IV DOPO L’EPIFANIA - Lc 8, 22-25
(Rm 8,28-32; Lc 8,22-25)
Se siamo qui è perché abbiamo deciso di affrontare il mare della vita salendo sulla barca del Signore. L’essere discepoli possiamo paragonarlo alla decisione di compiere la traversata del lago sulla barca del Cristo.
La traversata però è insidiata da forze oscure, ben descritte nel Vangelo come onde che travolgono e contro di esse non possiamo fare nulla. «Imbarchiamo acqua!» è il grido dei discepoli di fronte a una tempesta così violenta che sembra sommergere la barca. Leggiamo qui ad esempio le grandi tempeste storiche e sociali di cui l’umanità è in balìa, di cui il singolo è vittima. Pensiamo ad esempio alla storia europea e non solo del secolo scorso, alle convulsioni delle varie ideologie fino alla violenza più recente del terrorismo…. Sono grandi sconvolgimenti che ricoprono la barca con le loro onde e contro cui sembra non abbiamo grandi possibilità e mezzi. La vita dell’uomo sulla terra, la vita del cristiano, la vita del discepolo è in balia di eventi sociali e culturali ed è pericoloso illuderci di poterli esorcizzare. Sono eventi, cicli storici che vanno avanti nel loro corso, come i cavalloni del mare spinti dai venti.
Ma possiamo vedere rappresentate nella pagina evangelica anche quelle tempeste per così dire personali: le sofferenze, la malattia, le tensioni con gli altri, le amarezze, le delusioni, le umiliazioni che abbiamo subito o che abbiamo dato… quante e quali burrasche abbiamo vissuto o stiamo vivendo magari proprio in questo momento? Penso che sia esperienza comune di fronte sia alle questioni storiche e sociali, sia a quelle più personali, l’aver avvertito quello che viene definito come il silenzio di Dio. Di fronte a tanti sconvolgimenti sociali e culturali, Dio apparentemente tace. Gesù dorme sulla barca.
A parte il fatto che presa in sé questa annotazione sulla stanchezza di Gesù appare umanamente dolcissima: il suo ministero è agli inizi, le sue giornate sono intense, è tirato da tutte le parti, i dodici ancora lo seguono e gli sono accanto, ma non sono capaci di iniziativa. È tutto sulle sue spalle, e allora immaginiamo che appena riesce a trovare un po’ di pace sulla barca da solo con i suoi amici, può finalmente lasciarsi andare, può addormentarsi…
Ma questa appare a noi soprattutto un’immagine drammatica, terribilmente dolorosa, perché sembra esprimere appunto il silenzio di Dio sulle convulsioni della storia. In realtà però se osserviamo il contesto non è proprio così: Gesù ha appena risuscitato il figlio della vedova di Nain, ha perdonato la peccatrice, e prima ancora ha guarito il paralitico, il lebbroso… Quindi non possiamo leggervi una sorta di disinteresse di Dio, piuttosto il sonno di Gesù mi sembra corrispondente al suo silenzio davanti a Pilato, quando egli stesso vive un momento drammatico con un’impotenza che ci lascia perplessi, perchè il Messia dovrebbe agire diversamente, dovrebbe difendersi, far valere le sue ragioni, mostrare la sua forza. Come mai invece sembra che anche lui si faccia travolgere dalle onde?
Nel momento in cui la vita stessa di Gesù è sconvolta dalla violenza, dall’ingiustizia, lo vediamo inerme, fatto debolezza assoluta, non reagisce, lascia fare; in questo senso è lo stesso Gesù che dorme sulla barca e sembra lasciarsi sommergere dalle onde.
Ciò che spaventa i discepoli più che i cavalloni del mare, sono il suo sonno e il suo apparente disinteresse. È gente di mare e sa che le onde possono venire, che la tempesta è un evento da mettere in conto e sanno come affrontarla. Li vediamo tutti ai loro posti, a cercare di governare la barca, i remi, le vele… e Gesù dorme. È l’atteggiamento del Maestro che non corrisponde alle loro attese che li getta nello smarrimento. Non facciamo fatica a immaginare il loro borbottare: «Ma noi stiamo sbagliando tutto! Ci diamo da fare per salvare la barca e la vita e lui non se ne interessa». A questo punto lo svegliano: «Maestro, siamo perduti!».
