II DI AVVENTO - Mt 3, 1-12
Se superiamo l’iniziale sconcerto che le parole del Battista suscitano in noi perché sono parole un poco minacciose che ci fanno sentire sotto giudizio e parlano di scure posta alle radici degli alberi, di fuoco che brucia i rami secchi – un po’ tutti abbiamo dei rami secchi da nascondere -, ecco se superiamo questa iniziale diffidenza, il Battista ci porta una grande speranza (Mt 3, 1-12). E per dirci quale speranza porta il Battista, Matteo prende a prestito le parole del profeta dei profeti, Isaia che a un popolo di deportati ebbe il coraggio di dire: Nel deserto preparate la via del Signore!
Per un ebreo contemporaneo del Battista sentir dire: nel deserto preparate la via del Signore significava l’aprirsi di un mondo e di una storia di cui è ricca di tutta la tradizione biblica del Primo testamento. Sappiamo bene cosa significhi per il popolo ebraico il deserto e a che cosa si riferisse Isaia: il deserto è stato il passaggio necessario per arrivare nel paese della libertà. Ai deportati non veniva regalata la libertà, veniva donata sì, ma dovevano raggiungerla attraversando il deserto, attraversandolo con la fede necessaria nella parola e nella promessa di Dio.
Lo ricordava anche la prima lettura tratta dal libro della consolazione del Secondo Isaia (40-55) quando il profeta ricorda appunto al popolo in esilio in Babilonia che il Signore avrebbe rifatto quello che aveva già compiuto quando erano schiavi di Raab, ovvero dell’Egitto (Is 51, 1-12). Allora se la via del Signore è passata attraverso il deserto del Sinai, se è passata per il deserto arabo… può attraversare anche il nostro deserto, anche le nostre aridità!
Oggi il deserto può essere assunto a metafora del degrado della nostra società. Simile al deserto sono certe situazioni di incomunicabilità, di sordità. Sembra di essere nel deserto senza un orizzonte di vita quando non si ha fiducia nel futuro. Come il deserto è l’aridità di certe istituzioni corrotte, di certe vite chiuse nel vizio… il deserto possiede anche per noi una sua connotazione di privazione, di assenza, di vuoto, di negatività. Eppure, dice Giovanni, anche in queste condizioni, anche nella nostra società, anche nel deserto della nostra umanità corrotta e viziata è possibile una via del Signore.
Il Signore passa di lì e non dobbiamo fare finta di non conoscere il deserto perché se la società è arida, vuol dire che è arido il nostro cuore. Se la società è pigra, è perché siamo pigri dentro. Non possiamo far finta di essere bravi e religiosi, non illudiamoci non siamo bravi per niente, non siamo a posto affatto: siamo aridi nella preghiera, pigri nell’impegno, indifferenti nell’amore… è solo con questa autentica consapevolezza che smettiamo l’equivoco per cui pensiamo di essere noi a preparare la via «al Signore»!
Non siamo noi a preparare la via «al Signore». Era questa mediocrità che faceva pensare ai farisei e ai sadducei di credere, con la loro religiosità formale e apparente, di far atterrare l’aereo di Dio sulle loro piste! Ma qui siamo nell’ illusione, nell’autoinganno, in piena ipocrisia. A questo pensa Giovanni quando li vede arrivare. Preparare la via «del Signore», non è la stessa cosa che preparare la via «al Signore», perché quando ci prepariamo ad accogliere un ospite, noi nascondiamo nello sgabuzzino quello che non deve vedere. Mentre la via del Signore è la sua strada e non la nostra.
Questo significa che anche il deserto delle nostre città, come lo chiamava Carlo Carretto dei piccoli fratelli di Charles de Foucauld, può diventare un luogo fecondo. Perché il deserto è più di un luogo geografico che richiama alla fantasia un pezzo di terra disabitato, assetato e arido. È anche più del degrado, della corruzione e dell’aridità morale, perché è proprio in questa condizione che passa l’incontro con Dio.
Noi, nella migliore delle ipotesi, facciamo i pendolari tra Marta e Maria, cerchiamo di tenere insieme il cielo e la terra, quello che vorremmo essere e quello che dobbiamo fare. Viviamo con il cuore diviso. Questa è la realtà, è il nostro deserto, ma è proprio qui che incontriamo l’Eterno che cammina verso di noi. Nel reale troviamo Dio molto più vitalmente che nei bei pensieri che di Lui o su di Lui ci possiamo fare.
«Fare deserto» come si diceva qualche anno fa, è la ricerca di Dio nel silenzio, è un «ponte sospeso» gettato dall’anima innamorata di Dio sull’abisso tenebroso del proprio spirito, sugli strani e profondi crepacci della tentazione, sui precipizi insondabili delle proprie paure. Il deserto nella città è possibile a questo patto: che sappiamo vedere la realtà con occhio nuovo, che sappiamo toccarla con uno spirito nuovo, che sappiamo amarla con un cuore nuovo. Teilhard de Chardin direbbe: che sappiamo abbracciarla con cuore casto.
Non sono io che preparo la via al Signore, ma è la via del Signore che passa nel mio deserto. E la differenza è notevole. Questa è la bella notizia, questa è la speranza la dobbiamo dare al mondo! Anche noi possiamo essere come profeti che gridano nei deserti delle città, come voci che sussurrano la possibilità che la giustizia di Dio si apra ancora una strada in questo mondo.
Avete notato con quale ironia all’inizio della lettura Isaia fa parlare l’Eterno: Ascoltatemi, esperti della giustizia! Sì, noi ci crediamo degli esperti del diritto e della giustizia, e giudichiamo ed emettiamo sentenze, ma non siamo capaci né di diritto né di giustizia, come ancora in queste settimane ci è dato di toccare con mano. Qual è la giustizia di Dio? è quella di aprire strade laddove noi, uomini e donne di chiesa, crediamo che ci sia solo errore, peccato e deserto!
Ci sia dato in questo avvento di non sentirci come i farisei e i sadducei, brave persone, ma che in realtà poi sono vipere che infestano i deserti! Perché il Signore può far nascere cristiani anche dal cemento armato, mentre magari là dove si dovrebbero incontrare cristiani si trova solo il freddo dell’indifferenza o della sufficienza!
Camminiamo sui sentieri di Isaia, che poi sono i sentieri dell’alleanza. Le vie del Signore sono sempre vie di pace e di giustizia; sempre quelle, sempre! E percorrendo quei sentieri ci incontreremo allora con tutti coloro che, meno pigri di tanti cristiani, sono capaci di giustizia, di pace, di rettitudine… che sono i sentieri percorsi dal Cristo. E sapete cosa succede? Che si fa l’esperienza di una fraternità umana sorprendente, non circoscritta a quelli che la pensano come me, che parlano come me, che fanno le stesse cose che faccio io… ma una fraternità che ci sa sentire di stare tutti sulla stessa barca. Lo scriveva con parole mirabili il grande profeta p. Turoldo, in uno dei suoi Canti ultimi:
«Fratello ateo, nobilmente pensoso
alla ricerca di un Dio
che io non so darti,
attraversiamo insieme il deserto.
Di deserto in deserto
Andiamo
oltre la foresta delle fedi
liberi e nudi verso il nudo Essere
e lì
dove la parola muore
abbia fine il nostro cammino» (p. 205).
È percorrendo questi sentieri che possiamo credere con tutto il cuore che un altro mondo è possibile e possiamo sperare più che nella terra promessa, nell’umanità promessa.