II DI AVVENTO - Lc 3, 1-18


Come in un film, Luca per arrivare a focalizzare la voce del Battista che grida nel deserto, comincia con l’obiettivo aperto a tutto campo sull’imperatore di Roma Tiberio Cesare, poi mette a fuoco Ponzio Pilato procuratore di Palestina, per concentrarsi sul re Erode Antipa e sugli altri re fantocci locali, capi politici e militari, pagani ed ebrei, e infine entra nel tempio dove mette a fuoco i capi religiosi Anna e Caifa per dire che anch’essi appartengono all’élite di coloro che hanno il potere.

Questi stessi personaggi, almeno i principali, li ritroveremo nei giorni della passione di Gesù, come a dire che il Signore nasce e muore, mentre loro sono sempre lì. Tiberio, Pilato, Erode, Filippo, Lisania, Anna e Caifa… dopo aver proclamato questi sette nomi, i nomi di chi sembra fare la storia, ecco dice Luca: la parola di Dio venne su Giovanni nel deserto.

Dio non parla nel palazzo del potere, nelle trame delle corti, Dio lì fa un passo indietro, sta in silenzio, ammutolisce. La parola di Dio viene su Giovanni nel deserto. Ma non perché Dio non voglia parlare loro, il problema è che per ascoltarlo bisogna come Giovanni entrare nel deserto, ovvero nel silenzio, nello spogliamento dagli orpelli, nel deserto dove diremmo noi non c’è connessione, non c’è campo… Nel silenzio.

È difficile il silenzio anche per noi oggi. Entriamo in macchina accendiamo la radio, entriamo in casa accendiamo la TV, nei pochi spazi di silenzio c’è sempre il telefono che suona, e poi se non c’è campo per essere connessi ci sembra manchi qualcosa…

Quando offriamo ospitalità al silenzio, può accadere di ascoltare la parola di Dio. Nel silenzio si interrompe la routine e il ritmo accelerato in cui viviamo.  Scopriamo che il mondo non dipende da noi. Il mondo va avanti lo stesso e proviamo sollievo perché è possibile smettere di funzionare come vuole il mondo intorno a noi.

Scopriamo la libertà di essere diversamente, è una sorta di incontro con la libertà, che è l’incontro con noi stessi  perché non ci ascoltiamo mai.

Ed è sorprendente perché, ad esempio, quando ospitiamo il silenzio capita di ascoltare persone che magari non ci sono più e che abbiamo dentro di noi.

È interessante notare che quando entri in questa dimensione più profonda della vita, non hai tante risposte e certezze, ma affiorano più le domande. Così succede nel vangelo, le folle, i pubblicani e i soldati che vanno da Giovanni, tutti nel deserto, pongono la stessa domanda: «Che cosa dobbiamo fare?».

È la domanda che per tre volte risuona nel vangelo di oggi, è una domanda che nasce dalla fiducia in uno come il profeta Battista capace di ascoltare la parola di Dio, e quindi capace di ascoltare anche le loro domande.

Perché questo è anche il nostro problema, o forse siamo talmente omologati, siamo talmente conformi che ci siamo “iperadattati”, cioè  la realtà  è  organizzata in maniera così  rigida come ad esempio quella economica per cui funzioniamo tutti allo stesso modo e finiamo per abituarci all’ingiustizia e diventiamo cinici, che è la malattia dell’anima!

Forse perché non vogliamo ascoltare la domanda: E noi, che cosa dobbiamo fare?

Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha. Dice Giovanni alla gente. A noi sembra già tanto donare le cose che non usiamo più, portare alla Caritas quello che magari ci sopravanza. Giovanni va oltre: Hai due cappotti? Uno è di chi non ha niente! Perché se ascolti il tuo cuore, la tua coscienza, se ascolti la parola che Dio ti sussurra nell’intimo, imparerai a non pensare solo a te stesso, ma a sentirti parte della stessa famiglia umana, per cui se un’altra persona soffre freddo e fame, sei tu che soffri con lui. Il principio di solidarietà: mi sento solidale con il destino dell’altro.

Ai pubblicani, corrotti e avidi nel riscuotere le tasse, cosa chiede Giovanni? Non di abbandonare la professione: come a dire che nessuna professione, per quanto possa essere pericolosa, esclude dalla salvezza, ma se il cuore ascolta Dio allora impari a esigere il giusto, «Non esigete nulla di più di quello che è stato fissato». Giovanni rimanda al principio di equità.