Chissà quante volte l’abbiamo fatta anche noi questa struggente preghiera: Signore siamo perduti! Sono le nostre stesse parole quando rimaniamo smarriti davanti alla morte di una persona cara, di fronte alle tante tragedie dell’umanità, alle nostre sofferenze, alle crudeltà immani cui assistiamo impotenti…
Silenzio terribile che mette in crisi chi pensa al Signore come a colui che mette ordine, che fa giustizia sulla terra, che premia i giusti e punisce i peccatori. Se nemmeno Dio agisce così, non c’è più speranza!
In realtà dicendo così, denunciando il presunto silenzio di Dio, dichiariamo tutta la nostra afasia, la nostra incapacità, la nostra pochezza. Infatti vediamo salire sulla barca un altro membro dell’equipaggio: la paura, una paura che difficilmente riconosciamo a noi stessi. La paura raramente si manifesta come tale: solo i bambini la confessano con immediatezza. Noi adulti in genere la camuffiamo con il disprezzo, il giudizio, la condanna, ma anche con l’indifferenza ostentata, il sarcasmo, la banalizzazione, con la presunta superiorità… o con un capro espiatorio.
Così succede ai discepoli con Gesù: ma come non fai niente? Anziché interrogarci: che cosa ci dice il Signore con questo fatto? Cosa chiede alle nostre vite da questa condizione? È più spontaneo accusare, trovare un colpevole… solo così ci sembra sia possibile cacciare le nostre paure.
Paolo, che ha compreso bene questo passaggio della vita di fede, ci suggerisce un atteggiamento molto diverso, quando arriva a dire Tutto concorre al bene per quelli che amano Dio (v.28).
È lo sguardo di uno che ne ha passate tante in nome di Gesù: prima lo ha perseguitato, poi seguito, infine accetta di mettere tutta la sua vita dietro a lui, di salire anche lui sulla sua barca… e un poco per volta ha compreso che anche quel male che sembrava mettere una pietra sopra tutto, in realtà è stato fecondo. Non è facile, e nemmeno spontaneo pensare che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio!
Ma è possibile ci fidiamo di lui, perchè, e questa è una certezza, lui si è reso partecipe della condizione umana, altrimenti sarebbe rimasto a riva, da lì avrebbe governato la traversata, invece è salito sulla barca come ad assicurarci che non è un male la fragilità umana, se vissuta con fede.
La chiave di tutto è la consapevolezza di avere a bordo il Messia debole e crocifisso, compassionevole e vicino alle nostre sofferenze. È questa immagine di Gesù che va continuamente riaccolta in un cuore come il nostro che cerca sempre invece un messia dalle soluzioni facili, che trasformi le pietre in pane e che ci permetta di cadere dal pinnacolo del tempio senza farci male!
Gesù che si alza e sgrida il vento e le acque come un genitore sgrida dei ragazzini irrequieti, rilancia la questione con una domanda che ancora oggi per noi risuona con tutta la sua forza prorompente più della tempesta: «Dov’è la vostra fede?».
Dov’è la fede? In che cosa riponete la vostra certezza? Vi fidate di Dio o no?
Questo è il cammino interiore, la traversata appunto che è la nostra vita, alla quale le pagine evangeliche ci richiamano incessantemente, ponendoci in guardia dal costruirci un Signore a modo nostro, per avere invece davanti agli occhi in questa settimana quanto Paolo scrive ai cristiani di Roma: Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio.
Tutto. Ma proprio tutto? Ci domandiamo noi. Preghiamo il Signore che ci doni di vivere con fede la traversata della nostra vita e di credere incrollabilmente che lui non ci abbandona nella tempesta che c’è nel nostro cuore, nella Chiesa e nel mondo, perchè è sulla barca insieme a noi.