III DI AVVENTO - Lc 7, 18-28


audio 28 nov 2021

Se è successo a Giovanni il Battista di sbagliarsi su Gesù, credo che potremmo accettare che possa accadere anche a noi. No, non è uno scandalo, anzi forse è necessario riconoscere lo scarto tra le nostre aspettative su Dio e quello che Dio ci dice con Gesù.

Necessario per fare i conti appunto con le nostre aspettative e così accogliere la novità di Dio.

Tutti noi abbiamo delle aspettative su Dio. Ognuno di noi oggi ha per così dire qualcosa da chiedergli e che pensa che lui potrebbe donargli.

Anche Giovanni il Battista aveva le sue aspettative nei confronti del Messia che aveva annunciato. Non erano solo le sue, lui in fondo non ha fatto altro che dare voce a chi lo ha preceduto: ha parlato come uno dei vecchi profeti invocando un fuoco purificatore, ha predicato l’arrivo di un dio giustiziere che finalmente avrebbe colmato le disuguaglianze sociali… nel deserto ha chiesto a tutti di convertirsi.

Però, ecco, qualcosa non è andato secondo le sue aspettative. Ora lui si trova nel buio della prigione di Macheronte per aver denunciato l’illegittima pretesa di Erode su Erodiade, moglie del fratello, stando a quanto gli mandano a dire i suoi discepoli, là fuori non sta accadendo nulla di tutto quello che lui aveva annunciato.

Giovanni si è sbagliato su Gesù? Se non ci stesse pensando non avrebbe fatto recapitare la domanda: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

Quante volte anche noi ci siamo sbagliati su Gesù, su Dio. Quante volte abbiamo confuso per fede quanto invece in realtà era solo una proiezione, un’aspettativa… tutte cose legittime senza dubbio, magari anche cose belle. In fondo anche Giovanni non aveva fatto altro che dare voce a parole antiche scritte dei profeti, quindi poteva legittimamente credere di aver detto delle cose giuste.

Cosa succede però quando la realtà smentisce le aspettative? Giovanni ci insegna una cosa importante: diamo dignità al dubbio, riconosciamo che è importante interrogarci, esplicitiamo la domanda. L’alternativa, che è la via più facile scelta da molti è quella del mugugno, della lamentela, del malcontento. Ma sappiamo bene essere un atteggiamento sterile.

Dare dignità alla domanda, alle domande è aprire una fessura nella nostra storia e nella vicenda del mondo attraverso la quale si inserisce la novità di Dio.

Pensiamo alle volte in cui siamo stati scandalizzati da Gesù, nel senso che non ha corrisposto alle nostre richieste; perché ci è accaduto qualcosa che non era “giusto” accadesse a noi; perché abbiamo fatto del bene e non ci è stato riconosciuto…

Allora possiamo ascoltare la risposta di Cristo, la stessa risposta che rimanda al Battista e che indica la radicale novità di Dio. In qualche modo Gesù disegna un autoritratto che non è esattamente quello annunciato da Giovanni: niente fuoco purificatore, niente scure posta alla radice degli alberi secchi… ma quello che sta a cuore a Dio è la cura: la cura dei ciechi, degli zoppi, dei lebbrosi, dei sordi, dei morti e dei poveri.

Vale a dire la cura di tutta l’umanità, dell’umanità di sempre, perché nella vita prima o poi tutti siamo un po’ l’uno e un po’ l’altro, attraversiamo queste condizioni.

La buona notizia è che Gesù ci narra la tenerezza di Dio nel prendersi cura delle nostre fragilità. Non viene con piglio da giustiziere, anche se talvolta l’abbiamo pure sperato arrivasse così… Non viene con l’atteggiamento clericale pronto a condannare ogni volta che sbagliamo… Non viene per condannare qualcuno, ma si china su ciascuno di noi e su tutti per prendersi cura delle nostre debolezze e fragilità. Per dirci: dai che non sei sola, non sei solo, sono con te! Ce la puoi fare.

Poi c’è la seconda domanda, questa volta è Gesù a porla: Che cosa siete andati a vedere nel deserto?

Domanda cui risponde Gesù stesso con una descrizione questa volta di Giovanni.

