EPIFANIA DEL SIGNORE - Mt 2, 1-12
Non possiamo considerare una semplice ingenuità la riduzione fiabesca che nei secoli abbiamo operato di questa pagina, come di altre del Vangelo, a dire il vero. Non è una semplice ingenuità perché la fiaba viene raccontata per far addormentare i bambini, e se ad addormentarsi invece sono gli adulti, la questione è preoccupante. Perché si alimenta un sentimentalismo irresponsabile, facilmente manipolabile, senza una sana inquietudine, anzi la fiaba, rassicura, avvolge in una morbida atmosfera impermeabile a quello che accade intorno.
È semplicemente strepitoso che la liturgia faccia risuonare l’annuncio della pasqua, che è qualcosa di più dell’annuncio di una data del calendario. Perché viene dato proprio all’Epifania e non in una domenica qualsiasi, ad esempio domenica prossima per il Battesimo del Signore?
L’annuncio irrompe proprio nella stanchezza sul finale delle feste per darci una scossa, una sveglia!
C’è gente che viene da lontano e che si è sobbarcata un viaggio impegnativo per cercare e per seguire una stella… e c’è gente che abita a pochi km da lì e che si culla nella propria ebetudine così che quando arrivano questi forestieri, come dice Matteo: Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme! Uno scombussolamento che ritroviamo appunto nei giorni di Pasqua dove ancora una volta ci sarà un Erode re e di fronte a lui il re dei Giudei, che farà la fine di chi osa pensare e mettere in pratica una regalità come servizio dell’altro e non come dominio violento.
Mi sembra dunque che non sia proprio il caso di ridurre l’Epifania a una fiaba: non è il tempo per dormire o per trastullarci. La tensione, il conflitto continua. Di che conflitto si tratta?
C’è un primo livello di conflitto che è tra l’intelligenza al servizio del potere e l’intelligenza libera. Alla corte di Erode ci sono gli scribi che conoscono le Scritture e citano il profeta Michea, ma non si schiodano da lì. Quella degli scribi è l’intelligenza al servizio del potere che entra in tensione con un’intelligenza libera, quella che mette in movimento, in cammino. È l’intelligenza di chi cerca, di chi domanda e si fa domande, di chi si mette in strada, di chi come i Magi non si accontenta di quello che ha letto finora, dei suoi libri, delle sue conquiste.
Non dobbiamo cadere nell’errore di idealizzare tutti i Magi d’oriente e con loro tutti i sapienti e ricercatori: per quel gruppo che è venuto fino a Betlemme, chissà quanti invece sono rimasti rinchiusi nei loro studi e nelle loro biblioteche, obnubilati da quello che Edgar Morin chiamò l’accecamento paradigmatico.
L’intelligenza al servizio del potere è una sindrome che colpisce coloro che restano prigionieri del proprio paradigma teorico, della costellazione di premesse che hanno costruito e dentro la quale sono rinchiusi. Il cieco paradigmatico non cerca l’altro, ma cerca sempre lo stesso, cerca la conferma di ciò che già conosce. Ed è ovvio che lo stesso ha il vantaggio di confermare il paradigma. Il tutto è estremamente rassicurante.
C’è poi un secondo livello di conflitto di potere che è quello che contrappone la regalità di Erode e quella di Gesù. Due modi di gestire il potere, perché il potere c’è e deve essere governato, la questione è come questo debba avvenire, se con il dominio o con il servizio.
Quando uno si mette al servizio non ha paura di perdere alcunché, perché si è già messo in gioco donandosi. Mentre Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Erode ha paura di un Bambino, di un Vangelo bambino, vi riconosce un potenziale pericolo per la sua stabilità perché è prigioniero di se stesso, è vittima di una trappola dalla quale non riesce a uscire perché la peggiore delle prigioni mentali è data dalla paura di perdere il potere, di perdere il dominio, di perdere lo scranno sul quale siede ossessionato dal suo vacillare.
E se uno ha paura si difende poi con l’inganno e la falsità, come riscontriamo nel colloquio segreto che Erode chiede ai Magi, quando pretende da loro di essere informato così anche lui possa adorarlo!
Il dominio si costruisce sulla paura e vive di paura e per questo costruisce un mondo di inganni, di falsità, di fake news.
Non possiamo perdere la forza di questo annuncio, alimentando semplicemente il folclore.
L’annuncio era proprio quello che doveva far tremare Gerusalemme. Gerusalemme invece oggi fa i presepi. Gerusalemme ha catturato Gesù che diventa un elemento della sua sicurezza. Gerusalemme oggi ha perimetri vasti, da Washington a Londra, da Berlino a Parigi….
