VII DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 13, 24-43


Vedete come Gesù sapeva guardare la vita? L’abbiamo sentito in tre delle sette parabole che sono raccolte nel cap. 13 di Matteo.

Noi indugiamo al lamento, anche quando si parla di Dio: «Guarda quanti pochi credono, alla domenica siamo sempre meno, i miei figli hanno smesso di credere…» e potremmo continuare a elencare quello che è un atteggiamento facile e diffuso: lamentarsi, vedere quello che non va, puntare il dito sugli errori degli altri, criticare, brontolare… è ciò che facciamo tutti!

Gesù raccontando le parabole ha uno sguardo capace di andare oltre la crosta dei fatti e la superficie degli eventi per saper vedere la trama più profonda della vita. Indubbiamente, dal punto di vista umano, poteva avere anche lui un qualche motivo per lamentarsi, anzi ne aveva da vendere. Gesù però non indugia sul puntare il dito e pur riconoscendo che nel campo del mondo c’è tanta zizzania, sa vedere anche il buon grano!

Quanto vorrei avere questo sguardo sul mondo!

Vorremmo occhi per vedere quei granelli di senape che costellano il terreno della cronaca e che non si vedono se non quando, ormai cresciuti, ospitano ogni genere di umanità!

Vorrei saper vedere che nell’impasto del mondo, in questa materia che si muove e si agita, c’è il lievito di Dio, il lievito che è destinato a non emergere, a non esibirsi, non si fa vedere… ma feconda l’impasto e lo fa lievitare.

Noi piuttosto gradiremmo che una certa zizzania venisse seccata subito! Ma se Dio permette che continui a esserci, un motivo ci sarà. Questa pazienza di Dio non significa che il bene e il male siano la stessa cosa, ma dirà la sua, esprimerà il suo giudizio a suo tempo. nel frattempo non la estirpa… perché dovrebbe estirpare ogni cuore, anche il nostro.

Nei secoli la tentazione una delle più dannose è stata proprio quando la chiesa si è voluta sostituire a Dio, volendo estirpare subito il male che vedeva sempre e solo intorno a sé. Abbiamo fatto santi come Bellarmino che non esitò a mandare al rogo Giordano Bruno (17 febbraio 1600) e contribuì nella prima fase del processo alla condanna di Galileo Galilei.

Ma senza andare troppo lontano nel tempo, fino a ieri abbiamo appoggiato governi che hanno sacrificato vite umane al fine di difendere alcune posizioni ideologiche che ci vedevano interessati.

Eppure lo Spirito santo proprio l’11 ottobre del 1962, stanco di tanta ipocrisia, ha soffiato sulla chiesa e sul mondo ricordando ai profeti di sventura – come li chiamò papa Giovanni XXIII – di stare al loro posto e di non arrogarsi il diritto di condannare. Ci sarà un giudizio, ma compete a Lui. Fu l’inizio di un Concilio che non pronunciò alcuna condanna, e che cambiò da parte della Chiesa il modo di guardare il mondo, per saper riconoscere, nonostante la zizzania, come il Signore regna. Anche a noi occorrono occhi e cuore per vedere come Dio regna.

Cos’è questo regno di Dio? è chiaro che non si tratta di confini e di eserciti, l’espressione «regno di Dio» indica il modo in cui l’Eterno abita il finito. Quando sei nel dolore e nella tristezza… Dio è lì. Quando ti senti piccolo e inutile; quando amare ti pare tempo sprecato perché non sei capito; quando pensi che Dio sia lontano perché non te lo meriti… quando la tua intelligenza ti appare così orgogliosa da dubitare e interrogarti; quando è come se Dio non ci fosse… ecco, dice Gesù, Dio è come lievito, è come piccolo seme… è all’opera.

È all’opera perché anche quella situazione che da anni ti pareva secca e arida, ora lievita. È all’opera perché se porre un atto d’amore è piccola cosa di fronte all’enormità del male, poi questo seme cresce e vedrai gli uccelli del cielo venire a cercarti.

Perché il regnare di Dio non è mai trionfare e quindi umiliare. Regnare nel mondo significa che c’è uno che comanda e gli altri sono sottomessi, vuol dire che qualcuno domina e gli altri sono umiliati. Ma Dio non è arrogante come siamo noi, questo ci dice Cristo, Dio non si impone, perché altrimenti avrebbe già sradicato la zizzania da tempo! Dio regna alla maniera in cui agisce il lievito nella pasta: sembra non esserci, ma ne vedi gli effetti dopo le ore di lievitazione.

Dio regna senza escludere: cresce come un seme che diventa albero che accoglie e ospita anche solo chi è di passaggio, come gli uccelli del cielo perché non ha interessi nascosti, ti lascia libero e ti dona libertà di andare e venire!

Noi vediamo subito la zizzania! In una persona vediamo i difetti; in una iniziativa vediamo gli errori; in una cosa che fanno gli altri vediamo tutte le imprecisioni possibili!

Chiediamo all’Eterno di saper vedere come lui è all’opera, discretamente, silenziosamente…

Sapete quando cresce la zizzania? «Mentre tutti dormivano» (v.25) dice Gesù. Forse, anzi senza forse, non riusciremo a impedire che la zizzania cresca, ma almeno rimaniamo desti, teniamo sveglie le nostre coscienze, e se la preghiera e l’ascolto della parola di Dio non tengono sveglie le nostre coscienze siamo destinati al sonno della ragione e del cuore.

Essere desti e svegli significa per noi continuare a gettare piccoli semi di speranza nel cuore di chi è oppresso dalla paura, dall’angoscia e dal dolore.

Significa seminare germogli di bellezza laddove il vizio e il peccato abbruttiscono la dignità umana.

Mettiamo un poco di lievito nel cuore dei nostri figli, il lievito della passione per la giustizia, per l’onestà…

Mettiamo un poco del lievito dell’amore nei cuori e nelle menti di chi è lontano, di chi è in ricerca o di chi si sente arido.

Se posso concludere con un’immagine il mio breve servizio pastorale in questa comunità per formulare un augurio, vorrei riprendere la parabola di Gesù dell’albero che nasce dal piccolo seme di senape e che diventa capace di accogliere gli uccelli del cielo.

Continuiamo a gettare piccoli semi di intelligenza, di amore, di speranza perché cresceranno e saranno domani il vero antidoto alle chiusure, ai muri, ai recinti e a quelle chiusure che anche tanti cattolici contribuiscono a costruire.

La sera dell’11 ottobre al termine della giornata di apertura solenne del Concilio Vaticano II, papa Giovanni tenne il celebre discorso alla luna improvvisando l’invito a dare una carezza ai piccoli e una parola di conforto ai sofferenti. Preghiamo perché la chiesa tutta, e quindi anche questa comunità, sia sempre capace di carezze e di tenerezza, testimone di misericordia e di amore. Sapendo che è più difficile dare una carezza quando la zizzania sembra prevalere, ma, come scriveva Alda Merini: «E bastava un’inutile carezza a capovolgere il mondo».