VENERDI’ SANTO - PASSIONE DEL SIGNORE - Mt 27, 1-56
È scontato e normale per noi che la morte di Gesù non sia stata semplicemente l’esecuzione di uno dei tanti condannati nella storia del mondo. Sono trascorsi più di duemila anni e infatti la croce è diventata il simbolo per eccellenza del cristianesimo.
Ma non è sempre stato così. Matteo per dire che la morte di Gesù è stata un evento unico, racconta che quando Gesù emise l’ultimo respiro «il velo del tempio si squarciò, la terra tremò, le rocce si spezzarono…». Luca addirittura scrive che «a mezzogiorno si fece buio su tutta la terra…», come a dire che non siamo semplicemente di fronte all’esecuzione di uno qualunque se il mondo intero e il cosmo sono scossi nelle loro fondamenta.
La descrizione evangelica segue un linguaggio che non ci appartiene e per il quale se andiamo a cercare i riscontri oggettivi finiremmo fuori strada, proprio perché i riferimenti sono alle parole dei profeti che ricorrono a questo linguaggio per descrivere la venuta del giorno del Signore! Quando il Signore verrà, sarà giorno di giudizio, di sconvolgimento… dice la Scrittura. Ma che questo riguardasse un Uomo crocifisso, ebbene, non era affatto scontato e non è scontato nemmeno oggi.
Non era scontato per Pilato, al quale della venuta del giorno del Signore, proprio non gli interessa per nulla. È l’uomo del potere imperiale e come tutti gli uomini di potere è di un cinismo sconcertante. Consapevole di mandare a morte un innocente, tenta in qualche modo di barattare la vita di Gesù con quella di Barabba che sicuramente gli creava qualche problema, ma nemmeno i sogni della moglie lo convincono. Non si cura di Dio, non si rende conto di quello che fa, è abituato a emettere sentenze… eppure è l’unico nome che ci ritroviamo nella professione di fede, nel Credo infatti diciamo che Gesù patì sotto Ponzio Pilato. Gesù ha patito sotto colui che se ne è lavato le mani e così, con sottile ironia, verrà ricordato nella storia del mondo.
Al servizio di Pilato c’è la soldataglia, coloro che si scatenano su uomo inerme, lo deridono, lo pestano, lo umiliano e infine eseguono la condanna. Difficile vedere la venuta di Dio in un corpo che puoi maneggiare come un oggetto, ma questa è la vita dei frustrati che non sanno trovare di meglio che manganellare un povero Cristo e poi giocarsi ai dadi i suoi vestiti, tanto erano sicuri che non gli sarebbero più serviti. Brutta roba la frustrazione, le ambizioni deluse… ti incattiviscono. Se sei un frustrato prima o poi trovi sulla tua strada qualcuno più debole di te sul quale prenderti la rivincita.
Sotto la croce poi non ci sono i discepoli, Gesù non ha nemmeno il conforto di morire tra gli affetti, anche per loro – lo abbiamo visto ieri – era difficile riconoscere Gesù come il Cristo. Sotto la croce ci sono i passanti che insultano Gesù e osservandolo scuotevano la testa, dice Matteo. Cosa c’è in questo gesto se non il pensiero che se Dio era veramente in lui non sarebbe andato a finire così? Vuol dire allora che ha ingannato tanta gente e chi ha passato le ore ad ascoltarlo, ha solo perso un sacco di tempo. Se è finito così male, vuol dire che qualcosa deve esserci sotto… Ancora una volta di fronte a Gesù anche nella morte, ogni persona rivela se stessa, manifesta la mediocrità dei propri pensieri e osserviamo con quale spontaneità si esprime quella gente che crede così di dire le cose più sensate.
Ma il dramma più profondo è l’incapacità dei teologi, dei sacerdoti, degli scribi, degli anziani… degli opinion leader che parlano e agiscono in nome di Dio: «Se ha salvato gli altri (quindi riconoscono quello che ha fatto), salvi se stesso». Perché se veramente è così legato al Padre, Dio confermi la verità di questo legame. Eccolo lì quello che distruggeva il tempio… in realtà, pensano, “noi abbiamo distrutto lui”. E lo fanno in nome di Dio, capite, fanno morire un uomo in questo modo, lo espongono all’insulto, alla vergogna pubblica, anche la stessa posizione del condannato lo additava al ridicolo, in nome della religione!
