VII DI PASQUA o Domenica dopo l’Ascensione - Gv 17, 11-19
audio 16 maggio 2021
Ascoltando le parole di Gesù, la sua preghiera al Padre così come l’abbiamo letta dal vangelo di Giovanni, più che spiegarle verrebbe da imitarle, verrebbe da dire: Padre anche noi oggi ti preghiamo, come ti ha pregato Gesù, anche noi ti preghiamo per i tuoi figli e le tue figlie, non solo per i credenti, ma per tutta questa umanità che si divide, si fa la guerra e, come Gesù appunto, vorremmo chiederti il dono dell’unità e della pace e non rassegnarci alla violenza e all’odio.
Immaginiamo anche solo per un istante la scena imponente e al tempo stesso disadorna di un Gesù che prega tutto solo nel giardino degli ulivi, i suoi dormono, mentre intorno a lui i detentori del potere religioso e militare si riuniscono e organizzano come arrestarlo e metterlo a morte.
La situazione si ripete oggi anche per noi: sapremo reggere lo sconcerto di fronte a un contrasto che vede da una parte Gesù che prega per l’unità e la verità, e dall’altra i potenti che distribuiscono bombe, spezzano vite, distruggono famiglie… governano movimenti di armi e di denari per dominare la scena del mondo e ancora, gente che continua a morire in mare, nella più grande e totale indifferenza.
Dio non voglia che mentre il Signore continua la sua preghiera noi ci troviamo ad essere discepoli dormienti come quelli della prima ora! È facile infatti la tentazione di rifugiarci in una religione della consolazione e della narcosi della responsabilità. È anche umanamente comprensibile la reazione di chi si rifugia nel sonno di fronte allo sconcerto della violenza perché abbiamo, per usare una metafora, le armi spuntate, non sappiamo da che parte cominciare.
Eppure se Maria come vergine ha potuto partorire un figlio, se Gesù è risuscitato dai morti, allora, sia pure che in questo momento non siamo in grado di immaginare in che modo potrebbe essere conseguita, tuttavia anche l’unità della famiglia umana è possibile, è credibile.
Magari non nel modo che abbiamo in mente noi e non secondo le aspettative di pace e di unità che ciascuno di noi si è fatto.
Mi pare questo il senso profondo della preghiera di Gesù e della nostra preghiera: una fiducia radicale nel Padre che non ci lascia con il naso all’insù, perché se siamo tutti figli suoi, siamo fratelli e sorelle tra di noi, chiede che ci assumiamo le nostre responsabilità.
Due cose chiede Gesù al Padre: l’unità e la verità. Due assiomi che difficilmente vanno d’accordo, il loro rapporto è difficile, sia perché come dicevamo domenica scorsa l’unità è da disambiguare dal conformismo e dall’omogeneità, sia perché la verità è facilmente manipolabile, strumentalizzabile e viene spesso tirata di qua e di là.
Gesù sgombra subito il campo da ogni fraintendimento infatti sul finire della pagina di oggi, prega così: Santificali nella verità. La tua parola è verità. Dunque la verità è il Vangelo e quando la parola del Vangelo diventa la verità della vita, delle nostre relazioni, del modo di stare al mondo, quando la misericordia e la giustizia, quando l’amore e la compassione, quando il perdono e la riconciliazione che sono state la verità della vita di Gesù, diventano anche la verità delle nostre vite, allora possiamo credere nell’unità.
A prescindere dal fatto che si possa o meno credere in Gesù come figlio di Dio, il suo messaggio però è ascoltabile da tutti, è valido per tutti se lo comprendiamo a questo livello di verità della vita.
Prendiamo ad esempio il conflitto in corso in Medio Oriente: non è facile fare verità in una situazione storicamente complessa, ma è davvero un “conflitto” in cui entrambe le parti sono sullo stesso piano e ugualmente responsabili oppure è la “lotta” di un popolo per riprendere il possesso di territori che la comunità internazionale considera occupati?
L’udienza della corte suprema israeliana era per lo “sfratto” di centinaia di famiglie palestinesi o per la loro “espulsione forzata” che molti palestinesi considerano una forma di pulizia etnica, e che alcuni gruppi per i diritti civili vedono come una forma di apartheid e le Nazioni Unite definiscono un potenziale crimine di guerra?