Una descrizione che avviene prima in negativo: Giovanni non è una canna che si piega ad ogni vento, non è nemmeno uno che frequenta i salotti della Gerusalemme bene… e potremmo continuare a elencare una serie di indicatori della statura morale e della coerenza del Battista, al punto che Gesù vede in lui in assoluto il più grande uomo di ogni tempo!

Giovanni un uomo di grande statura morale, uno tutto d’un pezzo, anticonformista al massimo, come appartenente a una famiglia sacerdotale aveva dinnanzi a sé un futuro assicurato, e invece si mette in gioco per Dio e va a predicare nel deserto…

Un ritratto quello del Battista, che sancisce il confine tra le aspettative e l’attesa. Mai che l’attesa sia libera dalle aspettative.

Le aspettative ci abitano, come nel cuore di Giovanni e dei suoi discepoli, le aspettative comandano, dettano le condizioni ed esigono l’aderenza della realtà, perché per l’aspettativa uno conosce già ciò che vuole, l’io reclama per sé le condizioni migliori… ed è legittimo, in certe condizioni è anche necessario (basti pensare al mondo della ricerca…), ma l’aspettativa è chiusa, rinchiusa nelle misurazioni previste.

L’attesa invece è aperta, sconcertante perché non sa mai qual è il carico di novità che un incontro, una persona, un evento portano con sé.

Quando una mamma è incinta si dice che è in attesa.

Un lavoratore entra in aspettativa, perché prima o poi riprenderà un lavoro che già conosce.

L’attesa è sorprendente: per quante indagini, esami, analisi si possano fare, fino a quando nasce la creatura non si sa come sarà, che carattere avrà, come sarà il suo sorriso… poi magari il genitore carica di aspettative anche la figlia o il figlio. Ma l’attesa è libertà. Le aspettative no.

Giovanni non uscirà vivo dalla prigione, ma  di fatto ne è uscito nel momento in cui ha posto la domanda che ha dato a Gesù la possibilità di annunciare il Vangelo.

Per questo  Gesù dice alla gente: non siete andati a vedere un “uomo-canna”, ma un “uomo-quercia”! Non siete andati a vedere un uomo vizioso o un cortigiano capriccioso, ma un asceta rigoroso ed esigente! In definitiva un profeta e non uno qualsiasi.

Potremmo trovare qui le caratteristiche del discepolo necessarie oggi e vedere riflesso nel Precursore il ritratto del cristiano che non può essere come una canna che si piega ad ogni vento, uno che si fa andare bene ogni cosa e che come opportunista cavalca l’onda di turno.

Non è nemmeno un vizioso cortigiano che ambisce a stare nei palazzi del potere e che ostenta il lusso e la ricchezza… e potremmo continuare a elencare una serie di indicatori della statura morale e della coerenza del Battista. Ciò che conta è che Gesù vede in lui in assoluto il più grande uomo di ogni tempo, disposto a pagare un prezzo alto per la sua fedeltà.

Infatti chi è più libero? Giovanni il Precursore che pone domande a Gesù o Erode che non si pone alcuna domanda?

Chi è il recluso? Giovanni che nelle tenebre di Macheronte si interroga sulla volontà di Dio oppure Erode chiuso nel palazzo dei suoi intrighi e lotte di potere, obbedisce solo alle sue ambizioni?

E noi, chiediamocelo: chi sono i personaggi che andiamo a vedere per rispondere alle nostre aspettative? Chi riceve la nostra stima e la nostra ammirazione?

Perché molte volte queste figure rispondono alle nostre aspettative, alle aspettative del mondo e del riconoscimento necessario degli altri.

Proviamo a domandarci: cosa saremmo noi senza il Cristo? Cosa cambierebbe della mia vita se smettessi di amarlo e di seguirlo?

Ma usciamo da qui anche con un impegno preciso: di chi mi prenderò cura oggi? Verso chi mi farò attento perché ferito, perché malato, perché schiacciato dall’umiliazione? Di chi mi prenderò cura in questa settimana? Un suggerimento: riascoltiamo con attenzione La cura una canzone di Battiato del 1997.

(Lc 7,18-28)