DOMENICA NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE - Gv 1, 1-14
(Gv 1, 1-14)
Quando Giovanni scrive le parole che abbiamo appena ascoltato ha tutta l’intenzione di introdurci nella vita di Gesù in maniera diversa dagli altri vangeli sinottici. Il Quarto Vangelo si rivolge a persone che già conoscono il Signore e la sua vita, per questo anzitutto ci chiede di contemplare il mistero di Gesù in modo da vedere anche ciò che avviene in noi nell’impatto con la Parola.
Infatti dice subito fin dall’inizio che la protagonista del vangelo è la Parola. Questo brano è un inno alla Parola, è una poesia. E la poesia risponde alla necessità non solo di dire delle cose, come fa la prosa, di raccontarle, ma anche di accompagnarle con un ritmo, con un andamento quasi musicale capace di suscitare nell’ascoltatore una reazione, un sentimento, un pensiero, un’emozione. Sarebbe un bell’esercizio, quello di metterci in ascolto di questo brano con una base musicale mentre lo rileggiamo una e più volte… La poesia, come dice il termine stesso (gr. poieo), è fare, è creare, significa entrare nelle corde più profonde della vita e della realtà.
E questa poesia è come un’ouverture, un preludio nel senso che come in un’opera, in una sinfonia, l’ouverture anticipa i temi principali che verranno poi ripresi più diffusamente, così nel testo del prologo incontriamo tutti i temi che l’evangelista narrerà lungo il racconto della vita di Gesù e questi temi sono: la luce, la vita, l’accogliere e il rifiutare, la testimonianza, la grazia, la gloria, il diventare figli di Dio. Tutti termini che nel vangelo verranno poi svolti in tutta la loro ricchezza, ma che vengono qui accennati nei motivi fondamentali.
Di sicuro non ritroviamo tutte le parole che ci sono care in Giovanni. Ad esempio la croce, l’amore, l’alleanza, il peccato… il prologo non è un indice o una sintesi, è un inno, una poesia. Siamo di fronte a un testo così forte tanto bello da leggere, da contemplare, da ascoltare… che poi quando uno si mette a spiegarlo, non solo è difficile, ma in qualche modo lo guasta, lo rovina. Perciò dico solo qualcosa che spero possa aiutarci a lasciare che il testo ci parli e ci aiuti a diventare la Parola che ascoltiamo.
Cosa c’è al principio? Si chiede Giovanni. Noi con la nostra mentalità scientifica diremmo: il big bang, il bosone di Higgs, il fato, il caso, il destino… no, dice Giovanni in principio c’è la Parola.
Cos’è la Parola? Parola viene da parabola, che significa «buttare fuori, esporre, proporre» in modo che l’altro possa capire, possa dialogare. Quando vediamo qualcuno che ha una grande emozione che si tiene dentro e la trattiene, gli diciamo: dai butta fuori, parla! Perché la persona è parola, parola ascoltata e corrisposta, questo distingue l’uomo dall’animale, questo è il principio della cultura, della vita sociale, della scienza, di tutto.
Si racconta che l’imperatore Federico II di Svevia (+1250) la cui corte siciliana fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica, era una figura poliedrica, esperto di tante cose, parlava sei lingue… voleva sapere quale fosse la lingua originaria dell’uomo, la prima lingua che si fosse parlata. Allora prese sette bambini appena nati li affidò a sette nutrici diverse dando loro l’ordine di dare da mangiare, accudire bene questi piccoli, ma di non parlare mai con loro. Quando sarebbero diventati grandi, la lingua con la quale si sarebbero espressi, quella sarebbe stata la lingua originaria dell’uomo. Sapete già come finì la storia di questi bambini: sono morti nel giro di poco tempo, senza parlare mai alcuna lingua. Perché? Perché l’uomo vive della parola; non di solo latte vive il bambino, parafrasando le parole di Gesù, ma di ogni parola che esce dalla bocca della mamma e del papà. Cioè la parola è ciò che dà l’esistenza all’uomo.
Tant’è che quando noi vogliamo chiudere con una persona, le togliamo la parola, non la salutiamo nemmeno più… e allora nascono le tragedie. Al contrario una volta quando si vedevano due che si volevano bene, si usava dire: «Quei due si parlano!».
Il vangelo dice: Dio stesso è Parola, Parola che si comunica, che cerca una relazione, una comunione. Giovanni dice che il Padre è uno che parla e il Figlio è uno che ascolta e c’è l’amore tra i due. Eppure l’uomo, può anche rifiutare la Parola che è Dio, può respingerla. Perché questo è il dramma della Parola e delle nostre parole: possono essere capite e ascoltate o invece rifiutate e male interpretate. Non solo ma le parole umane posso essere vere, ma anche menzognere e false, possono essere luminose e chiare, ma anche doppie e oscure… vediamo nella nostra società l’uso che si fa delle parole. La società dipende dall’uso che fa della parola: se la usa per dominare o per comunicare, per liberare o per rendere schiavi, per illuminare o per imbrogliare… il Vangelo ci narra questo dramma della Parola che Dio rivolge all’uomo e che noi possiamo appunto accogliere o rifiutare, possiamo ascoltarla e poi lasciarla cadere o possiamo viverla, incarnarla, possiamo diventare la Parola che ascoltiamo.
Infatti, è la seconda cosa che volevo dire, al vertice della sua poesia Giovanni conclude: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Come fa a diventare carne una parola? Abbiamo visto che l’uomo e la donna vivono della parola, Gesù è il primo che vive della Parola del Padre e viene a dirci che Dio cerca di parlarci e lo fa diventando Figlio lui stesso, assumendo la carne di ogni persona. Per Giovanni il termine carne non ha proprio lo stesso significato che ha per noi oggi, nel linguaggio giovanneo la carne designa la nostra fragilità e materialità: siamo cellule, diremmo noi, siamo neuroni, siamo muscoli… La carne è il principio della mia vita, se no non nascevo, ma è anche principio del mio morire, è il luogo dove vivo la mia condizione umana.
Gesù è Figlio di Dio non perché ha dei privilegi, non perché si è messo sul piedistallo… ma perché condivide la carne, la fatica del vivere, le gioie e i dolori della storia umana e in questa storia è venuto a dirci che anche noi riceviamo il potere di diventare figli di Dio. Figli di Dio si diventa, è una condizione dinamica: più ascolto la Parola, più la Parola diventa carne, più divento la Parola che ascolto, più vivo nella condizione di figlio di Dio e quindi di fratello e sorella in umanità con tutti gli altri.
Ma su questo ritorneremo, per oggi contempliamo il mistero della Parola che si fa carne, affinché anche noi possiamo diventare la Parola che ascoltiamo.