VII DI PASQUA o Domenica dopo l’Ascensione - Lc 24, 13-35


(Lc 24, 13-35)

Ascoltando la pagina di Vangelo mi sono detto: ma noi dormiamo seduti su un tesoro! Dico questo perché se è vero che il racconto di Emmaus ci fa pensare subito alla cena quando Gesù spezza il pane, in realtà prima di quel gesto c’è tutto un lungo cammino fin da quando Gesù incontra i due discepoli che stanno commentando tra di loro quel fine settimana a Gerusalemme un po’ particolare.

Sono tristi, il loro volto è triste, le loro speranze sono state deluse e per il fatto stesso che siano sulla strada che li porta fuori dalla città verso Emmaus, veniamo a sapere che hanno deciso di tornare sui propri passi, sono profondamente disillusi delle attese riposte in Gesù e presi dalla sfiducia di chi pensa di aver perso tempo.

Eppure Luca ci dice che proprio tale tristezza è il luogo dell’incontro col Signore risorto. Immaginiamo la comunità primitiva che appunto presa dalla tristezza per l’ascensione di Cristo si domanda: Ma cosa fa adesso Gesù risorto e asceso al cielo?

La risposta di Luca: Gesù risorto continua a camminare con noi e ci ascolta. Ed è bella questa cosa: Gesù non è uno che ha subito qualcosa da dire. La discrezione del Signore è sempre la stessa, egli per prima cosa fa parlare i discepoli, li mette in condizione di dare voce alla loro tristezza e di esprimere la loro delusione. Non ha fretta di dare risposte. Cammina con noi anche se i nostri occhi sono impediti a riconoscerlo, perché non vediamo quello che ci aspetteremmo di vedere.

C’è voluta tutta la capacità di Gesù – che sarà poi il lavoro della comunità – nel fare una «lectio divina» delle Scritture che a partire da Mosè e dai profeti permettesse loro di comprendere quello che non volevano vedere, di come la storia di Dio si intrecci con la storia umana.

Non si tratta di una lezione accademica, ma è una lectio capace di scaldare il cuore, come riconosceranno loro stessi al v.32. La Scrittura diventa guida nel cammino, discernimento per non scappare da Gerusalemme, per non allontanarsi da ciò che non comprendiamo, ma per interiorizzarlo attraverso un paziente e dolce lavoro di rilettura della vita attraverso la Scrittura.

Domenica scorsa ci lasciavamo con l’impegno a ritrovare una pagina della parola di Dio che potesse aiutarci a comprendere il nostro tempo… e oggi abbiamo l’esempio di Gesù che per primo compie un lavoro che non finisce mai. In questo senso la mia impressione è che noi cristiani oggi dormiamo seduti su un tesoro.

Corriamo subito alla locanda, ma se i due diventano capaci di riconoscere Gesù è proprio perché sono stati guidati all’ascolto della Parola ed è per questo che sono capaci di riconoscere i verbi della Cena, della passione, della consegna di un amore che arriva fino in fondo.

E questo era proprio ciò da cui loro si erano allontanati, fuggivano precisamente da questo amore crocifisso che non avevano compreso e tantomeno accettato. Il riconoscimento allo spezzare del pane dice che quel Gesù da cui scappavano era lì, lo riconoscono da quel gesto che è diventato l’emblema di una vita e dice anche che hanno finalmente accettato che questa sia la strada di Dio, la pasqua di Dio e non come la volevano loro! Infatti non si dice che il Signore se ne sia andato, ma che «sparì dalla loro vista» perché ormai lo hanno riconosciuto, lo hanno accolto, lo amano così.

A questo punto, ecco l’ultimo atto del racconto, riprendono la strada giusta: da Emmaus a Gerusalemme, tornano alla comunità con gli Undici, ma soprattutto tornano da dove volevano scappare, dal luogo della croce e della risurrezione.

In questa pagina troviamo quello che ci serve per vivere con fede. Gesù cammina con noi e ci insegna a leggere la Scrittura e ci scalda il cuore, perché il suo amore è riconoscibile nel gesto dello spezzare il pane e ci dà la forza di rimetterci in cammino nella giusta direzione della fede, della speranza e dell’amore.

È il servizio che la Chiesa è chiamata a fare all’umanità: dare testimonianza del Risorto attraverso la spiegazione delle Scritture, al fine di accompagnare e di decifrare la tristezza e la delusione di ogni uomo e di ogni donna. È il servizio che non possiamo dimenticare senza privare il cammino della nostra umanità di un dono importante e necessario.

E non è un caso la sequenza dei momenti del cammino dei discepoli di Emmaus. Gesù non comincia con l’invitare tutti a Messa, ma comincia col camminare insieme a ognuno, ascoltando la storia personale e le speranze frustrate.

Quando uno di casa, un figlio ci dice che «non va più in chiesa» o «non fa più la comunione», ci preoccupiamo e ci interroghiamo sulla nostra capacità di trasmettere la fede e pensiamo che allora non creda più!

In realtà la partecipazione alla frazione del pane non è decisiva – in senso positivo e negativo – di quanto avviene nelle coscienze delle persone. Noi non sappiamo come il Signore cammini con esse e tantomeno conosciamo i suoi tempi. La pratica religiosa non è l’indice più sicuro della fede. Anche nel nostro Paese ci sono moltissimi cittadini che si dicono cattolici, senza essere nemmeno cristiani e questo lo mostrano pubblicamente.

Il segno dello spezzare il pane perde lentamente il significato originario se non è vivificato dall’ascolto della Parola. Non dobbiamo invertire l’ordine delle cose secondo il modo in cui le ha fatte Gesù, perché è più facile imbandire la mensa eucaristica che accompagnare ciascuno lungo il cammino della sua vita.

Così passa l’idea ad esempio che si è «fuori dalla Chiesa» se non si arriva alla comunione eucaristica, e questa è una leggerezza grave perché si vuole arrivare immediatamente all’ultimo atto del cammino di Emmaus, bypassando l’accompagnamento e l’ascolto. Invece dobbiamo saper accompagnare con  la cura, la preghiera che non siano strumentali, come se noi avessimo l’obiettivo di portare le persone per forza a messa. Il Signore è più libero di noi, non voleva nemmeno fermarsi a cena quella sera, sono stati i discepoli a invitarlo con quella struggente preghiera: «Resta con noi perché si fa sera!».

La pagina di Emmaus ci chiede di diventare intelligentemente cristiani.

C’è un cammino di dialogo, di vera cordialità da fare insieme, c’è un cammino di amicizia e di reciproca fiducia, nella libertà che non ha la pretesa o la strumentalizzazione di portare la gente in chiesa, ma di voler arrivare  davvero alla persona che si ha davanti, consapevoli che il Signore risorto si sta accompagnando a lei per scaldare il suo cuore affinché possa ritrovare la strada giusta.

Il Concilio afferma che: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella santa liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio sia del Corpo di Cristo» (DV, 21).

Proprio per questo ho l’impressione che ancora dormiamo seduti su un tesoro.