I DI AVVENTO - Mc 13, 1-27
Abbiamo ascoltato una buona parte del cap. 13 (vv. 1-27) di Marco che raccoglie un lungo discorso di Gesù in risposta alla domanda di Pietro e Andrea, di Giacomo e Giovanni, ricordate i primi quattro chiamati, e che forse proprio per questo si sentono autorizzati a interrogare Gesù su una questione che da sempre è intrigante per ogni generazione: Quando viene la fine del mondo? Quali i segni che accade? Dove andiamo a finire?
Gesù risponde loro con un discorso, il più lungo di tutto il vangelo di Marco, con i verbi quasi tutti al futuro (verranno molti, si solleverà popolo contro popolo, vi consegneranno ai tribunali… ) che portano alla visione finale: vedranno venire il Figlio dell’uomo. Ecco la meta indicata da Gesù: ritornerò! Ed è questo il senso del tempo di avvento: non è l’occasione per pensare immediatamente alla prima venuta di Gesù a Betlemme, ma di ricordarci del suo ritorno alla fine del tempo e della storia.
Ma è proprio qui che nasce la domanda degli apostoli, che è anche la nostra domanda: ma quando sarà la fine? Quali sono i segni? Ed è curioso che tutte le cose che Gesù indica come indicatori della fine sono segni che appartengono alla vita quotidiana. Sembra di leggere la cronaca di un quotidiano dei nostri giorni o di sentire un telegiornale di oggi: mancano solo le inondazioni, ma c’è tutto: guerre, terremoti, carestie, divisioni, odio, persecuzioni!
Quindi alla domanda degli apostoli che chiedono «quando» sarà la fine del mondo, la risposta di Gesù è: non cercate di vedere segni strani, i segni sono quelli che vedete ogni giorno. Non cercate segni straordinari, non hanno senso, a quelli non credete.
Dovessero anche distruggere il tempio! Sì, dovessero anche abbattere il tempio! Ma come? c’erano voluti 80-90 anni per costruirlo (dal 19 a.C. al 64 d.C) e doveva essere davvero uno splendore, e tu dici che non sarà lasciata pietra su pietra? E il tempio sarà distrutto. La distruzione del tempio è il segno di un fallimento generale, politico, militare, sociale, culturale e religioso: è il collasso di un popolo. Una città che si era costruita intorno al tempio (cosa che era vera anche per noi nei secoli scorsi, perché era inconcepibile immaginare la pianta di una città dove sulla piazza centrale non si affacciassero la chiesa e gli edifici pubblici), ebbene annunciare che il centro spirituale, morale, politico, sociale sarà distrutto significa destrutturare la vita di un popolo, significa scalzare un ordine costituito, una religiosità tradizionale… e proprio questo sarà il capo di imputazione di Gesù al processo religioso, per questo verrà ucciso: ha detto che avrebbe distrutto il tempio! Cosa che significa distruggere il cuore della religiosità, dell’organizzazione religiosa.
Gesù viene ucciso per questo, ma così facendo, fa morire un’idea di Dio funzionale, facilmente manipolabile. Invece se tu guardi il Crocifisso cosa capisci? Che Dio è tutt’altro che potere, onnipotenza, gloria… con Gesù crocifisso viene crocifissa un’immagine di Dio che sulla croce si rivela amore, servizio, povertà, umiltà. Così viene distrutto il vecchio tempio e con lui quell’immagine di Dio ad esso funzionale, ma nasce anche un modo nuovo di stare con Dio, di pregare Dio, di amare Dio.
Questa è la fine del mondo, è la fine di un mondo che rivela però il fine del mondo: andare incontro a un Dio che vuole la comunione con noi, perché lui ci ama e ci serve. Paolo (1Cor 15, 22-28) lo dice bene nella seconda lettura: il fine della nostra vita è la comunione non la solitudine della morte. La nostra storia, la nostra vita e tutto il cosmo hanno una direzione che consiste nell’essere di Dio tutto in tutti. Perché Dio sia tutto in tutti. Quando anche l’ultimo nemico, la morte, sarà vinto per sempre.
