IV DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 6, 41-51


Siamo qui anche noi un poco nello stato d’animo di Elia, spero non così tristi da desiderare la morte, ma ciascuno di noi porta con sé un bisogno insoddisfatto di giustizia, di serenità, di amore… un bisogno che appunto tante volte ci sembra incolmabile (1Re 19,4-8). Se poi però allarghiamo il nostro orizzonte fino ad abbracciare i volti e gli sguardi dei tanti che come Elia fuggono dalla persecuzione, dalla guerra e dalla fame… allora ci rendiamo conto che potremmo avere meno motivi per lamentarci e per essere tristi, anzi vorremmo offrire una focaccia cotta e un orcio d’acqua, per sostenere il cammino di tanta gente messa peggio di noi!

La focaccia, il pane che Elia riceve in dono è la risposta concreta al suo bisogno, ma è anche metafora, segno che raccoglie in sé la soddisfazione simbolica dei desideri. Perché proprio il pane? Perché per lungo tempo – e da qualche parte nel mondo ancora oggi – il pane è stato il principale alimento dell’uomo. Quello che si mangiava insieme era appunto il “companatico”.

Frutto della terra e del lavoro dell’uomo, sintesi di natura e di cultura, il pane ha una storia che si perde nella notte dei tempi, segnata ora dalle stagioni feconde, ora dalle carestie. Per il pane si sono combattute guerre e si sono accese rivolte fino ad oggi. Per contro condividere il pane è segno di ospitalità e di amicizia, in alcune culture il pane non si può tagliare con il coltello, si può solo spezzare con le mani.

Ancora oggi il pane fa la differenza tra il mondo dei poveri e quello dei ricchi: i poveri ne domandano sempre di più, i ricchi vi devono rinunciare per la dieta.

Al punto che risuona molto vero ciò che diceva Gandhi: «In un mondo dove ci sono tanti affamati, Dio può apparire solo nel segno del pane»!

Il vangelo di Giovanni ci racconta che Gesù in diverse occasioni per parlare di sé e della propria missione ha fatto ricorso a sette immagini che incontrava nella vita quotidiana del suo tempo: «Io sono la luce» (8, 12); «Io sono la porta» (10, 7.9); «Io sono il buon pastore» (10, 11.14); «Io sono la risurrezione» (11, 25); «Io sono la via» (14, 6); «Io sono la vite vera» (15, 1.5) … ma, in ordine di tempo, la prima di tutte è quella che abbiamo ascoltato oggi: Io sono il pane vivo disceso dal cielo.

Tutto il cap. 6 di Giovanni è costruito intorno alla metafora del pane, pane che come arriva a concludere nella pagina di oggi, è la mia carne per la vita del mondo (v. 51). Dove Gesù identifica il pane con la sua carne. Un’espressione un po’ cruda e distante dalla nostra sensibilità, ma che possiamo comprendere se ricordiamo l’inizio del vangelo di Giovanni: Il Verbo si è fatto carne. Cioè il Logos è diventato uomo, si è fatto persona umana. Così possiamo allora rendere le parole di oggi: Il pane che io darò è la mia persona, il mio modo di essere per la vita del mondo.

Gesù non dà la vita per i devoti, per i bravi, per chi se lo merita, ma per il mondo! perché lui non è venuto per i sani, né per i giusti, ma per i malati e per i peccatori. Lui dà la vita per il mondo, possiamo mettere in questo termine tutto il peggio che conosciamo, ecco Gesù ha a cuore la vita del mondo! vale a dire indifferenza, paura, odio, superficialità…

Cosa dobbiamo fare noi? Immettere nella storia del mondo questa logica evangelica, questo modo di essere che non lascia che il mondo vada verso la distruzione. Prendiamo la lettura di Elia – facciamo un salto nella storia intorno (IX sec a.C.) – che sta attraversando il momento più difficile della sua vita. Forse ricorderete del macello, è proprio questo il termine più adatto, che fece sul monte Carmelo di 400 profeti di Baal e di 450 profeti di Astarte che mangiavano alla tavola di Gezabele. La regina ovviamente diede la caccia a Elia per eliminarlo.

Infatti il profeta scappa, fugge e cerca rifugio nel deserto e lo incontriamo seduto sotto una ginestra – il fiore del deserto «sempre compagna di destini infelici» (cfr Leopardi) – «Desideroso di morire disse: ora basta Signore! prendi la mia vita!».