Noi diciamo che il compito dei cristiani, della Chiesa, è annunciare Gesù Cristo. Ed è vero. Però ci dimentichiamo che annunciare Gesù Cristo significa annunciare quello che lui ha annunciato: che il potere è servizio, che la famiglia umana è una, che tutti siamo figli amati dal Padre.
Ora i fatti che stiamo vivendo, le degenerazioni disumane del nostro tempo sono come le nebbie che il profeta Isaia intravvedeva ai suoi giorni. La nebbia e le tenebre coprono i popoli e le nazioni, coprono anche noi, coprono la cristianità. Ci muoviamo in una grande oscurità e come avviene nel buio ci si muove male.
In questa situazione il nostro compito non è di metterci a disposizione dei capricci dei vari Erode che siedono paurosi sui loro scranni o di assecondare gli scribi moderni, intellettuali schiavi che pontificano dalle tribune televisive o sui social, ma di farci alleati con i viaggiatori universali, con coloro che proprio nel buio sanno vedere le stelle, sanno guardare in alto, sanno stare non solo ripiegati con lo sguardo sulla punta dei propri piedi, ma con il coraggio di seguire quella luce che per quanto esile, dà orientamento, dà senso al loro incedere.
Non è scontato che stiamo dalla parte dei cercatori, è più facile che con una pietà a buon mercato siamo inseriti nei riti di sicurezza di Gerusalemme che uccide, che lascia alla deriva, perché ha paura di una nave, anzi di due. Mentre riempiamo le calze della befana con cose del tutto inutili insegniamo l’odio ai nostri figli, rendiamo la durezza di cuore una ricetta dei presunti vincenti, facciamo della sicurezza che copre le paure di un occidente terrorizzato un totem che cammina sui corpi dei più deboli, proprio come Erode.
Cinque cose mi guidano il cuore, come cinque punte di stella. A voi trovarne altre per fare una stella ancor più luminosa.
Prima: a portare a Gerusalemme l’annuncio che è nato Gesù, che è nato un altro modo di stare al mondo, non sono stati i sacerdoti del tempio, né gli scribi, intellettuali organici accecati, ma degli estranei. La salvezza passa per luoghi inediti e quindi richiede una grande libertà interiore, una notevole capacità di ascolto e anche un poco di curiosità, di desiderio di comprendere, di imparare. Proviamo a vivere la cronaca dei nostri tempi al di fuori delle interpretazioni ormai consunte della nostra malizia.
La seconda punta di stella è quella che la Scrittura ci ricorda sempre: il potere è servizio. Se non è tale vive di paura, allora vuol dire che è diventato dominio. C’è un potere che è servizio e può essere la via per la costruzione di un’umanità giusta, ma c’è un dominio che guasta le relazioni e vive di paura perché si regge sul sopruso e sulla sofferenza di gran parte dell’umanità, sull’imbroglio e sulla corruzione, come Erode e con lui tutti gli accecati della sua corte. Viviamo ogni forma di potere che ciascuno di noi ha come un servizio.
Una terza punta di stella mi viene suggerita dai Magi nel momento in cui, dopo aver seguito la stella e aver ascoltato la loro sete di ricerca e di senso; dopo essersi incontrati con la regalità spaventata e potente di Erode e con quella di un Dio Bambino, decidono altrimenti, non obbediscono all’ordine iniquo e bugiardo del tiranno e fanno ritorno al loro paese per un’altra strada. Ci vuole coraggio anche per non obbedire a una legge e a un ordine iniquo!
Quanti uomini e quante donne, dall’oriente e dall’occidente, dal nord e dal sud, come questi magi cercano il bene, sono viandanti, in cammino e si impegnano perché l’umano sia sempre più umano. Come scriveva il poeta irlandese Yeats: “Di luogo in luogo erranti, / coi loro occhi fissi / perennemente in cerca”, non si fermano davanti a tirannelli da burla.
La quarta punta di stella è data dal fatto che da allora ogni bambino che nasce, ogni persona che viene al mondo deve apparire ai nostri occhi con la dignità di un re, un fratello o una sorella con cui condividere il nostro oro, vale a dire ciò che abbiamo; con cui condividere il nostro incenso che è il profumo della nostra spiritualità; e qualcuno per cui offrire la nostra mirra, che esprime ciò che sappiamo sacrificare di noi stessi, spendendo la vita per lui.
Ultima e quinta punta di stella: se incontrerai nei prossimi giorni una mamma con il suo bambino, fermati, guardali e, se puoi, fai loro un dono, almeno una saluto, certamente un sorriso. Davanti a questo spettacolo, una mamma con il suo bambino, una notte le stelle si sono fermate e i rappresentanti di tutti i popoli della terra si sono inchinati adoranti.
Non rischiare di passare alla storia come Erode. È in gioco la nostra anima.
(Is 60,1-6; Mt 2,1-12)