III DI AVVENTO - Lc 7, 18-28

Possiamo vedere in questa pagina di Luca un doppio ritratto: il primo è quello che Cristo fa di se stesso modellandolo autobiograficamente sulle parole di Isaia, un vero e proprio autoritratto e il secondo è quello in cui Gesù dipinge invece Giovanni il Precursore.
L’autoritratto che Gesù fa di stesso risponde alla domanda che i discepoli del Battista gli pongono con una certa urgenza e insistenza, lo interpellano perché Giovanni è rinchiuso in carcere a causa della questione di Erodiade ed egli allora invia due dei suoi per verificare: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro? Vale a dire: Ci siamo forse sbagliati su di te?
Già questo aspetto, prima ancora di entrare nei contenuti dell’autoritratto di Gesù, è importante: Gesù è uno al quale puoi fare delle domande! Non è scontato. Qui ci sta tutto il travaglio di una fede pensata, confrontata, che a volte pare andare come sulle montagne russe con i suoi alti e bassi. Ma non dobbiamo vergognarcene, non dobbiamo viverla male perché è una dimensione vitale del rapporto con Gesù è la condizione in cui far emergere le nostre aspettative, come anche il Battista aveva delle aspettative sul Messia.
E la domanda sancisce il confine tra le aspettative e l’attesa. Mai che l’attesa sia libera dalle aspettative.
Le aspettative ci abitano, come nel cuore di Giovanni e dei suoi discepoli, le aspettative comandano, dettano le condizioni ed esigono l’aderenza della realtà, perché per l’aspettativa uno conosce già ciò che vuole, l’io reclama per sé le condizioni migliori… ed è legittimo, in certe condizioni è anche necessario (basti pensare al mondo della ricerca…), ma l’aspettativa è chiusa, rinchiusa nelle misurazioni previste. L’attesa invece è aperta, sconcertante perché non sa mai qual è il carico di novità che un incontro, una persona, un evento portano con sé.
Quando una mamma è incinta si dice che è in attesa. Un lavoratore entra in aspettativa, perché prima o poi riprenderà un lavoro che già conosce.
L’attesa è sorprendente: per quante indagini, esami, analisi si possano fare, fino a quando nasce la creatura non si sa come sarà, che carattere avrà, come sarà il suo sorriso… poi magari il genitore carica di aspettative anche la figlia o il figlio. Ma l’attesa è libertà. Le aspettative no.
Infatti Giovanni è in prigione: metafora della condizione propria di chi è incatenato alle proprie aspettative e proiezioni e che ha bisogno di essere liberato attraverso la domanda e le domande.
Giovanni aspettava il Messia venire come fuoco, come scure, come giustiziere e giudice a fare pulizia del male del mondo… salvo poi doversi misurare con una realtà, come quella per cui capita anche a noi quando non accade nulla di ciò per cui abbiamo pregato, quando non cambiano le situazioni per le quali abbiamo chiesto un intervento dall’alto.
È proprio a questo punto che Gesù rivela il suo vero volto e si manifesta come il Messia degli ultimi, dei poveri, dei malati, dei peccatori… che non sono categorie semplicemente sociali, ma condizioni esistenziali in cui tutti possiamo riconoscerci. Chi sono i ciechi? Certo coloro che non possono vedere, ma anche coloro che non vogliono vedere! Chi sono i sordi? Certamente coloro che non sentono, ma anche coloro che non vogliono sentire!
Gesù è il Messia per tutti. Può liberare tutti. Anche coloro che non sentono e si stordiscono per non udire il grido dei poveri. Anche coloro che non vedono le sofferenze degli altri e non le vogliono vedere.
Gesù non è un oggetto al pari di un presepe o di una croce utilizzata strumentalmente contro qualcuno. Gesù è un incontro che cambia la vita perché libera dalle aspettative e scandalizza tutte le strumentalizzazioni che si possono fare di lui, in quanto va proprio a cercare ciò che il mondo scarta, ciò che il mondo derubrica, perché ogni uomo e ogni donna sono amati da Dio e sono figli suoi e quindi fratelli e sorelle tra loro.
Questa convinzione, viene da lontano. Abbiamo ascoltato il Secondo Isaia quando annuncia che il re persiano Ciro fa uscire Israele dall’esilio di Babilonia (538 c.C.) e viene definito da Dio il suo eletto, letteralmente, il suo messia! Perché? Un re pagano, non appartenente al popolo eletto sarebbe il Messia?