Poi abbiamo una seconda immagine, quando Gesù raccoglie una serie di segni che ci fanno dire e fanno dire a ogni generazione di essere alle fine del mondo. Ci saranno guerre e rumori di guerre: le guerre sono gli uomini che litigano tra di loro; i popoli che si affrontano, ma anche negli affetti e nelle case ci sono guerre e sono tutti segni del male che sembra invincibile. Poi Vi saranno terremoti… i terremoti sono la terra che litiga con l’uomo e lo scuote via. Poi anche vi saranno carestie… la carestia è il cielo che litiga con la terra e non dà più la pioggia o al contrario quando ne dà troppa…
C’è ancora un immagine enigmatica ed è il misterioso riferimento all’«abominio della devastazione», laddove Marco dice: badate bene a cosa alludo (chi legge comprenda), riferendosi a una storia raccontata nel libro di Daniele (9,27) quando Antioco Epifane pose nel tempio la statua di Giove, ecco l’abominio: un idolo al posto di Dio! Quindi il male è quando uno al posto di Dio mette i suoi idoli, perché questo non è solo capitato qualche secolo prima di Gesù, quando hanno messo la statua di Giove nel tempio di Gerusalemme, ma capita sempre quando io metto come assoluto qualcosa che non è assoluto. E succede a tutti noi: mettiamo i soldi, la salute, il benessere, il successo, le mie cose diventano assoluti ai quali sacrifico la vita. Ognuno di noi ha il suo idolo che tiene come assoluto.
Forse oggi un idolo che ci devasta è proprio la sfiducia, il pensare che non ci sia futuro, che la realtà è così e che non valga la pena impegnarsi. Credo che questo sia uno dei grossi idoli del nostro tempo: quando la vita sembra senza un orizzonte. Prima avevamo l’idolo contrario, le grandi ideologie che ti promettevano di risolvere i problemi, ora che sono scomparse quelle rimane il vuoto, la fine del mondo appunto.
Tutti questi disastri (dis-astro nel senso letterale: quando le stelle si mettono contro) convergono nella grande tribolazione, quella che Gesù descrive ricorrendo alle parole di Isaia che abbiamo ascoltato sul finale della prima lettura (Is 24,16-23): Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce… quand’è accadono queste cose? Quand’è che il sole si oscura? Quand’è che il tempo sembra fermarsi? Quando il Signore è innalzato sulla croce. Sulla croce di Gesù si oscura il sole, sulla croce di Gesù il mondo posto nel male è finito. Ecco la grande tribolazione.
Ed è ciò che viene narrato subito dopo nei capp. 14 e 15, quando Marco racconta della passione, morte e risurrezione di Gesù. Ciò che si dice nel cap. 13 si realizza già tutto nei capitoli seguenti, perché nella passione, morte e risurrezione di Gesù già si realizza in anticipo la fine del mondo. Quando si parla della fine del mondo questa è già avvenuta in Gesù. E noi guardiamo a come lui ha vissuto, come ha affrontato e trasformato quella che agli occhi di tutti è la fine!
Se questa pagina di vangelo ci dice per un verso dove andiamo a finire, ed è bello sapere dove andiamo a finire perché vuol dire che senso ha il cammino che stiamo facendo. Noi implicitamente pensiamo di andare a finir male, per questo abbiamo paura e cerchiamo di non contare i nostri giorni, i nostri anni, perché dopo è la fine.
Gesù ci dice che tutta quanta la storia e il termine della nostra vicenda personale vanno verso l’incontro con lui, verso la comunione con Dio, allora è importante e necessario che in questo frattempo viviamo il male che è in noi e fuori di noi come occasione di un amore più grande, come luogo di perdono, di testimonianza di vita nuova, proprio come ha fatto lui. Per noi non è possibile abbattere il male, eliminare il male. Se fosse così semplice basterebbe uccidere i cattivi, poi restiamo noi che ci riteniamo buoni e tutto va a posto.
Quindi il problema non è come evitare il male, come scalzare il male dal mondo, ma è come starci dentro, come vivere il male di questo tempo in modo diverso. Ed è questa la fatica e la nostra responsabilità, la fatica e la responsabilità di vivere col male della storia, col male della natura, per trasformarlo dal di dentro come ha fatto Gesù, sapendo appunto che andiamo verso la comunione come dono di Dio, nostra speranza.