E potremmo continuare con il Cireneo, con i due ladroni… ma ora osserviamo Gesù. Ieri l’abbiamo seguito consapevole, silenzioso, mite… davvero il ritratto delle Beatitudini. Oggi sulla croce lo sentiamo rivolgersi con un grido al Padre e lo fa con le parole del salmo 22: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Ma come fai a pensare alle parole di un salmo mentre stai morendo? Probabilmente non saranno quelle di un salmo le nostre ultime parole. Eppure quando accompagniamo nella morte una persona cara, ascoltiamo con intensa emozione le sue ultime parole perché è come se ci consegnasse quello che davvero conta, ciò che c’è di più prezioso nel suo cuore.
Così è per Gesù. Nel momento della morte ci consegna la sua preghiera al Padre, la preghiera di un uomo che soffre ingiustamente, ma che attraversa la sofferenza con la fiducia in Dio. Durante il bacio della croce pregheremo anche noi questo salmo e vi invito a pregarlo con attenzione per fare nostri i sentimenti di Cristo. Perché Gesù sulla croce, morendo in questo modo, ci salva e ci libera anzitutto da un’idea sbagliata di Dio per donarci il volto di un Dio che assume la nostra debolezza e la nostra vulnerabilità, facendosi debole e vulnerabile, per amore.
Intorno a Gesù abbiamo visto c’è una girandola di rapporti di forza, di prepotenza e di violenza ed è questa la schiavitù del peccato, è una vera e propria schiavitù perché la forza rende schiavi di un’azione cui deve corrispondere una reazione più forte. Di fronte a un’ingiustizia invochiamo leggi e pene più severe. Gesù dall’alto della croce ci dice: vinci il male con il bene e abiterai la terra della libertà.
Gesù ci pone davanti al nostro paganesimo e ci interroga: Sei disposto ad aprire il cuore al Dio del Vangelo e a tutto ciò che questo comporta? Ascoltando il grido di dolore e di abbandono di Gesù siamo posti nella condizione di affacciarci alla conoscenza di un Dio diverso da quello che pensiamo. La morte di Gesù è drammatica, non ha l’aureola della serenità e della pace: egli precipita nell’abisso della malvagità umana.
Ieri celebrando l’ultima cena abbiamo ricevuto l’eucaristia, ci siamo nutriti del pane spezzato e abbiamo attinto al calice del sangue di Gesù, questo significa che come Chiesa siamo costituiti quale corpo del Signore per continuare la sua missione. La missione della Chiesa o è come la missione del giusto che, diceva Isaia nei due canti del servo, guarisce l’umanità dalla sua disgregazione, dalla disperazione, facendosi carico del dolore del mondo, oppure diventa a sua volta strumento di potere e di prepotenza.
Contempliamo l’Amore crocifisso davanti al quale anche per noi si spezza il velo del tempio che è l’antica conoscenza di Dio, e Dio voglia che si spezzino anche le rocce del cuore e impariamo ad amare come lui ci ha amato.
Signore noi ora verremo a baciarti
mentre sei disteso sul legno della croce,
il nostro non vuole essere il bacio di Giuda,
anche se tante volte ti abbiamo tradito.
Né ti vogliamo guardare con lo sguardo di Pietro,
anche se ci siamo vergognati di te.
Se siamo qui è perché non siamo indifferenti al tuo dolore
e al dolore del mondo, anche se siamo tentati dal cinismo di Pilato.
Davanti a te, al tuo corpo crocifisso pieghiamo le ginocchia,
anche se talvolta ci siamo irrigiditi come i sacerdoti.
Solo una cosa ti chiediamo, o Amore ineffabile,
la tua Chiesa salga sulla tua croce e impari a fidarsi del Padre
per guarire l’umanità senza speranza. Amen.