DOMENICA DI CRISTO RE - Ultima domenica dell’anno liturgico - Lc 23, 36-43
Può essere sorpreso di questo dialogo tra crocifissi solo chi non conosce Gesù. Certo il curioso si interroga di come possa essere possibile dialogare in quella condizione: le mani e i piedi trapassati dai chiodi, il respiro ansimante e la consapevolezza degli ultimi istanti di vita, non è che proprio ti vien voglia di chiacchierare.
Ma per noi che abbiamo seguito Gesù lungo questo anno che la liturgia domenicale ha scandito con alcuni passi della Scrittura, è del tutto comprensibile che finisse in questo modo. Con chi si è accompagnato il Signore fin dall’inizio? Con i potenti di turno, con i ricchi, con chi poteva assicurargli un futuro?
Si è per caso costruito una rete di cortigiani, visto che lo chiamiamo anche noi “re”?
Tutta l’ambiguità di questo termine, che a un certo cristianesimo piace ancora tanto perché indica il trionfo di Dio sul mondo e una gloria che rispecchia quella mondana, perché costruita sull’umiliazione di qualcun altro… ebbene l’ambiguità del termine “re” è svuotata da questo dialogo tra crocifissi.
Cristo amico dei falliti, dei perdenti, dei perduti, degli scartati…. finisce per morire in loro compagnia.
Ascoltiamo cosa poteva risuonare nel cuore di chi si è trovato il figlio di Dio sulla croce a fianco della propria: Ricordati di me. Portami nel tuo cuore, portami con te, non so dove, non so come, ma intuisco che tu puoi.
Un ultimo sussurro di chi sente la vita scorrere via, un disperato aggrapparsi a qualcuno che viene percepito come capace di attraversare quella disperazione.
A questo porta il dialogo tra crocifissi.
Anche l’altro a modo suo fa sentire tutta la sua disperazione rabbiosa: Fai qualcosa, salva te e noi!
E invece Gesù non fa nulla. Solo una parola, una promessa, quella che dicevo essere l’unica canonizzazione in diretta fatta da Gesù: Oggi sarai con me.
Ognuno di noi è l’uno e l’altro. Una cosa li accomuna che sono in croce come Gesù e con Gesù. Sia che siano colpevoli, sia che siano innocenti tutti sono in croce. Questa è la realtà.
Marc Chagall nella sua opera «Crocifissione bianca» (1938) riprodotta sul frontespizio del foglietto, prende il nostro sguardo e lo attira sul fascio di luce che scende dall’alto e che avvolge il giusto crocifisso intorno al quale c’è il mondo, la storia di ieri e di oggi.
Un villaggio che va a fuoco, un battello di profughi, altre figure, in primo piano, che cercano di salvarsi quasi come per uscire dal quadro. Personaggi in divisa militare, rabbini piangenti e una donna in alto a sinistra… tutti fluttuano nella fredda oscurità. Una storia che drammaticamente si ripete.
Come sapete, Chagall è ebreo che vede nel crocifisso sia la passione del profeta degli ebrei che del Dio della cristianità morto come uomo. Ci propone un’icona universale piantata nel cuore delle violenze e delle crudeltà della storia umana, come un punto di non ritorno.
Eppure appunto Gesù non fa niente per invertire la direzione della storia. Appare del tutto passivo nella sua passione. Ma a ben guardare perché quella croce è luminosa, perché è al centro della scena?
Perché se è vero che ogni gesto di violenza sortisce l’effetto valanga, così che da una violenza si genera altra violenza e altro odio… In Gesù, l’odio non produce altro odio, la violenza non produce altra violenza, il tradimento non produce altro tradimento.
Gesù è lì ben ripresentato come colui che non ha altre armi se non l’amore con cui rispondere al male con il bene.
Agli occhi dei più appare un discorso debole, eppure uccidere Gesù è stato come cercare di distruggere un tarassaco soffiandoci sopra, è stato come colpire un sole che si è moltiplicato in milioni di frammenti di luce.