Parole terribili per la Bibbia: Elia, come diciamo oggi con troppa facilità, è depresso, vorrebbe morire, non ha il coraggio di suicidarsi e chiede al Signore di prendergli la vita. Eppure anche nella tristezza mortale del deserto il Signore non fa mancare chi prepari al profeta una focaccia: Alzati mangia perché è troppo lungo per te il cammino. Chissà quali mani amorose hanno offerto il pane al profeta! Ma proprio quel pane aiuta Elia ad alzare lo sguardo sul cammino che ancora attende.

Anche nella seconda lettura, Paolo nel famoso testo della prima ai cristiani di Corinto (11,23-26), ricorda la consegna di Gesù della sua vita nei segni del pane e del vino, consegna che avvenne nella notte in cui veniva tradito. Il dono del pane anche qui è collocato durante un’esperienza drammatica: quella del tradimento che sembra mandare all’aria i progetti e i sogni costruiti intorno a Gesù.

Eppure l’eucaristia è il dono di Dio proprio nel cuore del tradimento. A ben pensare potremmo dire che la Chiesa non ha vissuto crisi peggiore di quella di quei giorni: il maestro viene tolto di mezzo, uno l’ha venduto, il capo lo rinnega, tutti i discepoli svaniscono nel nulla, sotto la croce è rimasta sua madre con il più giovane… Il tradimento sembra aver dato i suoi frutti! Le attese messianiche sembrano risolversi in un nulla di fatto. Eppure anche in quel momento drammatico, il dono di Dio, il pane spezzato ha scardinato la logica del mondo e da quella crisi pazzesca, la vita continua.

Infine anche nel capitolo 6 di Giovanni, il dono del pane di vita avviene in un contesto difficile e lo riconosciamo fin dalle prime battute del vangelo: i Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù (v.41). In questa mormorazione possiamo leggervi la critica, il pregiudizio, l’ingiustizia tutte esperienze dolorose e dalle conseguenze incalcolabili. Eppure anche nella mormorazione il Cristo continua a tenere fede al dono di sé, al dono della sua vita. Non si dona in base al consenso che riceve, alla comprensione o alla gratificazione di chi gli sta intorno.

Quando spezziamo il pane della parola del Vangelo, quando spezziamo il pane santificato nella celebrazione della domenica non compiamo un gesto fuori dalla storia del mondo, ma è un segno che si colloca precisamente dentro le contraddizioni del vivere umano. Contraddizioni che oggi abbiamo raccolto intorno alla tristezza di Elia, al tradimento ricordatoci da Paolo o alla mormorazione che ci è stata descritta da Giovanni e che sono il contesto oserei dire abituale della vita.

Abbiamo tutti studiato un po’ di storia, conosciamo la storia del mondo e abbiamo in mente che le cose sono andate avanti tra guerre, violenze, rivoluzioni, ribaltamenti politici e militari… dove l’eliminazione del nemico era garanzia di vita, di futuro.

La proposta di Cristo è altra: perché ci sia vita occorre che qualcuno faccia dono di sé, doni amore, affetto, tempo, energia… senza il dono di sé non c’è vita! Se vuoi vivere, dona. Se vuoi amore, ama. Se vuoi comprensione, ascolta. Se vuoi accettazione, accogli…

Questa è la proposta di Gesù che prima ancora di diventare sacramento e eucaristia è il suo modo di essere, è il suo modo di stare al mondo. L’eucaristia è il modo di vivere di Gesù. È chiaro che quando prende il pane azzimo, come dice Paolo (1Cor 11, 23-26) gli viene per così dire normale affermare che questo è il mio corpo che è per voi! Perché per tutta la vita ha fatto così.

Ricordo la testimonianza di Annalena Tonelli, medico e volontaria laica in Somalia, assassinata il 5 ottobre 2003, che così scriveva: «La vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’amore è inutile, che la mia religione non ha poi tanti comandamenti, ma ne ha uno solo, che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie, né pellegrinaggi, ma che quell’Eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi, racchiude un messaggio rivoluzionario: questo è il mio corpo fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, ma mangi la tua condanna».

Il dono non sono i gadget con cui ci trastulliamo … non sono le occasioni, gli sconti con i quali veniamo comunque indotti a pensare che ci possa essere, se non un guadagno, almeno una convenienza per noi.

Il dono è lo scienziato che esercita la sua intelligente ricerca, il sapiente che condivide la sua riflessione, l’operaio e l’imprenditore che donano il proprio lavoro. L’insegnante la propria passione pedagogica e il medico la sua cura per la persona; la mamma e il papà, i figli che donando affetto… è il dono che fa vivere il mondo.