Infine, ai soldati che erano invisi a tutti in quanto strumento degli occupanti romani e spesso prepotenti e violenti, neppure a costoro Giovanni chiede di lasciare il mestiere, ma indica il rispetto della legge: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno e accontentatevi della vostra paga». Il rispetto della legalità.

Solidarietà, equità, legalità: siamo di fronte a principi laici, da costituzione della repubblica. Per il Battista vivere questi valori fondamentali è già un modo per preparare l’avvento del regno di Dio.

Ci parrebbe un po’ poco… e infatti sappiamo che quando Gesù comincerà il suo ministero si spingerà oltre e arriverà a dire: «Non solo non dovete uccidere, ma non dovete nemmeno insultare; non solo non dovete opporvi al malvagio, ma porgere l’altra guancia. Non solo non dovete rubare, ma dovete donare».

Eppure già vivere la solidarietà, l’equità e la legalità, già questo introduce il Vangelo nella storia. Infatti, Luca conclude dicendo che Giovanni evangelizzava il popolo.  Anche se Gesù non ha ancora cominciato a parlare, tuttavia vivere la solidarietà, l’equità e la legalità, già questo è vangelo. A chi si lamenta perché le cose non cambiano… Giovanni dice che sarebbe più che sufficiente prendere sul serio questi tre valori.

Analogamente, come dice la prima lettura, il profeta Baruc, segretario e amico di Geremia, un centinaio d’anni prima di Cristo, anziché scendere nel deserto invitava a salire sulle alture, perché dalla cima dei monti il mondo è diverso da come si vede nella valle delle abitudini e delle consuetudini. Spiritualmente parlando l’esperienza è la stessa: è dalla cima del monte che Baruc vede come orizzonte una nuova Gerusalemme.

La città che Baruc descrive non è una città della Palestina, è la città dell’uomo, è la città di tutti. Infatti è una città che veste il manto della giustizia, perché i monti – escrescenze del potere – sono stati abbassati e le valli – le afflizioni, le sofferenze degli oppressi – sono state colmate.

Allora Baruc sollecita la sua gente ripiegata su se stessa perché non rimanga immobile e indifferente:

Deponi Gerusalemme la veste del lutto e dell’afflizione,

rivestititi dello splendore della gloria!

Sorgi Gerusalemme e sta’ in piedi sull’altura…

Sarai chiamata da Dio per sempre pace nella giustizia e gloria nella pietà!

C’è una leggera, impercettibile differenza nella nostra traduzione e l’originale ebraico: pace nella giustizia e gloria nella pietà. È diverso affermare pace di giustizia e gloria di pietà, anziché pace nella giustizia e gloria nella pietà .

In questa città, nella nuova Gerusalemme, nella nuova umanità, la pace sta nella giustizia. Nel senso che la pace non sta nella mia tranquillità, nella mia quiete. Se io credo di stare in pace ma non sono giusto, quella pace è illusoria, finta. Basta un contrattempo, basta un imprevisto, un povero che incontri per strada, un incidente di percorso e già perdi la pace e la pazienza…

Giustizia non è solo quella indicata dalla nostre norme positive, ma si intende quella giustizia di fondo che in realtà nessuna legge traduce bene, quella giustizia che è la consapevolezza di appartenere tutti allo stesso Dio, alla stessa terra, quella giustizia che ci fa sentire nel cuore la passione per ogni persona e per ogni vita e che ci fa star male ogni volta che vediamo una qualsiasi discriminazione di razza, di religione, di cultura.

Una seconda cosa indica Baruc ed è la gloria nella pietà, nella misericordia. Dice il profeta: questa è la vera gloria, il vero vanto, non sta nell’umiliare l’altro, nel dominarlo, nel guardarlo dall’alto in basso, ma nell’amarlo con misericordia perché Dio è sempre misericordioso con noi.

Scrive Paolo ai cristiani di Roma: Fratelli noi che siamo forti abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli… Perché – continua – possiamo avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti sull’esempio di Cristo Gesù. Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi.

Ciascuno di noi ascolti nell’intimo del proprio cuore e della propria coscienza la domanda: E io che cosa devo fare? Sappiamo che potremo cercare di rispondervi solo se ci lasceremo portare nel silenzio del deserto o sulla cima del monte per ascoltare quella voce che dentro di noi già da tempo attendeva di essere accolta.

(Bar 4,36-5,9; Rm 15,1-13; Lc  3, 1-18)