Anche ai nostri giorni alcuni usano la croce contro gli altri, contro gli infedeli, contro altre civiltà.
Vigiliamo e siamo attenti perché sulla croce Gesù ci è salito per unire e non per dividere. Quando la croce viene ridotta a oggetto operiamo un tradimento peggiore di quello di Giuda, perché la croce usata come strumento genera violenza e odio.
Talvolta sembra che tutti siano nemici di tutti e l’odio va montando nelle nostre case, nelle scuole, nei luoghi pubblici… sembra che siamo impegnati a dare il peggio di noi stessi, come civiltà. Eppure come diceva un grande non violento “La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata” (Aldo Capitini).
Sovvertire una società inadeguata è possibile se scegliamo la via percorsa da Gesù, quella della non violenza. Solo così si rinnova il mondo, se qualcuno comincia, se qualcuno si mette in gioco.
Non è che chi è innamorato per vivere l’amore, aspetta che gli altri si innamorino. Chi si guarda sempre dietro prima di muoversi, si muoverà sospinto dagli altri e senza sapere dove va a sbattere.
Teniamo in noi, come scrive Paolo ai cristiani di Filippi, gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (2,5). Al dilagare dell’odio, della discriminazione e della violenza… Opponiamo una resistenza intelligente: Abbiate tra di voi gli stessi sentimenti di Cristo! Fermiamo la valanga del male, della violenza e dell’odio… fermiamola come ha fatto lui.
Chagall alla croce appoggia delicatamente una scala, una scala che piantata a terra si appoggia alla luce del crocifisso: è come se dal Cristo scendesse sulla terra un poco di quella luce, quasi un monito per noi a non pensare che un bel giorno ci sveglieremo e troveremo che il mondo è cambiato senza di noi, mentre dormivamo!
Gesù che ha aperto la via ci dice: Se vieni dietro a me si può passare soltanto da qui.
A Gesù fanno del male, lo fanno soffrire e lo fanno morire, ma non riescono a farlo diventare malvagio come loro!
Ecco è questa grazia che domandiamo oggi: non accettare che la violenza, l’arroganza e la prepotenza siano leggi ineluttabili. Come il delinquente che prega: Gesù, ricordati di me.
Di fronte al male, di fronte all’odio, al razzismo, all’indifferenza… Gesù ricordati perché è difficile, è dura fare come fai tu.
Questa è la strada per non ridurre la terra a un campo di battaglia, ma perché diventi sempre più un giardino. Cosa risponde il Signore alla preghiera del malfattore? Oggi sarai con me nel paradiso.
Il paradiso è una parola di origine persiana che significa “giardino” e possiamo intenderlo come un rimando alla responsabilità che abbiamo di non ridurre la terra a un campo minato, perché Dio non l’ha pensata così, ma fin dall’inizio l’ha pensata come un’oasi di pace e di giustizia.
C’è una dimensione che ci riguarda oggi e riguarda il nostro impegno sociale, culturale, politico e pedagogico. Cosa insegniamo ai nostri figli, ai nostri nipoti? È possibile un mondo diverso? Oppure ci rassegniamo a un futuro pieno di armi, di prepotenti e di arroganti?
E poi c’è il giardino che è l’amicizia con Gesù che attraversa anche la morte: Oggi con me sarai nel paradiso. Con me, perché stare con Gesù è entrare in una vita che non muore mai.
A me sembra che la bellezza dell’amicizia di Gesù valga anche solo per questo: non entri da solo nella comunione con Dio, ma entri «con me». La morte è soglia: fa passare nella vita divina, nell’intimità di colui che è vita, in Dio. Cosa non hanno potuto essere quei dialoghi tra crocifissi!
Anche noi siamo qui sotto la croce di Gesù sospesa sopra di noi e vogliamo pregare un poco in silenzio: preghiamo perché non abbiamo mai ad usarla contro gli altri, preghiamo perché il Signore ci aiuti a essere custodi del giardino dell’umanità coltivando la non violenza, la mitezza e l’amore.
(Is 49, 1-7; Fil 2, 5-11; Lc 23, 36-43)