III DOPO PENTECOSTE - Mt 1, 20b-24b
Sono perlomeno curiose queste letture, lo dico pensando all’impegno che esigono nel trovare il filo rosso che le tiene unite.
Il racconto di Genesi 3 del peccato di Adamo e di Eva; il sogno di Giuseppe, l’uomo giusto che obbedisce a Dio; poi l’interpretazione di Paolo che vede in Gesù il nuovo Adamo … questa sequenza ci può fare pensare ad una scansione temporale ben precisa: prima c’è il peccato originale, poi l’incarnazione di Gesù e la redenzione, la nostra salvezza, come dice Paolo.
Ma qui c’è ben più di una storia passata, qui ci sono eventi e realtà che attraversano le categorie di spazio e di tempo e ci riguardano. Non parliamo solo di una storia che conosciamo già, ma di ciò che di costante e duraturo permane oltre i mutamenti contingenti della storia, così che se la filosofia greca ci ha insegnato ad andare oltre la fisica, la natura, le cose con la metafisica che è la ricerca di senso della natura umana, delle sue implicazioni e relazioni, noi potremmo a ragione parlare di metastoria.
Oggi siamo invitati a guardare alla nostra vita non semplicemente come si legge una cronaca, una sequenza di accadimenti, di eventi, ma per coglierne le dinamiche profonde che la abitano e che sono interessanti anche per Dio.
In queste letture non si parla soltanto di Adamo e di Eva, di Paolo e di Gesù, come personaggi relegati nel passato, ma si parla anche delle nostre esperienze e delle nostre vicende che al di là dei mutamenti contingenti, possiamo ritrovare ad esempio nel racconto di Genesi 3.
Non facciamo l’esperienza ogni giorno della creazione e della vita come di un dono straordinario e insuperabile? eppure siamo anche soggiogati dalla caducità e dalla finitudine che portano in sé non solo il limite, ma anche l’assurdo del male.
All’uomo biblico non interessa capire – o forse comprende che non è possibile – l’origine del male, nel racconto della Genesi rimane inevasa la domanda: da dove viene il male? Il male c’è, è accovacciato come un serpente sulla soglia della nostra casa e del nostro cuore per inoculare il suo veleno nelle nostre vite, nei nostri rapporti. Piuttosto la domanda è: perché il peccato, perché il dolore, perché la morte?
Mentre noi pensiamo ad Eva che mangia la mela, perdiamo di vista il fatto che non è tanto quel frutto, che appunto mela non era, ma è il voler essere Dio a se stessi, questo è il vero peccato, il mancato bersaglio (hattat: mancare il bersaglio) della vita di Adam e di Eva (Hawwah forma un gioco di parole con il termine vita hayyah), di ciascuno di noi.
Il dolore, la sofferenza e la morte, dice la Genesi, sono le conseguenze delle nostre scelte sbagliate, sono il frutto di una libertà maldestra e arrogante.
Ebbene questa constatazione che potremmo arricchire di tante sfumature e particolari, viene intercettata anche da Dio, un Dio che sa tutto, conosce tutto, può tutto … eppure si rivolge all’uomo con una domanda: Dove sei?
La domanda pur essendo grave e inquietante, non ha un tono requisitorio: non è una curiosità inopportuna per l’Eterno né squalificante per l’Onnipotente, è una domanda piuttosto piena di sofferenza e desiderosa di risvegliare in chi l’ascolta la coscienza della propria situazione: dove sei?
È un interrogativo che sta all’inizio di tante altre domande, ma soprattutto dice che Dio cerca l’uomo e di questa appassionata ricerca parla tutta la Bibbia.
Se Adamo fosse stato al suo posto non gli sarebbe stata fatta la domanda, invece così è quasi costretto a rendersi conto di essere fuori posto perché il posto dell’uomo è Dio, abitare nella volontà di Dio, come scriveva s. Agostino: Ci hai fatto per te Signore e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te!
Il peccato, come dice la Genesi e Paolo, non è una trasgressione, ma noi stessi lo sperimentiamo come una potenza che disgrega l’uomo nelle sue relazioni con Dio, con l’altro e con il creato; è una potenza, come una forza cui l’umanità non riesce a sottrarsi.
Ed è la nostra condizione per cui siamo solidali con Adamo, c’è una solidarietà nel peccato, perché da Adamo in poi ogni uomo ha personalmente rifatto quelle scelte sbagliate; tuttavia, dice Paolo, c’è una solidarietà dove sovrabbonda la grazia, ed è la solidarietà in Cristo che è immensamente più grande e forte del legame con Adamo.
Infatti scrive un grande padre spirituale della Chiesa greca, Nicola Cabasilas, Dio, spinto dal suo folle amore per l’uomo, inizia a cercarlo tra gli alberi del giardino e finisce per trovarlo sul legno della croce.
Ed è lì infatti che conosciamo la solidarietà di Gesù con noi ed è a questo a cui punta Paolo: punta a far cogliere la sovrabbondanza della grazia in Cristo Gesù. Infatti nel cap. 8,37 dirà: noi stravinciamo per la grandezza della grazia che abbiamo ricevuto. Stravinciamo non perché siamo degli illusi o dei faciloni, ma perché viviamo in questa abbondanza di grazia in Cristo. Se pure abbiamo ancora una qualche attrazione verso il peccato, viviamo però nella nuova economia della grazia sovrabbondante.
L’Eterno domanda a ciascuno di noi oggi: dove sei? La cronaca ci fa dire: siamo qui, stiamo facendo questo, quest’altro … Ma la lettura più profonda, quella metastorica, ci fa rientrare in noi stessi per metterci senza paura e senza alibi davanti al Signore. Magari potessimo rispondere: siamo con Cristo, siamo con la tua Chiesa, siamo nell’umanità redenta, solidali con una famiglia umana alla quale l’Eterno ha offerto una possibilità di riscatto e di redenzione.
Siamo con Gesù, il cui nome significa come dice l’angelo a Giuseppe “Dio salva il popolo dai peccati”, perché in lui abbiamo la possibilità di comprendere e riconoscere ancora una volta che è Dio ad offrirci una via d’uscita e una possibilità inedita.
Per questo non abbiamo bisogno di nasconderci, piuttosto vogliamo dire al Signore la nostra gratitudine e la nostra riconoscenza per questo disegno d’amore che come a Giuseppe chiede anche a noi una risposta di responsabilità e di obbedienza, così come lui è stato responsabile e obbediente.
(Gen 3, 1-20; Rm 5, 18-21; Mt 1, 20-24)