IV DI PASQUA - Gv 15, 9-17


audio 8 mag 2022

La mia prima reazione alle parole di Gesù è gratitudine: grazie! Grazie Signore perché ci ami. Grazie perché siamo nutriti dal tuo amore. Grazie perché non vivremmo senza questo tuo volerci bene fino in fondo, saremmo oltremodo disperati, confusi.

Lo siamo comunque, ma la tua parola Gesù è di grande conforto e di consolazione: non ci meritiamo proprio nulla, siamo poca cosa, spesso inaffidabili, infedeli, incostanti… eppure non fai mancare il tuo amore.

Senza il tuo amore non saremmo qui oggi, non sarei capace di guardare avanti: sapersi amati è una grazia, un dono. Forse non riflettiamo abbastanza cosa significhi l’amore che doniamo a una persona, di cosa sia capace l’amore quando non stiamo a calcolare, a misurare, ad aspettare la corrispondenza o la reciprocità.

Giovanni conosce cosa abita il cuore del Maestro, lui ci stava appoggiato quella sera e l’ha sentito di quanto amore palpitava!

Per questo riesce a capire cosa Gesù ci chiede nel farci dono del suo amore: non ci chiede innanzitutto di amare lui, di ricambiare il suo amore, amandolo a nostra volta. No, la risposta al suo amore è l’amare gli altri come lui ci ha amati e li ha amati. La restituzione dell’amore, il contro-dono, che è la legge dell’amore umano, è amore rivolto verso gli altri.

Ci rendiamo conto che si ribaltano secoli di storia in cui si credeva di fare bene le cose quando si diceva di farle per amor di Dio. Diceva bene Simone Weil: «In senso generale “per Dio” è un’espressione scorretta, Dio non dev’essere messo al dativo. Non andare verso il prossimo per Dio, ma essere spinti da Dio verso il prossimo come la freccia è spinta dall’arciere verso il bersaglio».

L’amore di Gesù è un dono, ma anche una responsabilità.

Una responsabilità ancora più grande in un tempo come il nostro nel quale, ed è la cosa che mi dà grande amarezza, l’amore è ormai uno straniero.

Amare è considerato roba da deboli. Amare è da buonisti. Ormai il totem della forza e del potere viene prima di tutto, va adorato a costo anche delle vite umane.

E allora abbiano questi signori il coraggio di dire che anche Gesù è un debole. Riconoscano che alla sicurezza che Pietro voleva garantirgli con la spada, Gesù ha risposto con la non violenza! Non ne hanno il coraggio, sono vigliacchi e opportunisti. Lo dico con dolore, perché mi sembra che ormai questo modo di pensare sia talmente diffuso che anche i discepoli di Gesù, i cristiani che hanno ricevuto questo comando dal Signore si siano omologati.

Davvero siamo ancora così ingenui da pensare che con l’odio si costruisca un futuro?

Siamo diventati così sciocchi da non aprire il cuore, ma che dico, di non aprire gli occhi sulla storia, sull’esperienza e sulla vita di chi ci ha preceduto per imparare che amare è un affare serio, non è questione di superficiale idealità, di sentimentalismo o utopia, ma che amare è necessario?

Pensiamo che sia TikTok ad insegnarci ad amare, indugiando morbosamente sulle trame degli affetti, sulle storie volatili dei VIP… per poi in pubblico ridurci a scolaretti muti dei maestri dell’odio e del rancore.

Eppure, anche le carte costituzionali dei Paesi moderni sono state in gran parte nutrite dall’insegnamento della storia e hanno declinato l’amore in termini di responsabilità. Non possiamo dimenticare il grande lavoro culturale, civile, politico nel senso più alto del termine, che i Padri Costituenti hanno compiuto per accompagnare la traversata del nostro Paese dal periodo buio della dittatura a quello della democrazia.

Andiamo a rileggere l’articolo 2 della nostra Costituzione: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…  e della donna… e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Cos’è la solidarietà politica, economica e sociale se non l’amore che diventa responsabilità per la vita di tutti, del sentirsi responsabili per il futuro di sé stessi e degli altri?

Quando si parla di solidarietà si intende dare solidità alla società fluida e ondivaga e perciò sempre esposta al rischio di involvere e di regredire.  Cosa rende “solido” un paese, una città, una repubblica, un’umanità se non il fatto che ciascuno si senta responsabile in solido del destino di tutti? Così che se qualcuno fa più fatica, se rimane indietro, la comunità se ne fa carico, sia esso anziano, malato, disabile, straniero…. In fondo le tasse le paghiamo per questo, anch’esse sono una forma di solidarietà e di giustizia, e quindi di amore e non di carità, intesa come elemosina.

Quando Gesù dice che attende da noi che portiamo frutto, che il frutto del nostro amarci rimanga… (v.16) cosa significa che ci accontentiamo di una cerchia di amici che si vogliono bene? troppo facile, Gesù si attende che come discepoli amati portiamo frutti di giustizia, di solidarietà, di condivisione.

Allora di fronte alla crescita della corsa agli armamenti, mentre assistiamo a investimenti folli per produrre armi sempre più diabolicamente precise e letali… cosa abbiamo da dire? Cosa possiamo fare? Restiamo alla finestra come anime belle che osservano il teatro del mondo o trasformiamo l’amore da sentimentalismo a scelte e decisioni di pace, di mediazione nei conflitti?

Perché l’amore di Cristo non sia vano per noi e in noi, perché il suo dono porti frutto, è l’ora del coraggio e delle iniziative, delle proposte e del cambiamento.

Ad esempio, «è possibile essere contro la guerra attraverso le proprie scelte finanziarie, non tanto per il piccolo o il poco che possiamo fare spostando singolarmente i nostri soldi, ma perché spostandoli in tanti si fa la differenza…. È importante quando si decide di investire, domandarsi: sto contribuendo a una situazione di ingiustizia oppure no? Farsi questa domanda è già qualcosa di efficace per costruire la pace.

La scelta del piccolo consumatore è magari minimale rispetto ai grandi volumi mondiali ma è fondamentale per innescare il cambiamento culturale. Tutti i grandi cambiamenti sono partiti da pochi attivisti che sono diventati poi sempre di più fino ad essere maggioranza»[1].

Perché non pensiamo inoltre a una forma di obiezione fiscale per cui chiediamo che la parte delle nostre tasse destinata agli armamenti sia destinata invece ad un fondo per risolvere la fame nel mondo e la salvaguardia delle creature e del creato? So che non è previsto dalla nostra legislazione, ma ai suoi tempi neanche l’obiezione al servizio militare… Solo un movimento sempre più diffuso spinse allora al cambiamento, e se non ora per l’obiezione fiscale, quando?

Anche come chiesa italiana dovremmo pensare al superamento di quella forma di presenza nell’esercito con la figura dei cappellani militari inquadrati nelle forze armate, con l’ipotesi di un nuovo ministero ad esempio una diaconia per la pace?

Le parole del vangelo ci restituiscono a un senso di responsabilità per una nuova resistenza civile a livello politico e culturale al fine di ridare cittadinanza all’amore.

Di lavoro ce n’è quanto mai: occorre che ognuno di noi senta la responsabilità del momento, di sicuro l’ora è questa per dare spessore civile e politico al comandamento dell’amore, a un comandamento per il quale Gesù ha donato la sua vita.

(Gv 15, 9-17)

 

[1] https://www.lenius.it/dire-no-alla-guerra-anche-con-i-tuoi-soldi-intervista-a-ugo-biggeri/