III DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Lc 9, 18-22
Sono intriganti le due domande che Gesù pone nel Vangelo di oggi, anzitutto per i discepoli che si sentono chiamati in causa e poi anche per noi. Anche a noi il Signore chiede: La gente chi dice che io sia? Non credo fosse semplice curiosità, non sarebbe stata ripresa da tutti e tre gli evangelisti sinottici. Credo piuttosto sia una domanda per aprire gli orizzonti dei discepoli su quello che la gente pensa di lui: ascoltate cosa pensano gli altri, quelli di fuori, quelli che sono estranei alle cose di chiesa. Chi dicono che io sia?
E poi la seconda domanda rivolta direttamente alla nostra consapevolezza di lui: Ma voi, chi dite che io sia? Ci chiede di rendere conto di cosa abbiamo compreso di lui.
Se provo a riprendere quello che sento dire la gente in generale su Gesù, mi pare che prevalga la stima e il riconoscimento di lui come un illuminato accanto ai grandi maestri della storia: Confucio, Buddha, Socrate… una di quelle persone che con il loro messaggio aiutano a dare un senso alla vita, a creare buone relazioni con il prossimo, a superare le paure e le angosce.
Anche all’interno della stessa chiesa, al di là della professione di fede che nel Credo cristallizza affermazioni importanti, registriamo una certa varietà di sottolineature, nella storia stessa del cristianesimo fin dalle prime comunità il confronto ha generato e continua a generare una pluralità di prospettive.
Le eresie cristiane dei primi secoli sono prevalentemente cristologiche: il tentativo di comprendere e di definire Gesù confessato come Cristo e Figlio di Dio ha sempre segnato l’impossibilità razionale di comporre nell’unica persona le due identità. Infatti sono state due le posizioni che si sono fronteggiate duramente: quella che trovò in Ario (IV sec.) il teologo di riferimento e che conosceva Gesù semplicemente uomo (solo il Padre è Dio), e quella monofisita (Eutiche, V sec.)) che fin dalle prime comunità post-apostoliche credeva in un Gesù Figlio di Dio e solo apparentemente uomo. Il Concilio di Calcedonia (451) chiuse lo scontro dichiarando Gesù Figlio di Dio in una sola persona, nelle due nature, umana e divina.
Venendo a noi possiamo ricordare che prima del Concilio era prassi sottovalutare l’umanità di Gesù, privilegiandone la divinità. Un impoverimento che solo negli ultimi decenni si tenta di colmare, attraverso lo studio storico-critico dei testi, attraverso l’analisi dell’ambiente geografico e culturale in cui è vissuto Gesù, attraverso i generi letterari. Ce ne rendiamo facilmente conto: nel momento in cui il cristianesimo del XXI secolo si scopre stanco, eppure la sua figura fondatrice attira sempre più l’attenzione degli storici, ma anche degli scrittori, dei registi… Dopo due millenni pare non sia stato detto, scritto e discusso tutto al suo riguardo, al punto che qualcuno ha parlato dell’enigma Gesù.
La seconda domanda ci riguarda direttamente. Gesù che viene da un tempo prolungato di preghiera e intervista il gruppo dei discepoli, anche se solo Pietro pare abbia risposto. Questo non ci esime però dal lasciarci interpellare personalmente: Ma voi, chi dite che io sia?
Personalmente trovo in Gesù il riferimento per quello che faccio e per come vivo: è Gesù il punto fermo della mia vita e non potrei fare a meno della sua umanità piena, avvolgente e proprio per questo profondamente divina. Per me Gesù tiene insieme, in un nesso indissolubile, la santità di vita e la verità della parola. Dove la santità è espressa nella purezza della sua vita, nella bellezza delle sue parole, nella sua tenerezza verso i malati, gli oppressi e i poveri. Proprio per la santità della sua vita non si può non credere a tutto ciò che Gesù ha detto e alla sua relazione col Padre che è nei cieli.
Molte volte dovendo fare delle scelte mi trovo a mettere sul tavolo i pro e i contro di una situazione, a valutare le cause e le conseguenze possibili nel futuro, ma non mi è possibile compiere una decisione senza misurarmi con il Vangelo di Gesù. Se non dopo aver alzato lo sguardo nella preghiera per cercare di vedere il problema nella prospettiva del Cristo. Il che significa ad esempio, domandarmi: cosa farebbe Gesù qui ora? Quale parola del Vangelo fa luce in questo frangente? Questa cosa che faccio aiuta il regno di Dio o il mio regno?
Quando diamo per scontata questa dimensione spirituale, è facile e scontato scivolare nell’uso mondano e politico di Dio che arriva al punto di affermare, come abbiamo sentito in questi giorni, che serve “una grande battaglia per difendere l’identità, difendere Dio e tutte le cose che hanno costruito la nostra civiltà” (Meloni, Ungheria 14 settembre).
Ma non è Dio che ci difende? Perché mai e da chi Dio deve essere difeso? L’equazione è netta: Dio=identità; difesa di Dio=difesa della nostra identità. Difendere Dio quindi è difendere noi stessi. Da chi? Dalla crescente ondata migratoria che porta in Europa tanti musulmani spesso assai rigidi nel modo di vivere la loro identità religiosa?
Certo abbiamo un problema reale, un problema che esiste. Ma non è con una battaglia in nome di Dio che si risolvono questioni sociali, piuttosto con visioni politiche responsabili che non vedo all’orizzonte, né a destra né a sinistra. Per la nostra grettezza tiriamo in ballo dio.
Ma di quale dio stiamo parlando? Non è certamente il Dio di Gesù che ci ha insegnato ad essere umani.
Forse è il dio Gott mit uns scritto sulle cinture delle SS, il dio degli imam fanatici o dei suprematisti cristiani, il dio che “la spada, non il Libro ha nella mano”, come cantava Guccini.
In questo caso allora siamo noi ad aver bisogno di proteggerci e di metterci in salvo da un dio così.
(Lc 9,18-22)