La risposta ci viene dal famoso cilindro di Ciro[1], di cui nel 1971 le Nazioni Unite hanno pubblicato il testo in tutte le lingue dei paesi membri considerandolo, certo un poco anacronisticamente, come la prima dichiarazione dei diritti umani della storia perché introdusse novità inedite per quei tempi. Infatti il re persiano quando occupava un territorio come si legge in questa dichiarazione di Ciro il Grande dopo aver conquistato Babilonia:
- Riconosceva ai vinti il diritto alla libertà religiosa. Infatti i persiani non hanno mai tentato a imporre la propria religione ai vinti.
- Riconosceva il diritto di mantenere la propria lingua. Non esiste nessuna testimonianza storica che i persiani abbiano tentato d’imporre la propria lingua ai vinti.
- Riconosceva il diritto di mantenere la propria amministrazione statale e sistema politico fino a poter mantenere il proprio re, il quale però doveva riconoscere il sovrano persiano, chiamato con il titolo di «Re dei Re».
Non deve essere stato facile per il profeta presentare Ciro come il messia di Dio! un re pagano, saggio e intelligente, ma pur sempre pagano! Ma la novità era talmente sorprendete e inattesa che fu compresa come volontà di Dio!
Incontriamo in questa lettura teologica un nesso profondo tra quelli che sono i diritti umani (e i doveri) e la volontà di Dio. Il profeta, il Messia, il Cristo non vive fuori dalla storia, in un mondo spirituale lontano dalle dinamiche della vita umana, anzi è proprio nel rispetto dei diritti e doveri umani che si realizza la volontà di Dio!
Gesù è il Messia che viene a ricucire questi diritti proprio a partire dai più fragili, da chi rimane indietro.
Ma ci vuole un certo coraggio, una certa determinazione per tenere questa saldatura tra fede e storia, tra diritti e spiritualità, ed è ciò che incontriamo nel secondo ritratto: quello che Gesù fa di Giovanni. E lo fa sempre attraverso il metodo della maieutica, del porre le domande: Chi siete andati a vedere? mettendo così le persone dinnanzi a un discernimento necessario.
Gesù dice alla gente: non siete andati a vedere un “uomo-canna”, ma un “uomo-quercia”! Non siete andati a vedere un uomo vizioso o un cortigiano capriccioso, ma un asceta rigoroso ed esigente! In definitiva un profeta e non uno qualsiasi.
Potremmo trovare qui le caratteristiche del discepolo necessarie oggi e vedere riflesso nel Precursore il ritratto del cristiano che non può essere come una canna che si piega ad ogni vento, uno che si fa andare bene ogni cosa e che come opportunista cavalca l’onda di turno.
Non è nemmeno un vizioso cortigiano che ambisce a stare nei palazzi del potere e che ostenta il lusso e la ricchezza… e potremmo continuare a elencare una serie di indicatori della statura morale e della coerenza del Battista. Ciò che conta è che Gesù vede in lui in assoluto il più grande uomo di ogni tempo, disposto a pagare un prezzo alto per la sua fedeltà.
Infatti chi è più libero? Giovanni il Precursore che pone domande a Gesù o Erode che non si pone alcuna domanda?
Chi è il recluso? Giovanni che nelle tenebre di Macheronte si mantiene fedele alla volontà di Dio oppure Erode chiuso nel palazzo dei suoi intrighi e lotte di potere, fedele alle sue ambizioni?
E noi, chiediamocelo: chi sono i personaggi che andiamo a vedere per rispondere alle nostre aspettative?
Non dobbiamo forse guardare di più alla statura umana e spirituale di Giovanni per imparare a saldare insieme il rispetto dei diritti umani e la volontà di Dio, la vita spirituale?
(Is 45, 1-8; Rm 9, 1-5; Lc 7,18-28)
[1] Il cilindro di Ciro il grande, attualmente al British Museum – un cilindro di argilla cotta di circa 30 cm di lunghezza scolpito nella antica lingua persiana Aryan con caratteri cuneiforme trovato in 1878 negli scavi di un sito presso Babilonia- viene considerato la prima dichiarazione dei diritti umani e risale all’anno 539 prima di Cristo.