Sono “scontri” quelli in cui da una parte c’è un esercito e dall’altra dei civili? E quando i palestinesi tirano le pietre sono “terroristi”, “estremisti” o “attivisti che protestano”? Le terre sono “contese” o “occupate”? I protagonisti sono israeliani e palestinesi o sono ebrei e musulmani? Tra Israele e Gaza c’è un confine o una “barriera di separazione”? Ma se effettivamente non è un confine riconosciuto a livello internazionale tra due stati sovrani, perché quando lo si attraversa viene messo un timbro sul passaporto?
Se non c’è verità non possiamo immaginare nemmeno le basi per una convivenza. La verità dei diritti di ogni popolo, la verità del riconoscimento dell’altro, senza questa verità, come potremo parlare di unità?
Così anche in casa nostra dobbiamo fare verità. Di fronte al dramma della “morte per migrazione”, noi e i nostri governi dormiamo il sonno della ragione come i discepoli della prima, continuiamo nel nostro torpore nonostante negli ultimi giorni a Lampedusa siano ricominciati gli sbarchi. Vite umane che finiscono per diventare numeri. Chi mai si ricorderà il nome delle migliaia di persone affidate alle onde del Mediterraneo?
Non ci indigniamo nemmeno più di fronte alla sospensione sistematica dei diritti, alla spersonalizzazione di chi vive certe tragedie, al disprezzo per i bisogni altrui, all’imbarbarimento di società e governi.
Sì, governi, perché se da anni si continua a fare la conta dei morti come se si trattasse di una cosa ormai normale, vuol dire che dall’emergenza si è passati a un fenomeno sistematico, strutturale.
Ecco, la “morte per emigrazione” è una delle malattie contemporanee. Se non facciamo verità, non basterà essere indignati – seppure tale sentimento sia utile a prendere le distanze dai responsabili, liberarsi di un peso, che in realtà ci vede in qualche modo tutti coinvolti. O almeno parte in causa. Nei nostri privilegi, nella nostra inazione, nella nostra inerzia.
Quello che decide la vita di milioni di persone si chiama potere. Esercitato con le leggi, le costrizioni, il denaro, il ruolo istituzionale, con accordi che passano sopra le teste dei cittadini. E che si concentra in un oggetto, simbolo del nostro posto nel mondo: il passaporto.
Non so se avete mai provato ad accompagnare qualche migrante per ottenere un qualche permesso, è un’esperienza che mette a nudo il livello di civiltà che va di pari passo con la disumanità con cui trattiamo le persone. La verità del Vangelo smaschera e mette a nudo l’ipocrisia occidentale.
Lasciamo che le parole di Gesù suonino la sveglia alle nostre coscienze e ai nostri cuori. Sono per noi le parole del Signore: Siano anch’essi santificati nella verità.
Santificati – e non consacrati – nella verità. Il verbo è al passivo: siano santificati, così come lo diciamo nella preghiera del Padre nostro, quando chiediamo a Dio che il suo Nome sia santificato. Non perché abbia appunto bisogno di essere reso santo, quindi di essere consacrato, perché il Nome di Dio è già santo, ma si prega il Padre perché nella storia porti a compimento e a completamento quanto il suo Nome ha promesso.
Ora se Gesù chiede al Padre che ci santifichi nella verità, e la verità è la sua Parola, il suo Vangelo, significa che Gesù ritiene possibile che noi veniamo resi capaci di portare a compimento il Vangelo nelle nostre vite, così come lui ha santificato sé stesso e ha portato a pienezza il Vangelo nella sua vita.
Mi sembra un grande atto di fiducia, non già perché noi siamo capaci da soli di vivere il Vangelo fino in fondo, ma perché con l’aiuto dello Spirito santo il Padre ci mette in condizione di stare nel mondo, senza essere del mondo, per vivere il Vangelo.
Il monaco cistercense Thomas Merton fece il suo ultimo intervento pubblico a Bangkok, prima di morire fulminato nella doccia. Dopo la conferenza parlò con una suora che gli chiese perché non avesse provato a convertire i suoi uditori alla fede cristiana. Le ultime parole di Merton di cui siamo a conoscenza furono: «Penso che oggi sia più importante per noi far vivere Dio in noi; in tal modo altri giungeranno a credere in lui perché sentono come Dio vive in noi».
Siamo chiamati a santificare le nostre vite vivendo il Vangelo, facendo verità in noi e intorno a noi, senza ipocrisie e svegliando dalla sonnolenza la nostra coscienza. Da soli non possiamo andare lontano: invochiamo dal Padre il dono dello Spirito perché ci santifichi nella verità di Gesù.
(Gv 17,11-19)