IV DI PASQUA - Gv 15, 9-17


(At 21, 8-14; Fil 1, 8-14; Gv 15, 9-17)

Non vi nascondo alcune difficoltà nel commentare le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato.

La prima resistenza viene dalla consapevolezza di chi non ha nulla da insegnarvi: misuro in me stesso lo scarto tra le parole del Signore e la vita di tutti i giorni, dove il rimanere nell’amore, quell’invito-comando: “rimanete nell’amore, il mio!”, mi trova distante e credo che la stessa percezione possa essere condivisa da ciascuno di voi. È la consapevolezza di essere inadempienti e di non poter aggiungere dunque nulla, nemmeno una virgola alle parole di Gesù.

Ma poi c’è una seconda difficoltà che subentra in maniera quasi subdola, ed è quella che fa dubitare dell’utilità di queste parole. Ma davvero nella nostra società, nella nostra città, per le nostre strade e nei luoghi di lavoro, nei luoghi del potere, nei consigli di amministrazione come nelle assemblee di condominio è praticabile l’amore di Gesù? Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. È già tanto se ci amiamo in famiglia, perché già estendere questa considerazione agli amici, al gruppo di appartenenza, alla parrocchia stessa… non solo ci fa misurare la nostra distanza dalle parole del Signore: Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri, ma ci induce a pensare che non sia praticabile, che non sia possibile!

Infine devo fare i conti con una terza resistenza, perché di amore si parla con la poesia, con la musica, con l’arte… mentre ora bisogna «fare la predica», come si suol dire. Cioè avverto il disagio di «spiegare» qualcosa di cui non devo dare prova di convincimento, di persuasione… Perché tutti intuiamo la bellezza delle parole di Gesù.

Mi viene in aiuto il ricordo di mons. Tonino Bello, già vescovo di Molfetta, che moriva il 20 aprile di vent’anni fa (1993) e che sapeva dare poesia al Vangelo, sapeva comunicare la sua passione e l’amore per il Signore, per la chiesa e per l’uomo. Leggo ad esempio poche righe di una preghiera allo Spirito.

“Spirito di Dio,

fa’ della tua Chiesa un roveto che arde di amore per gli ultimi.

Alimentane il fuoco col tuo olio, perché l’olio brucia anche.

Da’ alla tua Chiesa tenerezza e coraggio. Lacrime e sorrisi.

Rendila spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero.

Disperdi la cenere dei suoi peccati. Fa’ un rogo delle sue cupidigie”.

 

In un’altra preghiera rivolta a Maria, così diceva:

“Madre dolcissima di Cristo e Madre nostra,

aiutaci a riscoprire la bellezza del silenzio,

il valore della gratuità, la dolcezza del perdono…

Facci comprendere che il dollaro non è tutto.

Che la vita non è solo «business».

Che una casa modesta dove si vive onestamente

vale più di cento splendide ville dove regna l’ingiustizia e manca l’amore.

Che dare il superfluo ai poveri e la giusta mercede agli operai

arricchisce più dei depositi in banca…”.

Ecco ci rendiamo conto che ascoltando il vangelo di Gesù, viene spontaneo pregare. E pregare è anche un po’ fare poesia, è lasciare che, dopo aver misurato le nostre distanze dal suo comandamento, emerga dal cuore l’anelito al meglio, alla bellezza. Provate a pensare se le nostre preghiere fossero anche un po’ poesia e non soltanto filastrocche. Perché l’amore fa nascere la poesia. L’amore fa pregare di suo. L’amore fa cantare di gioia l’innamorato!

Ma il problema penso che stia proprio qui. Rimanete nell’amore, il mio, dice Gesù. La nostra fede, la nostra religiosità, anche il nostro semplicemente «venire a messa» è amore? E soprattutto è l’amore del Cristo? È l’amore di chi dà la propria vita per gli amici?

Noi ogni domenica spezziamo il pane nella memoria di Gesù, riviviamo il gesto di chi dona la sua vita e che ci rende amici del Signore, perché questa è la nostra dignità, come dice oggi: Non vi chiamo più servi ma amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.

Come tra amici si condivide l’intimità della vita, così Gesù ci confida il segreto più intimo: cosa ha in mente l’Eterno. Ci confida che Dio non è un padrone sempre pronto a coglierci in fallo, non è il tiranno pronto a punirci e a castigarci. Ma il Padre in Gesù ci dice cosa fa lui, non tanto cosa vuole da noi, ma soprattutto ciò che lui fa, ovvero che ci vuole bene.

In Gesù che si china sul peccatore, è Dio che perdona.

In Gesù che guarisce il malato, è Dio che si prende cura di noi.

In Gesù che consola il povero, è Dio che ci arricchisce della sua gioia.

Non c’è nulla di più necessario dunque di un amico così che ci dice l’amore del Padre. Perché questo è il senso dell’amicizia di Gesù: introdurci nell’amicizia di Dio, come amici di Dio sono stati Abramo e Mosè.

Questo è il volto della Chiesa che piace proprio tanto a Giovanni, una Chiesa di amici. Dove c’è Gesù, ci sono gli amici, questa è la comunità cristiana.

Senza amici non si vive, magari saranno pochi, ma senza di loro non c’è nulla di sopportabile o godibile. Guardate il rischio delle solitudini più paurose e squallide degli uomini del potere… che deserto! Non si sa mai se puoi fidarti e diventa un’impresa poter distinguere quando sono amici veri.

“L’amicizia, scrive s. Ambrogio, è una virtù, non un commercio: non è frutto di soldi, ma di amore; non è l’offerta di mercato che la crea, ma la reciproca benevolenza. Così sono migliori per lo più le amicizie tra i poveri che tra i ricchi; e spesso i ricchi sono senza amici, mentre i poveri ne hanno molti. Non vi è vera amicizia dove vi è adulazione e con i ricchi generalmente ci congratuliamo esteriormente, ma verso il povero nessuno mostra affetti falsi” (I doveri, 3,124-134).

Chiediamo insieme oggi al Padre il dono dello Spirito santo perché ciò che sperimentiamo come impossibile per noi, allo Spirito di Dio non risulta impossibile. Certo, come diceva Albert Einstein, è più facile disintegrare gli atomi che i pregiudizi, ma lo Spirito che ha vinto la morte, può vincere ogni paura e resistenza e ci dona di rimanere nell’amore di Gesù.

Concretamente rimanere nell’amore viene declinato non nel sentimento (che va e viene), non nell’ascesi (che è di pochi) ma nel vivere i comandamenti, come scrive sant’ Agostino in un celebre passo di cui si cita generalmente solo l’inizio: Ama, e fa’ ciò che vuoi, continua dicendo: Se taci, taci per amore; se parli, parla per amore; se correggi, correggi per amore; se perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell’amore, da questa radice non può che nascere il bene.

È di questo che ha bisogno il mondo: di vedere i cristiani che si vogliono bene. Allora si capisce che Dio è Padre, ma se ci amiamo tra fratelli. È questa la bellezza dell’amore e non c’è altra bellezza che salva il mondo.