombe, per le guerre, le carestie…
Guardando Maria di Magdala correre piangendo al sepolcro vediamo l’umanità di ieri e di oggi.
È proprio lì, nel cuore del dolore, nel cuore della morte – ma la morte può avere un cuore? – Lui è vivo. Non è Maria di Magdala a dare un senso alla morte. Non ha senso morire.
È Gesù che ti chiama a risorgere con lui, a rialzarti, a trasformare le tue lacrime di solitudine nel pieno del dolore, in uno slancio di popolo.
Perché il Cristo risorto è anche un Cristo che fa risorgere. Il messaggio di Pasqua non è un messaggio d’oltretomba. È un messaggio che percepisce come, nel cuore della vita, Dio viene a sorprenderci e ci dà la forza di superare i fallimenti e le disgrazie.
Dobbiamo dircelo che Pasqua è la festa del Cristo che fa risorgere, cioè del Cristo che ci solleva, ci rialza. Perché ciò che si è iscritto in quel momento della storia, è la rivelazione che a dispetto di tutti coloro che si proclamano padroni del mondo, che siano politici o economisti, la verità ultima spetta a Dio.
Ecco siamo il popolo della risurrezione, del Risorto: Gesù ci chiama a risorgere. Oggi, adesso. Non quando le cose vanno bene, ma qui e ora.
Lui è vivo, non parla dall’oltretomba, è lì davanti ai suoi occhi: Vai, alzati, risorgi anche tu con me, le dice il Cristo, va’ a dire agli altri che ci salviamo insieme.
Così quei giovani che ieri sfilavano per le strade chiedendo ai vecchi: aiutateci a salvare il pianeta! Oggi si sentono dire dai vecchi: non siamo clienti, siamo pazienti!
Perché oggi più che mai è evidente che siamo affidati gli uni agli altri e possiamo rialzarci solo insieme.
Una delle cose che più mi fa infuriare di questi tempi è l’uso della retorica bellica: Siamo in guerra, dobbiamo combattere… ma che guerra! Questo è il tempo della cura, dell’assunzione di responsabilità.
Il nostro obiettivo non è vincere una guerra, ma rialzarci per un’alba nuova della nostra umanità fatta di un’armonia frutto del cambiamento nella maniera di abitare il nostro mondo e relazionarci con il creato, con gli altri… Questa situazione non deve condurci a un’ancora maggior delega della nostra responsabilità. Vediamo come “i grandi di questo mondo” (questi nani morali), parlandoci di guerra, vogliono ancora una volta ridurci a soldati carne da macello per il profitto.
Adesso dobbiamo rialzarci nella nostra responsabilità civile, senza aspettare che “prima o poi passi”, ma preparando già da ora le condizioni e i legami che ci permettano di essere un’umanità resistente.
«In questo nostro mondo, diceva Papa Francesco il 27 marzo scorso davanti alla piazza di S. Pietro vuota, siamo andati avanti a tutta velocità sentendoci forti e capaci di tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta… Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».
Usciamo dal sepolcro del narcisismo consumistico, del “voglio tutto e subito”. Rendiamoci conto di quanto sia importante la qualità delle relazioni umane, di quanto sia vitale la solidarietà, di cosa significhi la natura per la nostra salute mentale e fisica.
Per anni, i miliardi spesi per il marketing ci hanno fatto pensare al nostro pianeta come a un gigantesco supermercato, in cui tutto era a nostra disposizione a tempo indeterminato. Ora proviamo brutalmente il senso della privazione.
Siamo chiamati «a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta … il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita».
Il cambiamento è già in atto e le scelte si stanno formando dentro ciascuno di noi. Certo arriverà il vaccino per vincere definitivamente il virus. Ma dentro di noi si sta preparando un altro vaccino ed è già pronto all’uso se proviamo a trarre da questa impensata potenza negativa una forza nuova, perché “la crisi più profonda può sempre rivelarsi come l’occasione straordinaria di una ripartenza” (M. Recalcati).
Gesù ci chiama a risorgere. Oggi, adesso. Non quando le cose vanno bene, ma qui e ora partecipando della sua intimità, della sua vita, della sua relazione col Padre.
Come dice molto bene un teologo contemporaneo «Gesù non ci mette soltanto davanti a Dio come hanno fatto i profeti … ci fa entrare nella sua intimità, nella sua interiorità abissale, poiché vi è già lui stesso. Ecco la ‘differenza’ cristiana!» (Theobald).
La riflessione di Theobald su Dio mi sembra veramente cruciale per gli uomini e le donne di oggi, perché ha colto in senso analogico nel termine intimità un tema essenziale della rivelazione e dell’esperienza della fede cristiana, e un versante sperimentale della stessa esistenza umana.
Egli con intimità rende ben concreto e comprensibile quella sensibile realtà del divino, in Dio e nello stesso essere umano, in quanto creato a sua immagine e somiglianza.
«I cristiani corrono il rischio di restare davanti a un Dio esteriore a loro e di dissociare il comandamento dell’amore di Dio e quello dell’amore del prossimo…; un’entrata nell’intimità di Dio con Cristo sarebbe illusoria se non divenisse al tempo stesso ‘apertura’ all’interiorità di Dio in ogni uomo e in ogni donna».
Era, ed è oggi, il mattino di Pasqua…
(Gv 20, 11-18)